Pedofilia, l’ambasciatore Bosio rischia l’ergastolo

Pedofilia, l’ambasciatore Bosio rischia l’ergastolo

A cinque mesi dall’arresto di Daniele Bosio, il processo nei confronti dell’ex ambasciatore italiano in Turkmenistan entra nel vivo. Prenderà il via domani la seconda udienza del procedimento a carico del diplomatico italiano, fermato nelle Filippine con l’accusa di aver violato la legge sulla protezione dei minori. Lo scorso aprile la vicenda aveva fatto grande scalpore, anche in Italia. Passata la curiosità delle prime settimane, l’attenzione di giornali e televisioni è pian piano sfumata. E la vicenda finita sotto silenzio. 

Eppure il caso è tutt’altro che chiarito. Durante l’estate la querelle giudiziaria del nostro connazionale si è tinta di giallo. Almeno così denunciano i suoi legali, che puntano il dito contro una serie di violazioni e stranezze emerse nella vicenda. Anche per questo, adesso la difesa di Bosio punta a bloccare il processo. Una richiesta in tal senso è già stata presentata lo scorso giugno. Come prevede la legge filippina, infatti, i legali possono ricorrere attraverso l’istituto della “Petition for Review” al ministero di Giustizia di Manila. L’accoglimento porterebbe al ritiro dell’accusa per manifesta infondatezza e al probabile annullamento del processo. È una corsa contro il tempo. Se il ministro si pronuncerà entro i prossimi giorni, i legali sono convinti di avere buone possibilità di riuscire a ottenere l’archiviazione del caso. 

Il tempo a disposizione non è molto. Il processo a carico di Bosio è formalmente iniziato lo scorso 20 agosto con la lettura dei capi di imputazione. Domani è in calendario la seconda udienza, con la presentazione dei testimoni (che non saranno ancora ascoltati). «Ma ci troviamo ancora in una fase preliminare» spiega l’avvocato Elisabetta Busuito, che segue la vicenda dell’ex ambasciatore da Roma, in contatto con uno studio legale filippino. Se la risposta del ministro dovesse arrivare a breve, la vicenda potrebbe giungere a una rapida conclusione. Ipotesi molto più difficile se la decisione del governo arrivasse in autunno, a processo già in corso. Eppure fino a questo momento né la Farnesina né Palazzo Chigi hanno aperto un confronto con Manila, «Non so nulla di eventuali contatti» conferma l’avvocato.

Inevitabilmente si torna ai fatti dello scorso aprile. Bosio era stato fermato in un parco acquatico di Manila in compagnia di alcuni minori. Tre bambini “di strada” che secondo il racconto dell’italiano erano stati vestiti, lavati, rifocillati e invitati a trascorrere una giornata di svago. Notato da alcune attiviste di una Ong impegnata nella lotta al traffico di minori, Bosio era finito in carcere con l’accusa di traffico e abuso di minori. Sulla responsabilità dell’italiano deciderà la giustizia filippina. Ma è utile ricordare che i reati contestati sono in parte diversi da quelli previsti nel nostro ordinamento. Se il primo capo di imputazione presuppone lo sfruttamento sessuale, il secondo si prefigura anche per il solo fatto di trovarsi in compagnia di minori con più di dieci anni di differenza, non parenti entro il quarto grado, in luoghi privati o pubblici. Poteva un nostro rappresentante diplomatico esserne all’oscuro?

Se dichiarato colpevole, Bosio rischia una pena esemplare: da un minimo di circa 20 anni di galera fino all’ergastolo. Nelle fasi iniziali del procedimento, la difesa ha insistito sull’attività di volontariato per la tutela dei minori che da tempo caratterizza l’impegno del nostro diplomatico. I legali ricordano la deposizione dei tre minori, che avrebbero confermato al giudice l’assenza di qualsiasi violenza. E quella dei loro genitori, che hanno ammesso di aver dato il permesso alla visita del parco acquatico. Gli avvocati di Bosio denunciano poi una serie di violazioni inquietanti. A partire dalla detenzione. Nel carcere di Binyan, l’ambasciatore italiano ha trascorso i primi quaranta giorni in una cella di trenta metri quadri, in compagnia di altri 80 detenuti (alcuni malati di tubercolosi). Una condizione disumana, come denuncia l’avvocato Elisabetta Busuito. Tale da pregiudicare la salute del diplomatico, ricoverato in ospedale dopo un mese e mezzo di detenzione in seguito all’insorgere di gravi problemi di salute. «Oggi non è ancora guarito – ricorda il legale – paga ancora gli effetti di quella detenzione».

Ma la difesa solleva dei dubbi anche sul pubblico ministero, che nell’udienza del 30 aprile scorso avrebbe sospeso le indagini evitando di ascoltare numerosi testimoni a favore di Bosio (tra cui il preside di una scuola di Manila dove l’italiano sostiene economicamente alcuni studenti). Denunciando il comportamento delle autorità che dopo il fermo avrebbero fatto firmare all’ambasciatore un documento in lingua filippina in cui rinunciava ai propri diritti – aprendo di fatto le porte del carcere – in assenza del suo avvocato. L’accusa non è d’accordo, convinta della colpevolezza dell’italiano. La Ong che ha denunciato il comportamento di Bosio continua ad avere una parte attiva nel processo in corso, tanto da aver nominato un proprio legale in veste di “private prosecutor”. E proprio il rappresentante delle denuncianti ha recentemente chiesto alla Corte Suprema delle Filippine il trasferimento del procedimento a Manila, accusando il giudice naturale di non aver agito in piena imparzialità. 

Dalle Filippine intanto parla Bosio. Raggiunto al telefono da un giornalista italiano, qualche giorno fa l’ambasciatore ha rilasciato un’intervista a Panorama dando la sua versione dei fatti. «Rischia di essere solo una questione di soldi – le sue parole – Temo che le autorità filippine vogliano dimostrare che fanno di più per combattere pedofilia e traffico di minori. Così otterranno più fondi dagli organismi internazionali da distribuire anche alle ong locali che mi hanno denunciato».

Inutile entrare nei dettagli della vicenda. Del caso, si è già detto, si occuperà la giustizia filippina. Intanto lo scorso 10 luglio una prima decisione del giudice sembra aver riconosciuto alcune tesi della difesa di Bosio. Su richiesta dei suoi legali, il tribunale ha concesso la libertà su cauzione per il diplomatico italiano. E a sentire gli avvocati non è decisione priva di peso. Secondo la legge, infatti, la libertà su cauzione viene concessa solo in assenza di forti indizi di colpevolezza a carico dell’imputato. Di fatto insomma, il giudice avrebbe sposato, seppure in via preliminare, l’impianto difensivo dell’ex ambasciatore. «E si tratta dello stesso giudice che ha interrogato i bambini – ricorda la Busuito – Gli stessi che hanno confermato, come avevano già raccontato alla polizia il giorno dell’arresto di Bosio, che con il diplomatico avevano mangiato, giocato ed erano andati in piscina». Il legale insiste molto su questo passaggio. «Guardare negli occhi questi minori non è come sfogliare le carte del processo. Le posso assicurare che è tutta un’altra cosa. Chi fa penale è abituato a leggere il linguaggio non verbale, soprattutto dei bambini».

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