Italicum, insulti e minacce. Renzi mette d’accordo tutti, contro di lui

Italicum, insulti e minacce. Renzi mette d’accordo tutti, contro di lui

Matteo Renzi canta vittoria sull’Italicum dopo aver annunciato la fiducia ma il Parlamento è un Vietnam, tra urla, insulti e riferimenti nemmeno troppo velati al fascismo. Nel primo giorno di votazioni per la nuova legge elettorale, Montecitorio si trasforma in un campo di battaglia. I deputati di Sel lanciano crisantemi in Aula perché «oggi è il funerale della democrazia», Brunetta parla di «fascismo renziano», qualcuno evoca i fucili e altri se la prendono con «i maiali» del governo. Se le pregiudiziali di costituzionalità filano liscio a favore della maggioranza, è l’annuncio della fiducia sull’Italicum, dato dal ministro Maria Elena Boschi, a scatenare il terremoto parlamentare. Tre le votazioni della discordia: la prima si terrà mercoledì pomeriggio, altre due nella giornata di giovedì mentre l’ok finale dovrebbe slittare alla prossima settimana. L’antipasto è condito da appelli, minacce, sdegno e prese in giro. 

Le opposizioni: Gli unici precedenti alla fiducia sulla legge elettorale sono la Legge Acerbo del 1923 e la Legge Truffa del 1953

La bagarre di Montecitorio è sorvegliata a vista da un massiccio stuolo di commessi, mentre la presidente della Camera fatica a gestire la discussione e si becca l’epiteto di «collusa» dai Cinque Stelle. Gli unici precedenti alla fiducia sulla legge elettorale, esplodono le opposizioni, sono la Legge Acerbo del 1923 e la Legge Truffa del 1953. Ma il premier non si scompone e su Twitter rivendica il decisionismo: «Dopo anni di rinvii ci prendiamo le nostre responsabilità in Parlamento e davanti al Paese. La Camera ha il diritto di mandarmi a casa se vuole: la fiducia serve a questo. Finché sto qui provo a cambiare l’Italia». Le parole non conquistano le opposizioni. Anzi, molti gli rinfacciano il tweet del 15 gennaio 2014 quando Renzi diceva che sulla legge elettorale «le regole si scrivono tutti insieme, se possibile. Farle a colpi di maggioranza è uno stile che abbiamo sempre contestato».

Stavolta le contestazioni sono tutte per lui. Spesso senza freni inibitori. Tra i primi a prendere la parola c’è il capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta che punta il dito contro il «fascismo renziano» e chiosa: «Non consentiremo che quest’aula venga ridotta a un bivacco di manipoli renziani». Più o meno negli stessi minuti il collega Maurizio Bianconi viene avvistato uscire furente sbottando contro il governo: «Branco di maiali, infami e rottincu…». I presenti parlano di «insulti irripetibili al ministro Boschi». A Palazzo Madama il senatore azzurro Ciro Falanga attacca: «Ho vergogna di un presidente del Consiglio che se la fa sotto, non la pipì, ma la cacca». Nel giorno dell’anniversario della morte di Benito Mussolini sono gli accostamenti al Duce ad avere la meglio. Sempre da Forza Italia Elvira Savino sceglie uno slogan: «La madre dei cretini è sempre incinta ma lo è anche quella dei fascisti. Senza essere mai stato eletto dai cittadini, ha ridotto il Parlamento a soprammobile della sua vanità». Il deputato di Fratelli d’Italia Ignazio La Russa ironizza addirittura sui monumenti: «Forse non metteranno nell’obelisco il suo nome al posto del Duce». 

«Il Presidente Mattarella intervenga adesso o taccia per sempre, perchè non sarà più necessario il suo intervento sotto una dittatura conclamata»

Ma è in orbita Cinque Stelle che le accuse di fascismo diventano pirotecniche. Beppe Grillo contesta il nome della legge: «Di italico ha solo il ricordo di un ventennio, chiamatelo nostalgicum». Danilo Toninelli, numero uno delle riforme in casa Cinque Stelle, è categorico: «Oggi Renzi si trasforma nel Mussolini dl ventunesimo secolo». La deputata Giulia Grillo si rivolge al vicecapogruppo Pd Ettore Rosato: «Il suo intervento mi ha ricordato l’atteggiamento di un generale nazista, cieca obbedienza e fedeltà assoluta».Manlio Di Stefano definisce la Boschi «serva» e fa un appello al Quirinale: «Il Presidente Mattarella intervenga adesso o taccia per sempre perchè non sarà più necessario il suo intervento sotto una dittatura conclamata. Il limite è stato superato, il fascismo si instaurò in Italia esattamente allo stesso modo». Poi c’è il senatore Maurizio Santangelo che parla di «golpe come nelle migliori dittature». Agli atti c’è anche uno scambio di battute tra due deputati grillini. Patrizia Terzoni se la prende contro «il Duce Renzi e il suo braccio destro Maria Elena Boschi», il collega Andrea Colletti le risponde velenoso: «Guarda che la Petacci non era il braccio destro del Duce…».

Da Sinistra Ecologia e Libertà non arrivano solo crisantemi.  Nichi Vendola, telegrafico: «La fiducia sulla legge elettorale è un atto di squadrismo istituzionale e una macchia indelebile sul volto del Pd». Dal lato opposto l’ex leader della Lega Nord Umberto Bossi scomoda la storia: «Al fascismo si risponde in un solo modo: o con i fucili o uscendo dall’Aula». Fin qui le opposizioni, ma la fiducia del governo è una bomba che esplode dentro il Partito democratico. Roberto Speranza, ad esempio, annuncia di non votare la fiducia spiazzando i compagni di viaggio di Area Riformista. Letta e Bersani lo seguono a ruota. Mentre la minoranza del partito apparecchia riunioni per capire il da farsi, i malumori si sprecano. Il lettiano Marco Meloni emette la sentenza: «È una giornata nera per la nostra democrazia. Il governo compie un errore drammatico e una scelta irresponsabile». Alfredo D’Attorre ci mette il carico: «Questa macchia rimarrà indelebile sulla pelle del Pd. È una scelta indifendibile e serve una chiara presa di distanza». Severo anche il bersaniano Nico Stumpo: «La fiducia sull’Italicum è un atto di prevaricazione e violenza verso il Parlamento». Ma è Pippo Civati, sempre più con un piede fuori dal partito, a fare un’annotazione interessante: «Se Berlusconi avesse messo la fiducia ora sarei in piazza a fare i girotondi».