Pochi fatti, più storytelling: la ricetta di Renzi

Pochi fatti, più storytelling: la ricetta di Renzi

Luci e ombre sull’operato del governo Renzi. Il dibattito, soprattutto in questi ultimi giorni con l’apertura del semestre europeo, si fa più intenso e critico. Le ombre, proiettate dai commentatori più autorevoli, sono lunghe e preoccupanti. Il tema del debito che non sembra affrontato adeguatamente, con una comunicazione troppo enfatica dei successi europei che rischiano di ridursi a poca cosa. Le riforme istituzionali (Senato e legge elettorale sopra tutte) che subiscono ritardi e sono insidiate anche da fronde interne. Un eccesso di protagonismo del premier, che oscura gli altri ma che soprattutto – forse – nasconde una certa fragilità della squadra di governo. Un’agenda troppo fitta (una riforma al mese) con il rischio di non riuscire a fare quanto previsto o di farlo in maniera approssimativa.

Queste le critiche principali. È indubbio che tutte abbiano un loro fondamento. Ma il paese, nel suo insieme, al momento coglie solo marginalmente questi rimproveri. Un nostro sondaggio di qualche settimana fa evidenziava come, a fronte di valutazioni positive ma non entusiastiche di alcune aree di intervento del governo (legge elettorale e riforme costituzionali, costi della politica, riduzione della burocrazia) e di valutazioni decisamente critiche su altri aspetti (riduzione delle tasse e della disoccupazione), il consenso complessivo all’operato del presidente del Consiglio raggiungeva quasi il 70%, con punte elevatissime anche tra elettori distanti come quelli di Forza Italia e dello stesso M5s, tra cui le valutazioni positive si avvicinavano al 60%.

Accanto a questo va valutato il clima del paese, che si va orientando a un sempre meno mascherato ottimismo. L’indice di fiducia dei consumatori misurato da Istat segnala un nettissimo incremento negli ultimi mesi, crescita che si conferma anche nell’ultimo dato disponibile, quello di giugno. Pur se con molte cautele (nel giugno 2013 Istat ha introdotto dei cambiamenti metodologici che rendono problematico valutare il trend del dato) il risultato di quest’ultimo mese è il migliore degli ultimi anni e si avvicina alle performances registrate nel 2009, anno del massimo ottimismo nell’ultimo quinquennio.

Ma i dati Istat sono confermati dai nostri sondaggi continuativi. Tutti gli indicatori di clima economico segnano tendenze simili a quelle registrate dall’Istituto di Statistica. L’idea che il peggio della crisi debba ancora arrivare è al punto più basso registrato a partire dal dramma dell’estate 2011. Certo ancora molto consistente (42%), ma decisamente contenuto (era 67% a fine 2011). Oppure la valutazione proiettiva della propria situazione economica. Gli ottimisti, che pensano che la loro situazione migliorerà a breve, sono il 24% (dato certo non esaltante), ma negli ultimi mesi sono per la prima volta superiori ai pessimisti (oggi al 21%, erano al 37% agli inizi del 2012). E, ultimo ma non per importanza, cresce la voglia di vacanza. Il nostro osservatorio mensile condotto per Findomestic segnala il valore più elevato degli ultimi tre anni.

Se quindi è vera l’ipotesi che andiamo facendo – un atteggiamento razionale che si mantiene critico, un orientamento emotivo che tende all’ottimismo – forse è il caso di cercare una spiegazione che vada al di là della classica luna di miele. È vero, tutti i governi recenti sono partiti con un consenso decisamente elevato e comparabile con il governo attuale, ma Renzi sembra tenere meglio dei governi precedenti. Inoltre, pur essendo, per quanto in modo spurio, un governo “politico”, il Presidente del Consiglio gode di una trasversalità di consenso molto evidente.

Sembrano mescolarsi in questo atteggiamento degli elettori alcuni elementi forti, molti dei quali già sottolineati e che vale la pena semplicemente ricordare. La rottura col passato: in questo caso il passato non riguarda solo le “vecchie” tradizioni che hanno segnato il ventennio (compresa l’incompiuta rivoluzione liberale di Berlusconi), ma nel passato sono anche i governi tecnici. Il ricambio generazionale che fa il paio con l’archiviazione di un ceto politico fallimentare e anche con le sue forme di rappresentanza. Questo è il primo punto, molto evidente: una cesura che si ammanta di simboli e segni immediatamente visibili. E che incontra un’attesa profonda e trasversale.

Il linguaggio è un altro punto forte. Linguaggio diretto, immediatamente comprensibile, con metafore e riferimenti propri di nuove generazioni.

Questi elementi convergono in un racconto del Paese. Non a caso, e non mi sembra affatto un particolare privo di rilevanza, il presidente del Consiglio parla del partito di cui è segretario come partito della nazione. Con due valenze. Una interna: è una mutazione genetica che trasforma il Pd in un partito pigliatutto, d’altronde coerente con un contesto in cui la rappresentanza sociale si disarticola. Una esterna: indica anche qui un percorso di superamento delle faglie di frattura che hanno segnato la Seconda repubblica e contemporaneamente qualifica il Pd come il portatore (e il contenitore) di questo superamento.

Anche perché il conflitto cambia attori e terreno: dallo scontro capitale/lavoro oggi la frattura sembra passare attraverso il conflitto produzione/finanza. E se questo è vero, allora la messa in discussione delle forze di rappresentanza e del loro ruolo che Renzi sta perseguendo potrebbe avere un senso profondo e più ampio del semplice tentativo di liberarsi di lacci e lacciuoli. E qui basta pensare all’incontro di Renzi con gli imprenditori vicentini e veronesi.

Il meccanismo è quindi quello dello storytelling: un racconto che vuole in qualche modo anche essere interattivo (si pensi alle mail sulla riforma della PA), e che utilizza gli strumenti del discorso narrativo superando lo stereotipo pubblicitario. Coniugando l’uso dei mass media con quello dei deep media, digitali e che favoriscono la partecipazione (sono debitore del concetto di deep media a F. Rose, Immersi nelle storie, Codice edizioni, Torino, 2013).

Questa narrazione si rafforza grazie ai successi sulla scena europea. Poco importa, al momento, dei risultati effettivi, come abbiamo visto. I racconti dei media enfatizzano il ruolo del paese e la crucialità di questo appuntamento. E i cittadini elettori apprezzano questo ruolo. Non a caso i picchi più elevati dei governi precedenti (Monti e Letta) si registravano in occasione dei successi e dei riconoscimenti internazionali.

Due sembrano essere le sfide che Renzi ha di fronte. Il consolidamento della squadra. Che non può offuscare la sua primazia, ma non può nemmeno essere in secondo piano. Questo per consolidare la fiducia che le europee gli hanno assegnato. L’altro come sempre è la velocità. Ma in questo caso è necessario ottenere risultati tangibili e spendibili a breve.  

* Direttore divisione politico-sociale, Ipsos Public Affairs

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