Attenzione a cliccare dallo smartphone o dal tablet su un banner pubblicitario. Potreste trovarvi dai 5 ai 50 euro in meno sul conto corrente o sul credito residuo. Nei casi estremi 200. Cifre extra per servizi extra mai richiesti. Musica, video, giochi, meteo, oroscopi, foto porno. In periodi di crisi, anche i colossi della telefonia – dalla H3G alla Tim, dalla Wind alla Vodafone – si sono fatti furbi. E così, con la complicità di società digitali, “succhiano” euro per servizi attivati inconsapevolmente dall’utente.
Possibile? Certo che sì. E il meccanismo è tanto semplice quanto perverso. Navigando su internet da un tablet o telefonino per magia si finisce impigliati nella rete di servizi in abbonamento con tanto di notifica via sms. Alle volte non c’è bisogno neanche di un click su un banner. I servizi – secondo le denunce di alcuni utenti – partono infatti in automatico e l’amara scoperta viene fatta alla ricezione del messaggino di benvenuto o, peggio, spulciando in fondo alla fattura mensile che il gestore recapita a casa.
Navigando su internet da un tablet o telefonino per magia si finisce impigliati nella rete di servizi in abbonamento con tanto di notifica via sms
Ma non è una novità, a quanto pare. Anzi, l’andazzo dura da tempo. Almeno dal 2014, quando una prima ondata di denunce raccolte dal Codacons portò i gestori dinnanzi all’Agcom. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AgCom) lo scorso 21 gennaio ha inflitto una sanzione pari a 1.750.000 euro per Telecom e H3G e a 800.000 euro per Wind e Vodafone, “per aver adottato pratiche commerciali scorrette nell’ambito della commercializzazione dei servizi premium utilizzati via Internet da terminale mobile”, come si legge nel comunicato ufficiale.
Le responsabilità emerse da quella delibera dell’Agcom erano chiare. I gestori hanno omesso le informazioni “circa il fatto che il contratto di telefonia mobile sottoscritto pre-abilita la sim alla ricezione dei servizi a sovrapprezzo, nonché circa l’esistenza del blocco selettivo per impedire tale ricezione […]”; l’altra accusa rivolta ai quattro gestori è “un comportamento aggressivo – si legge sempre nel comunicato – che si traduce nell’attuazione di una procedura automatica di attivazione del servizio e di fatturazione in assenza di qualsiasi autorizzazione da parte del cliente al pagamento”.
Risposta di 3 a un cliente via Facebook
Ma a quanto pare il gioco vale la candela. I profitti derivanti dal wap billing – letteralmente: addebito in connessione wireless – sono numerosi. Per colossi come la Wind, la Tim e la H3G, che nel 2013 hanno denunciato bilanci in perdita, le percentuali sui guadagni di società fornitrici di contenuti digitali come Vetrya S.p.a., Emcube S.p.a., Acotel S.p.a., sono una boccata d’ossigeno. Si parla del 30-60 % da spartire in revenue sharing.
L‘Agcom: I gestori hanno omesso le informazioni “circa il fatto che il contratto di telefonia mobile sottoscritto pre-abilita la sim alla ricezione dei servizi a sovrapprezzo”
Introiti facili, insomma. Sarà proprio per questo che, nonostante la stangata dell’Agcom, fioccano ancora centinaia di segnalazioni di addebiti “inconsapevoli” in ogni angolo d’Italia. E il canale scelto per farlo, ça va sans dire, sono i social. Da Twitter a Facebook decine di utenti chiedono rimborsi o informazioni sulle procedure di disattivazione dei servizi succhia-soldi. C’è chi lo fa sui gruppi nati ad hoc (come Tre Italia: problemi e denunce, con più di 1500 iscritti); chi invece lo fa direttamente sulle pagine dell’assistenza clienti del proprio gestore. Ma i reclami inviati a mezzo posta elettronica o per telefono, nella maggior parte dei casi, non vengono accolti. Colpa degli utenti, dicono i gestori, che hanno l’imprudenza di cliccare sui banner e confermare l’acquisto sulla landing page. E così, trascorsi 45 giorni dal ricevimento del reclamo, come da regolamento, si passa la palla alle associazioni di consumatori o al Corecom, con esiti incerti. I più testardi, infine, si affidano nelle mani di qualche bravo avvocato.
“Purtroppo le sanzioni dell’Agcom non bastano – commenta a Linkiesta Piero Giordano, presidente nazionale dell’Adiconsum – i servizi premium devono essere trattati come gli acquisti e-commerce. Se vuole un servizio del genere, l’utente deve essere messo in condizione di richiedere formalmente il servizio come si fa per una settimana di vacanze o un paio di scarpe”. Colpa del legislatore? “Certo, ma bisogna anche che l’Autorità Garante, nell’attesa di una normativa ad hoc, emetta delibere per arginare il fenomeno. Provvedimenti che vietino tassativamente l’accesso alle aziende digitali che usano la rete per i servizi non richiesti e che sono veicolati dai gestori telefonici”.
Nell’attesa del legislatore e dell’Agcom, gli utenti non si demoralizzino. Se per cadere nella rete dei servizi premium basta un click, basteranno poche cifre anche per capire se, in quella rete, ci si è finiti per davvero. Per la Tim chiamare il 119, per Vodafone il 190, per Wind il 155, per la H3G 408530. E questo, almeno, non vi costerà neanche un centesimo.