«L’idea è nata nel 2001, subito dopo gli incidenti del G8 di Genova». Il senatore Peppe De Cristofaro all’epoca era uno dei portavoce del Genoa Social Forum. Oggi, eletto con Sinistra Ecologia e Libertà a Palazzo Madama, racconta quella che quindici anni dopo si è trasformata in una «battaglia storica dei movimenti pacifisti». L’introduzione di un codice identificativo per le forze dell’ordine. E in particolare l’obbligatoria applicazione di specifici contrassegni sui caschi degli agenti. «Nessuna criminalizzazione» ci tiene a precisare più volte. Piuttosto, così racconta, la necessità di introdurre anche in Italia uno strumento di garanzia, «a tutela anche della stragrande maggioranza delle forze dell’ordine, persone serie che svolgono il proprio lavoro con responsabilità e salari fin troppo bassi».
Dopo anni di attesa, adesso il disegno di legge è a un passo dall’esame dell’Aula. Terminato l’iter in commissione, il ddl De Cristofaro è arrivato in assemblea. Secondo il calendario dei lavori, il Senato dovrà iniziare a votare giovedì prossimo, 12 marzo. Al massimo si posticiperà di qualche giorno, visto che l’arrivo da Montecitorio del provvedimento sul divorzio breve potrebbe creare più problemi del previsto.
Sulla carta l’approvazione non sembra in discussione. Assieme al disegno di legge di De Cristofaro, in commissione Affari costituzionali ne sono stati depositati altri tre. C’è il documento dell’esponente del Pd Luigi Manconi, da tempo attivo sull’argomento. E quelli di matrice grillina, presentati da Marco Scibona e Lorenzo Battista (ex M5s). L’impegno dei pentastellati sul tema non è una novità: quasi un anno fa era apparso sul sito di Beppe Grillo un post che chiedeva di introdurre anche in Italia numeri identificativi per le forze dell’ordine. Resta la forte contrarietà di alcuni esponenti di centrodestra, che temono il rischio di ritorsioni o intimidazioni per gli agenti. O peggio ancora, come denuncia qualcuno, il tentativo di schedare i poliziotti. «Un’assurdità colossale da stroncare immediatamente», ha spiegato qualche settimana fa il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri. Insomma, il dibattito resta aperto. Tanto più che all’interno del gruppo Pd ancora deve essere aperta un riflessione sul provvedimento in esame, come raccontano alcuni senatori dem.
Ma cosa prevede il provvedimento? «Lo scopo – si legge nel testo – è di introdurre delle modalità di individuazione che, ove fosse richiesto dalle circostanze, tutelino quanti tengono, e sono naturalmente la maggioranza, comportamenti conformi alle norme e alle circostanze». Un’accortezza necessaria per risalire ai colpevoli in caso di abusi. La norma prevede quindi l’obbligatorietà di identificare gli agenti che indossano un casco di protezione «mediante l’applicazione di contrassegni univoci sullo stesso». Si tratta di una “sigla univoca” impressa sui due lati e la parte posteriore del casco, in grado di identificare l’operatore che lo indossa. Niente nomi, ovviamente. Come precisa l’articolo 4 del disegno di legge, sarà l’amministrazione di appartenenza a tenere «un registro aggiornato degli agenti, funzionari, sottufficiali e ufficiali ai quali è stato assegnato il casco». Nessuna caccia alle streghe, giura De Cristofaro. Anzi, nel suo ddl cita una nota del Silp, un sindacato di Polizia della Cgil, secondo cui «il casco identificativo alfanumerico ha un duplice effetto trasparenza: verso l’opinione pubblica, che sa chi ha di fronte, e a garanzia di tutti i poliziotti che svolgono correttamente il loro servizio».
Non è tutto. il provvedimento impone poi agli operatori delle forze di polizia impiegati in servizi di ordine pubblico – qualora non indossino l’uniforme prescritta – di portare indumenti che li identifichino «univocamente e a distanza come appartenenti delle Forze dell’Ordine». Pettorine, ad esempio. Oppure la «sciarpa tricolore» per i funzionari responsabili. Il motivo è presto detto. Come si legge nel ddl presentato dal Partito democratico, la norma nasce per «evitare che si generino equivoci o confusioni che, nella tensione inevitabile di talune manifestazioni di piazza, potrebbero degenerare o acuire le tensioni».
Infine, il ddl prevede il divieto assoluto di indossare, da parte di agenti, «segni distintivi propri di alcune professioni per le quali le norme e l’uso hanno sempre garantito speciali salvaguardie per assicurare la libertà di informazione, per quanto riguarda i giornalisti, o la libertà di movimento per quanti, medici o vigili del fuoco, garantiscono i servizi di emergenza». Ma perché questa disposizione? Le note introduttive del disegno di legge del Pd a prima firma Manconi si soffermano ulteriormente su questo aspetto. E tornano ancora una volta al G8 di Genova. «In occasione dei fatti di Genova del luglio 2001 – si legge – lo stesso segretario della Federazione nazionale della stampa, Paolo Serventi Longhi, ha più volte denunciato l’uso di pettorine in dotazione ai giornalisti da parte di poliziotti non meglio identificati. E alcune foto degli scontri mostrano persone con tali pettorine che impugnavano pistole in prossimità di gruppi di poliziotti, il che fa escludere che si trattasse di dimostranti travisati e armati».