Dalle parti del ministero dei Trasporti soffia un vento nuovo per Uber. L’Autorità dei trasporti, a pochi giorni dal blocco di Uberpop da parte del Tribunale di Milano, ha emanato un atto di segnalazione che apre all’applicazione californiana, invitando governo e Parlamento ad aggiornare la legge del 1992. Un atteggiamento ribaltato rispetto a quando a capo del dicastero c’era Maurizio Lupi, che più volte ha attaccato Uber definendola «illegittima e illegale» e aggiungendo che andrebbe «contrastata». Se Lupi non voleva neanche sentir parlare di Uber, il suo successore, Graziano Delrio, non si è espresso mai né a favore né contro. E ha messo le mani avanti: «Aspettiamo quello che dice l’Authority». Dopo mesi di incontri, l’atto di segnalazione dell’Autorità è arrivato ed è in linea con il pensiero di Renzi, che aveva definito Uber «un servizio straordinario». «La domanda di mobilità – specie per le fasce di reddito basse e per i giovani – si orienta verso sistemi basati sulla flessibilità e sulla condivisione di risorse, tipici della “sharing economy”», si legge nell’atto di segnalazione. «L’Autorità si propone di far emergere questo mercato, affinché domanda e offerta di servizi possano incontrarsi in modo trasparente e nel rispetto delle regole applicabili alla attività economica d’impresa».
Se Lupi non voleva neanche sentir parlare di Uber, Graziano Delrio, ha messo le mani avanti: «Aspettiamo quello che dice l’Authority»
«È un atteggiamento diverso rispetto a quello precedente», commenta Sergio Boccadutri, deputato e responsabile dell’area innovazione del Pd. «Prima c’era una chiusura completa rispetto alla regolamentazione. Ora si legittima l’esigenza di una regolazione del settore, raccogliendo la sfida del cambiamento della mobilità. Regolare un’attività significa prima di tutto riconoscerla. E la segnalazione dell’Autorità ci responsabilizza come legislatori».
Regolate e liberalizzate: le richieste dell’autorità
L’Autorità guidata da Andrea Camanzi non è certo stata vaga nell’indicare le modifiche legislative alla legge sui trasporti, che è del 15 gennaio 1992, anno in cui, come è stato ricordato, non esistevano neanche gli sms. Non è un caso che l’atto di segnalazione al governo e al Parlamento inizi proprio con un riferimento al «recente diffuso utilizzo di tecnologie informatiche applicate in modo innovativo alla mobilità delle persone». Queste piattaforme, secondo l’Autorità di regolazione dei trasporti (Art), «consentono di intercettare una domanda di servizi di norma meno costosi di quelli offerti da taxi e Ncc». Quindi, sposando una delle tesi portate avanti negli scorsi mesi dalla stessa Uber, l’Art riconosce che «ciò configura la creazione di un nuovo e specifico segmento del mercato della mobilità urbana», perché c’è stata una «crescita esponenziale negli ultimi 12 mesi del numero di conducenti non professionisti registrati sulle piattaforme» e il «corrispettivo aumento del numero di utenti registrati».
L’Autorità propone che gli autisti di Uber non possano lavorare per più di 15 ore settimanali
Per regolare le piattaforme di car pooling, l’Autorità chiede innanzitutto a chi dovrà scrivere la legge di riferimento di fare una netta distinzione: da una parte i servizi di natura non commerciale, “di cortesia”, come Bla Bla Car, che condividano «un itinerario prefissato dal conducente»; dall’altra le piattaforme che offrono servizi tecnologici di intermediazione su richiesta e con finalità commerciale, come Uber. Degli obblighi specifici sono previsti solo per questa seconda categoria. Per questo l’Authority propone che gli autisti di Uber non possano lavorare per più di 15 ore settimanali e che debbano essere iscritti in un apposito registro costituito su base regionale.
L’atto di segnalazione va però ben oltre il car pooling. Riguardo ai tassisti, l’Art «propone di eliminare i vincoli che attualmente impediscono ai titolari di licenza di praticare sconti», una richiesta che arriva dopo la constatazione che dal 2006 al 2014 a Roma le tariffe dei taxi sono aumentate del 37%, a Firenze del 29% e a Milano del 23 per cento. Le altre liberalizzazioni chieste riguardano l’eliminazione del cumulo di licenze, un tabù nel settore da anni, e la rimozione delle restrizioni che impongono ai tassisti di acquisire le proprie corse esclusivamente tramite la cooperativa o il consorzio di riferimento.
Per i tassisti l’Autorità propone la fine del divieto di cumulo delle licenze. Per gli Ncc la fine dell’obbligo di fare rientro in rimessa dopo ogni esercizio
Quanto agli Ncc, l’istituzione guidata da Andrea Camanzi chiede di abbattere un altro tabù: l’obbligo di che il titolare dell’autorizzazione Ncc faccia rientro in rimessa dopo ogni singolo servizio. Lo scopo annunciato è doppio: aumentare la concorrenza e ridurre i costi anche di natura ambientale.
Positivi i commenti da parte di Uber Italia. Benedetta Arese Lucini, general manager di Uber in Italia, ha dichiarato: «Con questo atto l’Italia sta indicando la strada all’Europa, e sta abbracciando l’innovazione a beneficio di tutti i cittadini. Uber vuole dare il suo contributo e partecipare al processo che potrà far sì che le considerazioni dell’Autorità divengano finalmente legge».
La palla al governo e al Parlamento
La palla ora passa al governo e al Parlamento. L’atto di segnalazione si rivolge a entrambi. La posta in gioco è alta. E le posizioni dei tassisti sono sempre le stesse. «Non sarà un percorso né facile né breve», dice Antonio Palmieri, deputato di Forza Italia e responsabile Internet e nuove tecnologie del partito. «Ma la sharing economy è una pianta che sta crescendo e non possiamo più tornare indietro. Bisogna capire come regolamentarla senza soffocarla, tenendo conto delle esigenze di tutti. Sarà molto complicato trovare una soluzione win win, ma questo deve essere l’obiettivo».
Benedetta Arese Lucini, general manager di Uber in Italia: «Con questo atto l’Italia sta indicando la strada all’Europa»
I modi per rispondere alle proposte dell’Authority sono diversi. «Il luogo naturale per accogliere questi cambiamenti è il ddl concorrenza», dice Boccadutri. «Presenteremo emendamenti che partono proprio dagli stimoli indicati dall’Autorità». La via più semplice sarebbe un’iniziativa del governo. Anche se, «viste le differenze delle posizioni di partenza, non dovrebbe essere una materia da decidere in consiglio dei ministri ma da discutere in Parlamento». Ma in Parlamento una proposta di liberalizzazione del settore dei trasporti non avrebbe vita facile. «Ci sarà una bella discussione, ma le norme vanno fatte presto, anche per rispondere ai tagli nella mobilità pubblica. Uberpop è un’utile alternativa per chi abita nelle periferie dove le corse degli autobus sono state ridotte o per i ragazzi che tornano la sera e non possono permettersi il taxi. Chi vuole un servizio premium poi accederà al servizio premium. Quello che dovranno fare i taxi è un’attività di fidelizzazione, offrendo al cliente servizi in più che chi sale a bordo di Uberpop non ha».
Diverse sono anche le idee in campo per legiferare sulla sharing economy. Da Forza Italia propongono una regolamentazione settore per settore, che vada da Airbnb a Uber. Dal Pd si pensa a una serie di documenti e requisiti, dalla revisione dell’auto alla fedina penale pulita, che gli autisti non professionisti di servizi come Uberpop e Blablacar devono avere per garantire la sicurezza dei passeggeri. E si ipotizza anche una regolamentazione fiscale. «Essendo un’attività che può produrre redditi», dice Buccadutri, «si può far sì che la piattaforma diventi sostituto d’imposta dei soggetti che versano automaticamente una fee».
Tutti i bastoni nelle ruote dell’Autorità dei trasporti
L’Autorità dei trasporti non ha mai avuto vita facile ed è stata istituita dopo la lettera della Bce al governo Berlusconi
Da quando è stata costituita, nel dicembre 2011, l’Autorità di regolazione dei trasporti non ha avuto vita facile. In realtà neanche prima: prevista da una legge del 1995, è stata l’ultima delle authority a vedere la luce, e solo per la pressione della lettera dell’agosto 2011 recapitata dalla Bce al governo Berlusconi. Troppi gli interessi consolidati che rischiava di toccare, nei settori delle autostrade, delle ferrovie, del trasporto aereo e di quello pubblico locale. La stessa ricerca di personale per far partire le attività è stata difficoltosa: non è stato possibile tenere un concorso aperto agli esterni e si è fatto ricorso a concorsi interni per personale della Pa, a cui hanno partecipato dipendenti pubblici del Piemonte e principalmente romani. Oggi su circa 50 dipendenti, 35 stazionano a Torino e i rimanenti nella capitale.
I tentativi di tagliare le unghie all’istituzione sono stati tanti. L’ultimo in ordine di tempo è il decreto legislativo per l’attuazione della direttiva che istituisce uno spazio ferroviario unico europeo (Recast). L’autorità contesta almeno quattro punti, tra cui quello che fissa la sanzione massima a un milione di euro, invece del 10% del fatturato dell’azienda inadempiente. Considerato il fatturato delle aziende ferroviarie, una multa da un milione sarebbe solo solletico, paragonabile a quello fatto negli anni passati dall’Antitrust alle varie compagnie telefoniche plurimultate. Epico fu il duello con l’Enac, Ente nazionale dell’aviazione civile, per la competenza sulle tariffe aeroportuali. Sdradicare un meccanismo che partiva dall’Enac, passava per il ministero delle Infrastrutture e trasporti e arrivava al Cipe, con tempi lunghi che di per sé sono distorsivi, era un compito arduo ma che è riuscito. Le ultime revisioni tariffarie, negli aeroporti di Firenze, Pisa e Bologna, sono avvenute con il nuovo metodo e in tempi relativamente brevi.
È sul fronte delle autostrade che ci sono stati gli scontri più duri con il ministero dell’Interno. L‘autorità non ha potuto vedere i piani finanziari delle concessionarie
Ma è sul fronte delle autostrade che ci sono stati gli scontri più duri. Alla fine del 2014 in un’audizione alla Camera tanto l’Autorità di regolazione dei trasporti quanto l’Antitrust tuonarono contro la legge Sblocca Italia, che prevedeva la proroga delle concessioni autostradali a certe condizioni. Era anche un modo per tenere fuori l’Art fuori dai giochi (anche per decenni), perché la sua competenza sulle tariffe è prevista solo per le nuove concessioni. Per rendere l’idea del clima, l’Autorità, che pure ha poteri ispettivi e sanzionatori, non ha mai ricevuto dal ministero delle Infrastrutture e Trasporti i piani finanziari delle società concessionarie autostradali, perché questi erano classificati come segreti industriali.
Il ministero delle Infrastrutture e Trasporti ignorò, a quanto risulta, le richieste di modifica dell’articolo 5 dello Sblocca Italia. Ma il clima è decisamente cambiato dopo l’uscita di Maurizio Lupi e l’arrivo di Graziano Delrio. Il ministero da ostile sembra essere diventato molto più in sintonia con l’istituzione torinese. Così come l’arrivo dell’Anac, l’autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone (anch’egli durissimo in audizione contro lo Sblocca Italia), ha portato un nuovo alleato per l’Art. Sono stati firmati dei protocolli di intesa, sia con l’Anac che con l’Antitrust. Il cambio di clima si sente anche sul fronte del trasporto pubblico locale e in particolare su quello dei tassisti, riserva di voti per Ncd, difesi da Lupi e da altri esponenti del Nuovo centrodestra.