Quante sono state le rivoluzioni tecnologiche nel corso della storia? Tre, dice Sam Altman. Lui, secondo Forbes, è il migliore investitore sotto i 30 anni. Loro, le rivoluzioni, sono quei periodi storici in cui l’impatto di nuove tecnologie modifica radicalmente il mondo che fino a poco prima conoscevamo.
Laureato in computer science a Stanford, Altman è presidente di Y Combinator, uno dei più vivaci acceleratori della Silicon Valley che finanzia startups attraverso un programma da 120 mila dollari e un percorso di affiancamento della durata di tre mesi. Ha investito in società che ad oggi valgono complessivamente circa 30 miliardi di dollari. Airbnb, Dropbox, Stripe e Reddit sono solo alcune.
Oltre che investitore visionario, è anche uno dei maggiori influencer del mondo dell’innovazione e in unarticolo recentemente pubblicato sul suo blog ha discusso di quella che ritiene essere la terza rivoluzione tecnologica, dopo quella agricola e quella industriale: la software revolution . Il software (per chi non ne mastica) non è altro che una sequenza di istruzioni messe insieme per svolgere un determinato compito. I programmi dei nostri computer, come Word ed Excel, per intenderci.
Spesso compriamo “software” senza neanche esserne coscienti: una ricerca del 2013 ha dimostrato che il 23% dei prodotti in circolazione contiene software
Oggi, il software, è ovunque (Andreessen, addirittura, afferma che il “Software sta mangiando il mondo”). Spesso compriamo “software” senza neanche esserne coscienti: una ricerca del 2013 ha dimostrato che il 23% dei prodotti in circolazione contiene software in qualche forma. Basti pensare ai telefoni cellulari, alle televisioni digitali, ai computer e più in generale a tutti quei prodotti che contengono programmi informatici che ne permettono il funzionamento. Basti pensare a come interagiamo con essi nella nostra quotidianità, a come abbiano ristrutturato la nostra capacità di orientarci nel mondo.
È questo che le rivoluzioni tecnologiche hanno in comune: in tutti e tre i casi, la tecnologia ha fatto irruzione nella società, rivoluzionando la struttura della società stessa e impattando sulle nostre vite in modo irreversibile. Non si torna più indietro, insomma. E anche della terza rivoluzione tecnologica, probabilmente arriveremo ad apprezzarne a pieno gli effetti solo a distanza di tempo, quando ci saremo lasciati alle spalle gli effetti negativi che porta inevitabilmente con sé.
Quali? Altman ne cita almeno due. Distrugge posti di lavoro generando disuguaglianze e mette nelle mani di pochi un’enorme capacità di creare danni per tutti.
L’ineguaglianza della distribuzione della ricchezza sarà uno dei problemi sociali più pesanti dei prossimi 20 anni
Oggi i computer tendono a sostituire i lavori meno qualificati, mentre i lavori ad alta specializzazione – quelli complementari al lavoro svolto dalle macchine – hanno iniziato ad essere sempre più preziosi e ben pagati. Altman sostiene che l’ineguaglianza della distribuzione della ricchezza sarà uno dei problemi sociali più pesanti dei prossimi 20 anni. Certo, si può tentare di redistribuirla, la ricchezza. Ma questo non risolve il problema. Cercare di mantenere i lavori inutili è un’idea pessima, anche se popolare. Tentare di creare posti di lavoro tout court per miliardi di persone sarebbe di sicuro una buona idea ma ovviamente impraticabile: nonostante sia possibile creare nuovi posti di lavoro, questi saranno così profondamente diversi da ciò che esiste oggi che una pianificazione sensata del cambiamento sarebbe impensabile.
C’è poi una seconda ombra su questa rivoluzione ed è rappresentata dall’intelligenza artificiale e dalla biologia di sintesi, che progetta o fabbrica sistemi biologici non esistenti in natura o ne riproduce quelli già presenti. Il software può mettere nelle mani di pochi, enormi capacità di causare danni. E’ possibile produrre malattie letali in un piccolo laboratorio o sviluppare intelligenze artificiali in grado di porre fine alla vita umana. A differenza delle epoche passate, perchè siano prodotte, le nuove minacce non richiedono gli sforzi economici di una nazione ma sono sufficienti poche centinaia di persone al lavoro con nient’altro che un pc.
Tutto ciò non significa che la rivoluzione del software sia negativa per l’umanità, anzi . Il software e le sue applicazioni hanno migliorato le vite di miliardi di persone , spesso in modi in cui il “reddito medio” non è in grado di misurare.
Il software e le sue applicazioni hanno migliorato le vite di miliardi di persone , spesso in modi in cui il “reddito medio” non è in grado di misurare
Uno dei paradossi più significativi della globalizzazione infatti – resa possibile anche e soprattutto dal diffondersi della tecnologia – come cita Enrico Moretti, è che i gruppi sociali maggiormente colpiti sul fronte occupazionale sono gli stessi che hanno tratto benefici come consumatori (la teoria del vantaggio competitivo tra paesi porta ad un abbassamento dei prezzi). Il professore dell’Università di Berkley va anche oltre: perchè l’innovazione genera benessere per tutti? Perché crea complementarietà tra lavori traded e non traded (per ogni ingegnere del software ci sono almeno cinque lavoratori “non-traded“, del mondo dei servizi locali come tassisti, domestici, carpentieri, medici, avvocati o baby-sitter); perché i miglioramenti tecnologici sono anche miglioramenti produttivi e perché quando in una determinata zona geografica si concentra un forte tasso di capitale umano altamente scolarizzato, ne risente positivamente anche il livello culturale generale.
Cosa possiamo fare per affrontare la terza rivoluzione tecnologica senza uscirne scottati, si chiede Altman? Di sicuro, non possiamo fermare il progresso tecnologico. Oltre che impossibile, sarebbe la cosa più insensata da immaginare. Di certo però è necessario che i frutti positivi della tecnologia siano superiori agli effetti negativi che applicazioni distorte potrebbero generare. E una legislazione attenta e matura in questa direzione, potrebbe essere un primo, preziosissimo, passo.