Il pasticcio c’è tutto. Di mezzo pure la magistratura in una fase così delicata per il governo alle prese con la riforma della giustizia. Ma la grana emiliano romagnola, con l’iscrizione nel registro degli indagati di Matteo Richetti e Stefano Bonaccini nell’ormai nota inchiesta spese pazze che ha toccato quasi tutte le regioni italiane – entrambi candidati alle primarie Pd di fine ottobre per le prossime regionali – potrebbe togliere le castagne dal fuoco al premier e segretario del Pd Matteo Renzi. E mettere fine a una diatriba che va avanti da qualche settimana con Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, sempre più stretto a palazzo Chigi e, a quanto si dice, «pronto» a correre per la storica regione rossa. Del come potrebbe accadere – magari con un rimescolamento dei candidati alle primarie – ancora non è chiaro. Ma sarebbero in tanti a spingere per questa opzione unica a favore del sottosegretario che secondo indiscrezioni non vorrebbe più stare nell’esecutivo.
E’ infatti questa la sensazione in alcuni ambienti di centrosinistra e centrodestra al termine di una giornata convulsa, iniziata con il ritiro della candidatura di Richetti e la successiva iscrizione dello stesso nel registro degli indagati dalla procura di Bologna. Le due cose non sarebbero collegate, anche se il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo grida vittoria. In particolare Andrea Defranceschi, consigliere regionale del movimento, che aveva in passato presentato un esposto sull’uso dell’auto blu da parte dell’esponente democrat. In ogni caso, dopo un pomeriggio di insinuazioni e dietrologie su da che parte stesse la magistratura è arrivata pure l’iscrizione di Bonaccini, che però, dopo un colloquio proprio con Renzi, avrebbe annunciato invece di non volersi ritirare dalla competizione.
Ma le carte sono ancora troppo mescolate. Il fronte è convulso. Anche perché Bonaccini è pure responsabile enti locali del Nazareno, punto di raccordo con la vecchia ditta di Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema. Di chiarezza ce n’è poca. C’è chi nel centrosinistra se la prende persino con la magistratura. «Facciamo così, per risparmiare tempo chiediamo alla Procura di Bologna chi vuole alla presidenza della Regione…»: scrive su Facebook a metà giornata l’assessore uscente alla cultura della Regione Emilia-Romagna, Massimo Mezzetti (Sel). Di mezzo c’è pure la prossima segreteria di giovedì e il possibile rimpasto di governo. In sostanza troppa carne al fuoco che ha spinto Renzi a invitare i suoi alla calma.
Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme, dice ad esempio: «Non è stato Renzi a chiedere a Richetti di non candidarsi. Mi auguro che Bonaccini possa dimostrare la sua innocenza, adesso valuterà lui cosa fare». Prudenza anche nelle parole del vicesegretario Pd Lorenzo Guerini: «Guardiamo con rispetto la decisione di Richetti di non candidarsi alle primarie e apprezziamo il suo gesto di tutelare il bene del Pd e dell’istituzione regionale. In attesa di notizie ufficiali, confidiamo potrà dimostrare la sua totale estraneità ai fatti che gli verrebbero contestati». Parole simili a quelle del segretario bolognese del Pd Raffaele Donini: «Rispetto la sua scelta personale». A margine della Festa dell’Unità di Firenze, invece, Massimo D’Alema spiega: «Quando la magistratura indaga bisogna rispettarne l’attività. Naturalmente noi sappiamo che in tantissimi casi si concludono con il proscioglimento degli indagati o con l’archiviazione. Siamo fiduciosi, seguiamo con rispetto le indagini».
Del resto dalle parti del Pd sul fronte emiliano romagnolo c’è fiducia, perché nel centrodestra è calma piatta: nè Lega Nord, nè Forza Italia, nè Ncd hanno candidati da presentare. Il centrosinistra dovrebbe avere partita facile. A meno che Grillo non peschi dalle primarie interne ai grillini un nome forte capace di spaccare il fronte «rosso». Se dovesse candidarsi, Delrio avrebbe partita facile. Le sue deleghe di sottosegretario passerebbero a Luca Lotti che diventerebbe così il vero nuovo Gianni Letta di palazzo Chigi. Con Lapo Pistelli pronto a diventare ministro degli Esteri, Renzi non avrebbe più nemmeno problemi di rimpasto. E potrebbe così terminare le litigate con l’amico Graziano, pronto a tornare al «lavoro» che più gli piace, a stretto contatto con l’amministrazione pubblica e gli enti locali.