Doveva essere una giornata di festa, la vittoria del premier Matteo Renzi per aver piazzato un suo uomo, Giovanni Legnini, alla vicepresidenza del Consiglio Superiore della Magistratura. E invece ne è venuto fuori un pasticcio, con il mancato insediamento del componente laico Teresa Bene, le solite polemiche, le critiche del Movimento Cinque Stelle e un palazzo dei Marescialli ancora in alto mare in attesa di trovare un sostituto (il nome più chiacchierato in queste ore è quello di Anna Rossomando, deputata dem, ex ds e avvocato di Torino vicino ai giovani turchi di Matteo Orfini).
Intanto la politica fa in conti con l’inedita vicenda. Il Csm ha dichiarato ineleggibile la professoressa napoletana di Diritto Processuale penale per mancanza dei requisiti. La figuraccia vale doppia. Perché Bene è stata consulente di Andrea Orlando, attuale ministro di Grazia e Giustizia, quando era ministro dell’Ambiente. E sarebbe stato proprio il Guardasigilli a caldeggiarla. La legge, però, è la legge. E il cortocircuito potrebbe presto diventare esplosivo, perché in questo caso l’errore interesserebbe proprio il ministero, dove i tecnici avevano dato rassicurazioni in merito a Orlando.
La decisione è stata presa all’unanimità su proposta della Commissione verifica titoli secondo una disposizione varata durante lo scorso mandato: Bene non ha nel curriculum i 15 anni di esercizio della professione forense, richiesti dall’articolo 104 della Costituzione «per l’elezione a membro laico in alternativa al titolo di professore ordinario in materie giuridiche». È una pronuncia «errata, infondata e strumentale», «i miei diritti di partecipazione sono stati platealmente violati», ha protestato Bene prima di lasciare l’aula. Sulla vicenda ha espresso il suo «rammarico» persino Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, che ha parlato di «frettolosità e disattenzione in Parlamento nel pur laborioso processo di selezione per i rappresentanti del Csm». Allo stesso tempo il Capo dello Stato ha invece manifestato il proprio «vivo compiacimento» per l’ampio consenso ricevuto da Legnini: «darà nuovo slancio» al Csm, per «affrontare con concretezza anche i problemi più complessi» «in un confronto sereno, non viziato da contrapposizioni».
Legnini a parte, un garantista, di sicuro non un esponente vicino alle correnti di Magistratura Democratica, resta il nodo Bene. Che rischia di avere ripercussioni nel lungo periodo, con strascichi sul governo. «Non è mai successo nella storia della Repubblica, bisognerebbe informarsi meglio, magari studiare» spiega una toga a microfoni spenti. Ma la vicenda come sempre s’interseca nei già difficili rapporti tra magistratura e politica, con in mezzo il tentativo di riformare le toghe da parte del governo Renzi. E in questa chiave la vicenda Bene potrebbe essere un ostacolo lungo la strada. «Forse uno sgambetto» sussurra qualcuno. «Ma la legge è la legge» dice un ex membro di palazzo dei Marescialli «meglio evitare dietrologie». La stessa situazione, del resto, si verificò con Ettore Maria Albertoni durante il precedente insediamento. Era professore, ma fu accertato che avesse fatto 15 anni di praticantato forense. E alla fine diventò regolarmente membro laico del Csm.
«Niente di terribile. Non è che sia stato commesso un reato» dice Emanuele Fiano del Pd a Effetto Giorno, su Radio 24. «C’è stata» aggiunge «una mancata attenzione su un elemento dei requisiti. Porremo rimedio. Il Csm può comunque lavorare». Ma è Rosi Bindi a raccontare un retroscena che rischia di accendere ancora di più gli animi. «Queste sono le cose che un partito non dovrebbe permettersi di fare soprattutto per quanto riguarda le elezioni degli Organi di garanzia» spiega il presidente della Commissione Antimafia. «Questo impedimento era stato ampiamente segnalato da molte persone che sono particolarmente attente alla formazione dell’Organo. Arrivare a dover far emettere un giudizio dall’Organo del quale una deve fare parte è un fatto umiliante. Per la persona sicuramente, ma anche per il Parlamento e il Partito Democratico, purtroppo in questa vicenda non abbiamo dato una buona prova».
E mentre la Corte Costituzionale si trova ancora in alto mare per l’ennesima fumata nera, è la quindicesima, per Donato Bruno e Luciano Violante, il punto resta sempre la riforma della giustizia. Legnini si è assunto l’impegno di attribuire «centralità» al ruolo del plenum, depositario della «volontà collegiale» del Csm. Così come, invitando Palazzo dei marescialli ad accettare «la sfida delle riforme», facendo proprio l’obiettivo del «pieno recupero dell’efficienza della giustizia italiana», ha sottolineato la legittimità dei pareri del Csm sulle riforme; una prerogativa che sarà esercitata «senza invasioni di campo», ma «segnalando in modo puntuale» le norme in contrasto con gli obiettivi dichiarati o che possono ledere «ruolo e funzione costituzionale dei magistrati»; funzione che «è e dovrà essere sempre autonoma, indipendente e imparziale». Ma a problemi si aggiungono sempre problemi. E la giustizia è sempre più nel pantano.