Il pugno nell’occhio, il “misfatto ecologico esemplare”, lo scempio: in una parola – coniata apposta da Legambiente per definirlo – l’ecomostro. L’Hotel Fuenti, “l’edificio abusivo più famoso d’Italia” era stato costruito nel 1971 in barba a ogni vincolo paesaggistico, estetico e morale: arroccato su una preziosa scogliera di tufo nei pressi di Vietri, sulla costiera amalfitana, era a pochi passi dalla Torre di Bassano e interrompeva, come una violenza, il flusso di bellezza della costa.
La struttura era enorme: sette piani, 150 metri di lunghezza per 34mila metri cubi di cemento, da progetto iniziale (approvato, non si sa bene come, dal sovrintende paesaggistico Armando Dillon e “licenziato” dal sindaco Gino Masullo). Poi, come spesso succede, il risultato finale era un po’ diverso dal progetto, nel senso che era un po’ peggio: gli sbancamenti realizzati avrebbero potuto mettere a rischio la tenuta di tutta la scogliera. E così, anche grazie a un comitato di protesta molto agguerrito, furono tolte licenza e nulla-osta, l’edificio venne confiscato per passare al (parziale) abbattimento. Ma ci vorranno 28 anni (è successo nel 1999) e una guerra serrata in tribunale, visto che i Mazzitelli, la famiglia proprietaria, hanno cercato a più riprese e invano di ottenere il condono.
Nel frattempo la parola ha preso piede, ed “ecomostro” non è più solo l’Hotel Fuenti, ma anche ogni edificio abusivo o non abusivo che danneggia in modo irreparabile la bellezza del paesaggio. E l’Italia, che è piena di bei paesaggi, è piena anche di ecomostri: per fare qualche esempio, si può recitare un rosario che va da Torre Mileto (Foggia) a Baia Campi (Viesti), da Consonno (Lecco) a Chiavari (Genova), dall’ex Sir di Lamezia Terme. La corruzione, lo spregio per la bellezza, l’avidità divoratrice. Se è vero quanto diceva Roberta de Monticelli, cioè che la distruzione della bellezza è la rappresentazione visiva dell’ingiustizia, allora siamo in un Paese ingiusto. E non ci sembra di sbagliare.