Pensioni, la santa alleanza contro i giovani

Pensioni, la santa alleanza contro i giovani

Mi dispiace, non sono d’accordo. Nel giro di 24 ore, si è ricreata in Italia una santa alleanza tra destra, sinistra e sindacati al grido “il governo non tocchi le pensioni”. Il Corriere della Sera ha dato il suo per una volta potente contributo, insistendo per due giorni sul fatto che Renzi non può tradire il contratto con i pensionati, che hanno versato i loro contributi quando lavoravano e che oggi beneficiano dell’assegno maturato in base a quel contratto. Apparentemente è un principio sacrosanto. Se non fosse per il fatto che il sistema previdenziale italiano è stato costruito dalla politica sulla base di una grande ingiustizia. E mi addolora che si uniscano oggi nel negarlo anche liberali costretti ad arrampicarsi sugli specchi, perché da una parte hanno sostenuto che era un errore escludere interventi sulle pensioni quando a proporli a marzo fu Cottarelli, e ora dicono no per il solo fatto di sparare sul governo Renzi pensando un domani di lucrar voti.

I 15,7 milioni di pensionati nel 2013 a carico dell’Inps, che incassano 21 milioni di trattamenti perché in diversi casi si sommano (pensioni di anzianità, vecchiaia, superstiti), sono per 14,1 milioni del settore privato, il resto ex lavoratori pubblici. Dei pensionati “privati”, 12,7 milioni incassano un assegno maturato col sistema “retributivo”, cioè precedente alla riforma Dini del 1995, in cui il trattamento era agganciato alle ultime retribuzioni, solo 356mila col sistema “contributivo” introdotto dalla Dini – in cui contano i contributi versati nel corso della vita lavorativa, moltiplicati con un certo coefficiente per l’andamento del Pil, ed erogabili per vecchiaia oggi a 66 anni ma via via ad età maggiori, man mano che cresce l’attesa di vita. C’è poi poco più di un milione di pensionati privati che incassa trattamenti col sistema “misto”.

È l’effetto della troppo lunga transizione da un sistema all’altro – circa 20 anni – decisa dalla politica quando votò la riforma Dini, dopo che per troppi anni aveva rinviato la riforma del vecchio sistema concepito quando l’Italia cresceva del 3% l’anno, e aveva molti meno anziani a carico dei lavoratori. Perché il sistema, sia quello retributivo che quello contributivo, a differenza di quanto credano i più, non è affatto tarato in modo tale da pagare le pensioni sulla base dei contributi effettivamente versati, rivalutati a seconda di come sono stati investiti anno per anno come funziona nella previdenza privata. Le pensioni erogate, sia quelle retributive sia quelle contributive, sono pagate dai contributi di chi è oggi al lavoro. Resta cioè un sistema a “ripartizione”.

Qual è l’ingiustizia creata da questa transizione troppo lunga, che la politica ha deciso per non inimicarsi nelle urne milioni di voti? Il fatto che i troppo pochi che lavorano oggi, e se sono giovani lo fanno a tempo determinato e soggetti a frequentissime interruzioni della regolarità dei versamenti contributivi, debbano pagare milioni coi loro contributi gli assegni previdenziali a chi col vecchio sistema continuerà ad avere pensioni pari anche al 90% dello stipendio dell’ultimo mese lavorativo, mentre chi paga oggi andrà in pensione a età molto più avanzate di loro – per effetto della riforma Fornero – e con un assegno che potrebbe non coprire – dipende da come va il Pil italiano nel frattempo, oggi e da anni va male – che il 40 o il 50% di quanto guadagnava finché ha lavorato.

Eccolo, il problema: un’enorme ingiustizia tra le generazioni. A questo fine, non per far cassa e risparmiare soldi, avrebbe senso reintervenire sulle pensioni, e ricalcolare per tutti i trattamenti sulla base del sistema contributivo e non retributivo. Ovviamente si tratterebbe di farlo con senso della misura, sottraendo di più a chi ha pensioni più elevate, magari superiori ai 3 o 4 mila euro al mese (il 7,8% dei pensionati, che stanno sopra i 2.500 euro al mese, incassano 58 miliardi l’anno dei 256 miliardi di pensioni, cioè quasi il 20%), e di meno a chi le ha più basse. Attualmente è previsto un contributo di solidarietà a partire dal 6% per chi ha pensioni tra i 7 e i 10mila mila euro, del 12% per la quota tra i 10mila e 14.800 euro, e del 18% per la parte eccedente tale soglia. Ma così concepito l’intervento è una tassa, mentre il problema di giustizia tra generazioni imporrebbe invece una rivisitazione eguale per tutti del sistema in base al quale, dato il montante dei contributi versati lavorando, si determina poi la pensione erogata.

Oggi, un enorme regalo viene pagato da chi lavora e non ne avrà più diritto. Vi sembra giusto, pensando ai vostri figli?

Si dirà: sì, ma queste regole mica le hanno scritte i pensionati. Giusto, le ha scritte la politica. Ma ingiuste restano. Si aggiungerà: sì, ma così facendo leveremmo ulteriori risorse agli impoveriti italiani. E qui la risposta è no, eviteremmo di consegnare alla povertà le generazioni a venire per sostenere quelle precedenti, più patrimonializzate.

Purtroppo, però, la parola d’ordine prevalente, come si è visto in 24 ore, resta “non toccate le pensioni”. I giovani senza lavoro e senza pensione a venire, o nel migliore dei casi molto basse, commossi ringraziano.

Era lecito attendersi che di fronte alle indiscrezioni attribuite al governo di un intervento sulle pensioni – per quanto confuse fossero le indiscrezioni, perché diverso è parlare di un altro ritocco al “contributo di solidarietà”, altro è il ricalcolo generale dei trattamenti, e molte possono essere le soluzioni intermedie – il fronte riformatore liberale fosse unito nell’incoraggiare a perseguire la via, magari proponendo soluzioni tecniche adeguate. Invece no, il Corriere ha suonato la tromba del “non si toccano le pensioni” – e mi addolora sia stato anche Ostellino, un liberale a mille carati – e partiti e sindacati han subito fatto coro. Mi spiace che anche Passera sia sia unito, sia pure, come Cazzola, sparando contro l’ipotesi che i ritocchi alle pensioni retributive servano a coprire eventuali prepensionamenti che scardinano i tetti pensionabili posti dalla riforma Fornero. E’ ovvio che ai prepensionamenti si debba dire no, ma quando si dice “non toccate le pensioni” l’addendo “per pagare eventuali prepensionamenti” sparisce: in politichese conta solo il messaggio forte “non toccate le pensioni”.

Ed è esattamente quel che Corriere e Passera hanno fatto: chi per tutelare lettori anziani col loro regalo di pensione retributiva, chi pensando di lucrar voti contro Renzi. Dimenticando allegramente che la differenza tra contributi raccolti e trattamenti erogati è di oltre 54 miliardi nei conti 2012 se ci limitiamo alla previdenza “stretta”, mentre se ci allarghiamo ai trattamenti anche assistenziali e sociali erogati dall’INPS il deficit a carico del contribuente è di 83,6 miliardi l’anno, come sul Corriere ricordava Alberto Brambilla. E dimenticando che la politica, pur avendo aspettato 20 anni per mutare sistema di calcolo previdenziale con la riforma Dini, e quasi il doppio per elevare l’età pensionabile con la riforma Fornero, ha bellamente sempre riconfermato i trattamenti ancor più privilegiati nel privilegio, concessi per il calcolo delle pensioni retributive ad alcuni fondi come quello dei dirigenti, dei postelegrafonici, del personale di volo delle compagnie aeree, rispetto agli standard che valgono per gli altri sempre soggetti ai trattamenti retributivi.

È l’ennesima prova che un fronte liberal-riformatore, su questi temi, non c’è, è troppo debole, troppo accecato da transeunti calcoletti politici. In un paese sempre più vecchio, si ragiona da vecchi.

E in tutto questo, nessuno si scandalizza per un piccolo particolare che dovrebbe invece far urlare tutti: l’Istat ancora ieri ha chiarito che l’eventuale ricalcolo col sistema contributivo per tutti i pensionati non lo può fare. E sapete perché? Perché dei milioni di pensionati pubblici mancano conti attendibili della loro reale storia contributiva. Perché lo Stato che tanto persegue gli evasori, i contributi ai dipendenti pubblici non li pagava, tanto era una partita di giro. Ecco, questa sola cosa dovrebbe far riflettere tutti, su come funziona davvero il sistema previdenziale italiano. E farci vergognare dei 6,8 milioni di pensionati che non arrivano a incassare oggi mille euro al mese.

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