Ci sono fantasmi che si aggirano per le redazioni delle case editrici italiane. Non è certo una novità: sono lavoratori precari, pagati — perché assunti vuol dire altra cosa — con accordi di ogni tipo, dalla partita IVA al contratto di collaborazione a progetto, un animale da bestiario fantastico che altri chiamano Cocopro. Sono ovunque, a ricoprire praticamente ogni mansione, dalla traduzione al marketing, dalla redazione all’ufficio stampa, e, se non sono proletari, è soltanto perché di avere figli non se lo possono permettere.
Per una parte di questi fantasmi, venerdì 6 marzo è stata una giornata importante, come se qualcuno si fosse reso conto che il rumore che sentiva in quelle redazioni non erano spifferi, ma catene. Venerdì infatti la Rete dei redattori Precari ha diffuso un comunicato stampa, che in molti non si aspettavano nemmeno più, che riguarda una parte di quei fantasmi, ovvero i redattori precari che lavorano in due delle più grosse aziende del settore, Mondadori e Rizzoli Libri.
A leggerlo si ha l’impressione che sia una buona notizia:
All’indomani della chiusura dell’indagine, l’Ispettorato, alla presenza di Francesco Aufieri, responsabile Slc-Cgil Milano, ha convocato i responsabili del personale di Rcs Libri e Mondadori, ai quali ha ingiunto di trasformare numerosi contratti di collaborazione a progetto in contratti a tempo indeterminato: i redattori, al pari di altre figure editoriali, svolgono un ruolo fondamentale all’interno di una redazione e quindi devono essere assunti.
Sembra una buona notizia, dicevamo, ma non lo è nemmeno per metà, perché rimangono diversi problemi.
Il primo sono i numeri: 21 contratti da regolarizzare per Rcs e un numero che non siamo riusciti a identificare chiaramente per Mondadori. Ma una cosa è abbastanza certa: sono ancora pochi, perché si sta parlando solamente dei redattori, mentre per tutti gli altri, dagli editor agli uffici stampa, dal marketing ai grafici — e sono tanti i precari anche in queste posizione — tutto continua come prima.
Rcs Libri si è detta disponibile, Mondadori, al contrario, avrebbe deciso di impugnare la riconversione
Il secondo sono le risposte: Rcs Libri si è detta disponibile, a quanto ha dichiarato Francesco Aufieri, sentito da Linkiesta, ad accettare la riconversione imposta dall’ispettorato del lavoro e sfruttare, a partire dal 1° luglio, i nuovi contratti a tutele crescenti, ma Mondadori, al contrario, avrebbe deciso di impugnare la riconversione dichiarando all’ispettorato che non ci sarebbe alcuna irregolarità nei contratti dei propri dipendenti e rifiutandosi di dialogare su questo tema con la Cgil.
Un terzo problema, per ora soltanto potenziale, è la possibile acquisizione di Rcs Libri da parte di Mondadori, che potrebbe mettere in pericolo anche quei 21 contratti in via di riconversione da parte di Rizzoli. Aufieri su questo punto si è dichiarato ottimista: «stiamo lavorando per chiudere gli accordi il più in fretta possibile, perché anche nell’eventualità della acquisizione gli accordi presi in precedenza sarebbero validi».
Se resta in qualche modo una buona notizia è perché apre la strada, è un precedente importante per i tanti esclusi da questa operazione. Un precedente legale, certo, ma anche un precedente morale, che potrebbe convincere tanti precari a uscire dall’ombra, e non solo dall’ombre ingombranti dei due colossi milanesi.
I provvedimenti hanno riguardato soltanto Mondadori e Rizzoli, ma è solo la punta dell’iceberg
Se i provvedimenti e le ispezioni hanno riguardato per ora soltanto Mondadori e Rizzoli, ci racconta Simona della Rete dei Redattori Precari, «è perché la gran parte di noi di Rerepre lavora a Milano e in quelle due aziende. Abbiamo provato a cercare informazioni su situazioni analoghe in altre case editrici, ma, pur immaginando che le condizioni di lavoro siano molto simili e il precariato egualmente diffuso, non abbiamo nessuno che ci lavora dentro». Per Simona, in ogni caso, questa è solo la punta dell’iceberg. E non suona difficile crederle.
Per ora quella punta sono i redattori perché sono i più visibili e i più numerosi, ma anche perché — come dice Francesco Aufieri — «il loro lavoro è più difficilmente mascherabile come esterno e freelance, mente per tutti gli altri, dal marketing all’ufficio stampa fino ai grafici, è più facile farli passare per collaboratori».
Ma quanti sono i precari dell’editoria? Al momento attuale la cifra è difficile da definire con precisione, anche se sappiamo con certezza che non ha meno di tre zeri. Ad aiutarci a farci un’idea delle dimensioni del fenomeno c’è un’inchiesta risalente alla prima metà del 2013 e condotta dall’Ires Emilia Romagna per conto del Sindacato dei lavoratori della comunicazione della Cgil . Si intitolava Editoria invisibile — a segnalare già dal nome la natura della battaglia — e metteva insieme i dati di 1073 questionari compilati da addetti del settore in forma anonima.
Da quei 1073 questionari — quasi sempre compilati sul luogo di lavoro, ma non di nascosto perché per la maggior parte dei casi il luogo di lavoro è la propria casa — emerge un ritratto abbastanza realistico di chi stiamo parlando. Immaginatevi a una donna, tra i 25 e i 29 anni, laureata, probabilmente con un master alle spalle, senza figli, single o al limite convivente, con uno stipendio inferiore ai 15mila euro l’anno e una tipologia contrattuale scelta a caso dall’ampio mazzo a disposizione in Italia, dal già citato Cocopro alla Partita Iva.
A questa immagine c’è da aggiungere un’altra caratteristica, che se in ballo ci fosse realmente un ritratto noteremmo in una certa espressione degli occhi e delle sopracciglia: la paura. Dei circa 200 iscritti alla Rete dei Redattori Precari — tra Milano, Roma, Bologna, Torino e molte altre città italiane — una minima parte è realmente attiva e si espone. La maggioranza se non è silenziosa si limita a sussurrare, magari sono gli occhi e le orecchie della Rete nelle redazioni, ma resta nell’ombra.
C’è anche chi, per minacce, per sfinimento o per semplice scadenza del contratto, continua con il proprio impegno più per passione che per interesse personale.
C’è anche chi, per minacce, per sfinimento o per semplice scadenza del contratto, continua con il proprio impegno più per passione che per interesse personale. «Non sono pochi quelli che non lavorano più nel settore». I motivi sono molto vari: da quelli a cui non hanno più offerto rinnovi o lavori nel settore, a quelli che non ce l’hanno più fatta e hanno deciso di cambiare. Qualcuno solo settore di lavoro, qualcun altro, e non sono pochi, addirittura paese. Ma anche questa non è certo una novità in Italia.