Quando alla scuola calcio ti affibbiano il ruolo di portiere ti insegnano che più della velocità di coordinazione e più della tecnica vale l’unica cosa che non ti possono insegnare: la capacità di valutare il rischio e di calcolare in una frazione di secondo distanza, velocità e traiettoria del pallone. La fiducia che ogni difensore ripone nel proprio portiere si basa sull’applicazione di tale capacità. La compattezza del reparto arretrato non è mai demandata alla disciplina tattica dei soli due centrali: il centro di qualsiasi (re)azione difensiva è la geometria variabile elaborata da interditori e portiere. In sostanza, il portiere è un esperto inconsapevole di fisica, psicologia e tattica. Paradosso epistemologico vivente, il portiere perfetto dovrebbe istintivamente applicare conoscenze che non sa neanche di avere. Almeno in teoria. Perché, spesso, quello che ti dicono alla scuola calcio è inutile. Perché, spesso, quello che ti insegnano è solo la cristallizzazione di una convinzione già superata.
Giuliano Giuliani non fu mai un portiere eccezionale. E non perché non ne avesse le necessarie doti istintive. Era un giocatore diligente che sapeva trasmettere sicurezza ai propri difensori, e non a caso è uno dei portieri meno battuti della storia del campionato italiano. Se si osservano le statistiche si può notare che dal suo anno di arrivo a Verona fino all’ultima stagione a Udine, Giuliani tenne una media di meno di un gol incassato a partita. Questo, però, non fu mai sufficiente. A Napoli i tifosi ripetevano spesso che la sua migliore dote era quella di avere una bella moglie, l’ex soubrette Raffaella Del Rosario. Anche le apparizioni in nazionale furono sporadiche. Giuliani riuscì a farsi convocare come dodicesimo nella Nazionale Olimpica del 1988, e questa fu la sua massima soddisfazione. La diarchia Zenga-Tacconi, uno dei fuochi del dibattito sulla nazionale maggiore di quel periodo, non gli permise mai nemmeno di illudersi. Nel 1992, quando Sacchi subentrò a Vicini e decise di rinunciare a Zenga, Giuliani non faceva già più parte del giro che conta. Ceduto nel 1990 dal Napoli delle meraviglie all’Udinese, capì ben presto che il viaggio in Friuli era di sola andata: la sua carriera terminò qui nel giugno del 1993.