Matteo Renzi? No grazie. Tra i parlamentari di Forza Italia c’è ancora una piccola ridotta che non si arrende. Una quarantina scarsa, tra deputati e senatori, che si ostina a fare opposizione. A Palazzo Madama hanno provato senza riuscirci ad affossare la legge elettorale. A Montecitorio si sono messi di traverso alla riforma costituzionale. Irriducibili, il patto del Nazareno non riescono proprio a digerirlo. Dopo aver sfidato il presidente Silvio Berlusconi durante l’ultima riunione, ora fanno outing incontrando i giornalisti alla Camera dei deputati. Li guida l’europarlamentare Raffaele Fitto, e questo non è un segreto. Come non è un mistero l’identità di tanti parlamentari che hanno deciso di ostacolare le intese con il premier. Si affollano nella piccola sala stampa, dove occupano le prime file.
«Per favore, non chiamateci frondisti». L’ex ministro Fitto lo ripete più volte. La critica è coerente e trasparente: «Le fronde avvengono in silenzio, le organizza chi ha qualcosa da nascondere. Noi difendiamo le nostre posizioni in maniera chiara». In linea teorica, i numeri per una scissione ci sono. A Palazzo Madama ben quindici senatori di Forza Italia si sono ribellati alla linea ufficiale, votando contro l’Italicum. A questi si aggiungono quattro esponenti del gruppo Grandi Autonomie e Libertà. «E alla Camera siamo in diciotto», raccontano. Eppure nessuno vuole lasciare il partito, così almeno assicurano. «Vogliamo aprire un confronto dentro Forza Italia». ripete Fitto. Podo dopo i suoi confermano: «Nelle nostre posizioni critiche siamo sempre leali».
Gli antinazareni di Forza Italia sono un fronte composito. Chi pensa che attorno al leccese Fitto si siano uniti pochi parlamentari pugliesi resta deluso. O meglio, non ci sono solo loro. «Siamo una realtà molto eterogenea» conferma la veneta Cinzia Bonfrisco. Vicino a lei siede il senatore Lionello Pagnoncelli, lombardo. «Legatissimo al suo territorio» conferma la collega. Realtà e storie diverse. Tra i deputati spicca Daniele Capezzone, presidente della commissione Finanze della Camera. Secondo alcuni resoconti giornalistici, durante l’ultima riunione a Palazzo Grazioli avrebbe avuto un duro confronto con l’ex Cavaliere. Al suo fianco c’è Maurizio Bianconi, ex tesoriere del gruppo Pdl alla Camera. Lui a quella riunione non si è neppure presentato, come il collega umbro Pietro Laffranco. Segno che i rapporti dentro il partito hanno raggiunto alti livelli di nervosismo.
La sfida al patto del Nazareno parte dai contenuti. L’accordo sulla legge elettorale e la riforma costituzionale rappresentano «una resa incondizionata ai diktat di Renzi» spiega Fitto. Non tutti hanno compreso il dietrofront di Berlusconi sul premio di maggioranza (attribuito alla prima lista e non più alla coalizione). Ma a preoccupare sono soprattutto i cento capilista bloccati. Un meccanismo che limita enormemente – soprattutto per il partito che non vincerà le elezioni – il numero dei deputati eletti con le preferenze. E per chi oggi condanna la linea ufficiale, rappresenta un’esclusione quasi certa.
Ma il dissenso dei critici passa anche da una questione di coerenza. Nella riforma costituzionale all’esame di Montecitorio mancano le grandi battaglie del centrodestra. Il presidenzialismo, il tetto fiscale in costituzionale, la soppressione del Senato. «Anche qui assistiamo a una resa totale – spiega Fitto – Stiamo svendendo la nostra storia». Dell’ipotesi di una nuova maggioranza con il Partito democratico non vogliono nemmeno sentire parlare. «Sarebbe un errore clamoroso». Il sogno è riportare Silvio Berlusconi sul fronte dell’opposizione, per rafforzare la posizione di Forza Italia. Altro che fronda. «Sono le scelte di questi giorni che rischiano di indebolirlo irrimediabilmente».
Intanto le prime conseguenze rischiano di pesare nella scelta del presidente della Repubblica. I quaranta forzisti critici sono un gruppo numericamente rispettabile, in grado di pesare nella difficile elezione che inizierà la prossima settimana. Sul Quirinale, Fitto preferisce tenersi le mani libere. Difficilmente saranno accettati nomi calati dall’alto all’ultimo momento. La stessa decisione di puntare su Antonio Martino per i primi scrutini viene considerata un errore. «Avrei preferito che il partito lo avesse coinvolto di più negli ultimi venti anni», ammette l’europarlamentare. L’ennesimo scivolone sull’altare dell’intesa con il presidente del Consiglio. Anche stavolta i fittiani sono convinti di essere dalla parte della ragione. Alla base del dissenso c’è un dato di fatto. «Più sale il nostro sostegno a Matteo Renzi – allarga le braccia Fitto – Più scende il consenso tra i nostri elettori».