Prima dell’Albero della Vita fu il pino piantato da Benito Mussolini il 28 aprile del 1937. Prima di “nutrire il pianeta” c’è stato un tempo in cui si pensava a “prolungare la Terza Roma verso il mare” e si credeva che questo dovesse avvenire attraverso un’esposizione universale. L’E42 non si svolse mai, causa seconda guerra mondiale, ma fu il simbolo della volontà di potenza e del fragoroso crollo del fascismo, e soprattutto portò alla nascita di un quartiere che, completato nel secondo Dopoguerra, resta ancora oggi quasi una città a parte, uno dei luoghi più riconoscibili di Roma, nella sua identità: l’Eur (acronimo di Esposizione Universale Roma).
Una microstoria che contiene in sé un capitolo della biografia nazionale, perché nel programma dell’esposizione universale c’è tutto il fascismo
Al museo dell’Ara Pacis della capitale adesso – e fino al 14 giugno – c’è una bella mostra, “Esposizione Universale Roma. Una città nuova dal fascismo agli anni ’60” in cui si ripercorre la storia dell’Eur, a partire dell’avventura fallita che lo generò, fino ai giorni nostri, passando da un’altra avventura, questa volta riuscita, emblema del miracolo economico, le Olimpiadi romane del 1960.
Le vicende, architettoniche e umane, di un quartiere come cartina di tornasole della parabola di un Paese, una microstoria che contiene in sé un capitolo della biografia nazionale, perché nel programma dell’esposizione universale c’è tutto il fascismo, visto che il tratto peculiare della mostra doveva essere il suo carattere permanente (come emerge già dal progetto originario dello studio milanese BBPR – Banfi, Belgioioso, Peressutti, Rogers – per una “Mostra della Civiltà Italica dai tempi di Augusto ai tempi di Mussolini” ). Allo stesso modo i profughi dell’esodo giuliano dalmata che abitano il villaggio operaio dell’Expo raccontano, meglio di ogni altro fotogramma, la sconfitta di un’ambizione, e il completamento dell’area, compreso il trasferimento delle sedi di ministeri e grandi aziende, chiude una fase storica e segna l’inizio di una nuova era.
Vicende, queste, che si svolgono tutte, però, nella cornice di un’architettura geometrica, razionalista, il cui massimo esponente fu Marcello Piacentini, e che è indubbiamente associata al periodo fascista. Quell’impasto di classico e moderno, funzionale ad una discorso per cui la Roma mussoliniana era l’erede di quella dei Cesari, continuità di valori che guardava al futuro, gloria imperiale nell’era della sua riproducibilità tecnica, permane. Molte delle costruzioni ipotizzate per l’Expo del ’42 non furono mai realizzate, come la porta imperiale, “l’arco della nuova Roma”, o le avveniristiche fontane. Eppure gli interventi compiuti nel corso dei decenni successivi non hanno stravolto l’impianto originario, tant’è che lo stesso Piacentini, fautore di una visione “classica, ma moderna, modernissima”, lavorò al quartiere anche nel dopoguerra.
L’esposizione, posticipata dal 1941 al 1942 per festeggiare i vent’anni della presa del potere da parte di Mussolini, avrebbe dovuto essere una sorta di Olimpiade della civiltà, in cui ovviamente avrebbe trionfato quella italiana, grazie al messaggio dell’architettura monumentale. Il programma rappresentava la summa dell’ideologia e delle ambizioni fasciste. La Via e la Piazza Imperiale. Sette città-sezioni: quelle di arte (con dieci mostre), scienza, economia corporativa, Africa italiana e svaghi, quella delle nazioni, con gli espositori internazionali, e, al centro, la Città Italiana, divisa tra vari poli, tra cui spiccavano il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi e, soprattutto, il Palazzo della Civiltà italiana (per tutti, ormai, il Colosseo Quadrato, con sei file di nove archi, per omaggiare nome e cognome del Duce).
Gli artisti al lavoro per Expo dovettero tutti dichiarare di aderire ai principi ispiratori dell’Esposizione e di non appartenere alla razza ebraica
Per l’Expo fu scelta la zona intorno all’abbazia delle Tre Fontane, preferita al lido di Ostia e alla Magliana, e quel nuovo quartiere, che aveva davanti a sé, sino al mare, chilometri di palude e di campagna incolta, solcati solo dalla ferrovia e dall’autostrada Roma-Ostia, avrebbe rappresentato la Terza Roma e la sua vocazione universalistica, il respiro della città verso l’esterno, verso la conquista del globo. Nel corso del 1938 furono espropriati quattrocento ettari di terreno dando avvio ai primi cantieri. Furono lanciati i vari concorsi, a cui parteciparono tutte le archistar dell’epoca – oltre a Piacentini, Pagano, Ponti, Libera e Moretti – e Cipriano Efisio Oppo, pittore, segretario della Quadriennale d’Arte e senatore, fu il regista della selezione degli artisti, che dovettero tutti dichiarare di aderire ai principi ispiratori dell’Esposizione e di non appartenere alla razza ebraica. I soggetti assegnati dovevano essere eseguiti secondo criteri di “universalità e tradizione”. Gran parte parte delle opere decorative, però, non venne mai realizzata. Tra le eccezioni, i mosaici di Prampolini, “Le Corporazioni”, e Depero, “Arti, Mestieri e Professioni”.
Ente Autonomo Esposizione Universale Roma – Servizio architettura parchi e giardini, Assonometria generale del piano urbanistico dell’E42, 1940, tempera su compensato, Roma, per gentile concessione di EUR S.p.A.
Giovanni Guerrini, Schema di illuminazione del Palazzo della Civiltà Italiana, 1940, matita e pastelli su carta da disegno, New York, Massimo & Sonia Cirulli Archive
Marcello Piacentini, Studio per allestimento del Viale Imperiale, 1938, tempera su cartoncino, 35 x 79 cm, New York, Massimo & Sonia Cirulli Archive
Le Torri delle Finanze e la sede dell’E.N.I. viste dal Giardino delle Cascate, 1965 ca. Archivio Storico Fotografico EUR S.p.A.
Franco Fontana, EUR, 1984
Fabrizio Ferri, Untitled #2262, 1999
All’Ara Pacis, altro luogo di contaminazione tra antico e moderno, ci sono oggi fotografie, disegni, modellini, bozze, oltre agli immancabili filmati dell’Istituto Luce, in grado di ricostruire quella straordinaria, ancorché abortita, avventura, nonché il suo progressivo recupero. Quando i lavori furono definitivamente bloccati, alla fine del 1943, era stato ultimato solo il Palazzo degli Uffici, destinato ad ospitare il personale dell’Ente Eur, con gli interni curati da uno dei massimi designer dell’epoca, Guglielmo Ulrich. Il Palazzo della Civiltà Italiana era stato sì inaugurato, ma non completato interamente.
Eppure quel cimitero di ruderi, in cui Rossellini girò una scena di Roma città aperta, occupato via via dall’esercito tedesco, dagli alleati e dai profughi dell’Istria, venne recuperato quando l’Italia uscì dall’emergenza e comincio’ a pianificare l’ingresso al banchetto delle nuove potenze. Le occasioni furono l’Esposizione Agricola del 1953 e soprattutto le Olimpiadi del 1960, di cui l’Eur divenne uno dei poli principali, accanto al Foro Italico. Negli anni Cinquanta vennero completati il Palazzo della Civiltà Italiana e quello dei Congressi, fu resa interamente percorribile l’ex Via Imperiale, ribattezzata via Cristoforo Colombo, entrò in funzione il tratto della metropolitana che partiva da Termini, fu aperta al culto la chiesa dei SS. Pietro e Paolo e venne costruito il Palazzo dello Sport, ad opera di Pier Luigi Nervi e dello stesso Piacentini.
Abitare all’Eur divenne uno status symbol e l’alta borghesia lasciò, in parte, Roma Nord, per trasferirsi a Sud
Insomma, senza ripudiare il progetto originario, l’Eur divenne quella “città parco alle Tre Fontane” che corrispondeva alla visione del nuovo commissario dell’Ente, Virgilio Testa, con tanto verde e il laghetto artificiale. Si trasformò in un centro del terziario, oltre che in un quartiere residenziale, una dimensione, quest’ultima, già parte del programma fascista. Testa decise di finanziare la manutenzione e la sistemazione dell’Eur vendendo parte dei terreni a società immobiliari private. Nessuno sfruttamento intensivo, ma edilizia di pregio, ville uni/bi-familiari ed eleganti palazzine. Abitare all’Eur divenne uno status symbol e l’alta borghesia lasciò, in parte, Roma Nord, per trasferirsi a Sud, una piccola rivoluzione nella geografia sociale della capitale.
La città parco alle Tre Fontane non è mai diventata come la Bilbao del Guggenheim, tappa imprescindibile del turismo architettonico ed architettonico, ma le sue linee geometriche e le sue atmosfere dechirichiane marcano comunque un’alterità, come se fosse un mondo a parte, considerato, a torto o ragione, specchio di sentimenti e stati d’animo. Elio Petri vi girò alcune scene de La decima vittima e Michelangelo Antonioni ne fece il set de L’eclisse. Quando Marcello Mastroianni, ne La dolce vita, si affaccia dalla casa dell’amico suicida Steiner, si trova di fronte ad un quartiere completato da poco, l’Eur.