Manca oramai pochissimo alla scadenza del 31 marzo, entro cui le delegazioni iraniana e quelle del 5+1 (gli Stati del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più la Germania) dovranno definire almeno una bozza di intesa sul dossier nucleare. Gli occhi delle diplomazie mondiali sono puntati su Ginevra, dove proseguono le trattative, e tutti gli attori regionali stanno già pianificando le mosse successive.
Israele è capofila del fronte contrario all’accordo e il suo premier Benjamin Netanyahu, recentemente rieletto, è in rotta con l’amministrazione Obama specialmente, ma non solo, per la determinazione della Casa Bianca nel voler normalizzare i rapporti con Teheran. Secondo diversi analisti, non si può escludere la possibilità che Israele decida, se ritenesse l’accordo con l’Iran insufficiente a prevenire lo sviluppo di un nucleare militare, di bombardare i siti nucleari iraniani come già fece in Iraq nel 1981 o più di recente, nel 2007, in Siria. «Potrebbe farlo anche senza l’avallo dell’alleato americano», spiega Simone Pasquazzi, esperto di analisi dei rischi e analista presso l’Istituto italiano di studi strategici. «Quando Israele sente minacciata la propria sicurezza, le pressioni statunitensi perdono di efficacia. Tuttavia, in questo momento non credo sia probabile un attacco: anche all’interno della comunità di analisti e strateghi israeliani c’è una spaccatura sull’opportunità di un’azione militare preventiva. Se poi dovesse avvenire comunque, Israele si esporrebbe a una massiccia ritorsione, anche se non a una guerra aperta: i gruppi terroristi sciiti intensificherebbero i loro attacchi e Teheran potrebbe anche lanciare i propri missili – teoricamente adatti a trasportare anche armi batteriologiche o chimiche – sugli obiettivi israeliani».
Israele, per evitare scenari catastrofici, alla fine potrebbe anche inghiottire il boccone amaro di un accordo ritenuto insoddisfacente. L’Arabia Saudita, che è in una situazione ancora più delicata, sembra di no. A differenza di Tel Aviv, Riad non ha ad oggi un arsenale nucleare da contrapporre a quello che eventualmente potrebbe sviluppare Teheran. E se l’ostilità iraniana verso Israele è soprattutto ideologica e a scopo di propaganda, la rivalità tra gli Ayatollah e i Sauditi – che incendia lo scontro tra sunniti e sciiti in tutta l’area – è totale a livello strategico e geopolitico. Per questo – circola la voce negli ambienti dell’intelligence – Riad avrebbe già trovato un accordo col Pakistan per acquistare delle bombe atomiche nel momento stesso in cui l’Iran fosse vicino ad avere un arsenale nucleare militare. «Qualunque risultato esca dalla trattativa, vorremo per noi lo stesso trattamento», ha dichiarato il principe Turki Al Faisal, ex capo dei servizi segreti sauditi. «E se l’Iran ottenesse l’abilità di arricchire l’uranio a un qualsiasi livello, non sarebbe solo l’Arabia Saudita che chiederebbe lo stesso per sé».
L’incubo di un Medio Oriente armato con testate atomiche è uno degli argomenti forti di chi si oppone a tutti i costi all’accordo con l’Iran. L’ex ambasciatore Usa all’Onu, il repubblicano John R. Bolton, in un recente articolo sul New York Times ha teorizzato il bombardamento dei siti nucleari iraniani come unico antidoto a una Repubblica Islamica dotata di armi atomiche e alla seguente corsa agli armamenti dell’intera regione. Secondo Bolton, nei recenti colloqui tra Sauditi, Pakistan, Egitto e Turchia «la questione nucleare era sicuramente nell’agenda. Il Pakistan potrebbe velocemente fornire armi o tecnologia nucleare anche a Egitto, Turchia e altri. Oppure, per il giusto prezzo, la Nord Corea potrebbe vendere a questi Stati l’atomica alle spalle dell’alleato iraniano».
«I Sauditi hanno sicuramente la possibilità di diventare in futuro una potenza atomica, anche solo per le ingenti risorse economiche di cui dispongono», spiega ancora Pasquazzi. «Sull’Egitto e la Turchia sono più scettico: la seconda, essendo membro Nato, gode già di fatto dello “scudo nucleare” dell’Alleanza come deterrente. Per il Cairo poi il nucleare è probabilmente fuori portata, anche se potrebbe comunque dotarsi di armi non convenzionali diverse dall’atomica, come quelle batteriologiche o chimiche, sempre in funzione di deterrente».
Il rischio di una corsa agli armamenti è in ogni caso ritenuto plausibile: con l’Occidente impegnato nella guerra allo Stato Islamico – fanatici sunniti – al fianco dell’asse sciita guidato dall’Iran, il piano inclinato al momento sembra portare verso un accordo con Teheran e allontana le possibilità di bombardamenti mirati su obiettivi iraniani. Dalla reazione degli alleati dell’Occidente nella regione – Sauditi ed Egitto in primis, ma non solo – si capirà se in futuro, nella polveriera mediorientale, dovremo fare i conti anche con l’uranio in mani diverse da quelle israeliane.