«Le dichiarazioni di solidarietà non bastano, ci servono aiuti concreti. Questa battaglia non riguarda solo Kobane, ma l’intera umanità. Adesso tutte le forze democratiche devono assumersi le proprie responsabilità». Nessrin Adballah ha 36 anni. Capelli neri raccolti dietro la nuca, prima del conflitto contro lo Stato Islamico era una giornalista. Adesso è la comandante dell’Unità di difesa delle donne nel Rojava, il Kurdistan siriano. Le mostrine del reparto YPJ fanno bella mostra sulla manica destra della mimetica. Stamattina era a Roma, quando l’hanno informata dell’attacco di miliziani dell’Is a Kobane. Ospite insieme a una delegazione politica e militare curda di Sinistra Ecologia e Libertà. Ed è proprio per informare la stampa sugli avvenimenti di queste ore che accetta di partecipare a un breve incontro a Montecitorio. Pochi minuti per fare il punto della situazione sui combattimenti in corso.
«I miliziani dell’Isis sono entrati in città spacciandosi per combattenti del Free Syrian Army, erano un centinaio, hanno sparato a tutti quelli che hanno incontrato per strada»
«Come sapete questa mattina c’è stato un attacco terroristico dell’Is», spiega la comandante Abdalla. Vicino a lei siede Senam Mohamad, la co-presidente del Parlamento del Rojava. Dopo la cacciata dei jihadisti lo scorso gennaio, nessuno si aspettava un contrattacco a Kobane. «Sono entrati in città spacciandosi per combattenti del Free Syrian Army». Erano un centinaio. Poi l’inferno: alcuni miliziani si sono fatti esplodere in una serie d attentati suicidi, contemporaneamente sono scoppiate quattro autobombe. «Hanno sparato a tutti quelli che hanno incontrato per strada» continua la comandante curda. Attualmente il bilancio è di almeno venti morti e un centinaio di feriti. Senza contare che in città e in alcuni villaggi vicini sono stati presi diversi ostaggi, tutti civili. «La solita strategia dell’Is» spiega Abdalla con una smorfia.
Al momento infuria ancora la battaglia. «Le forze di difesa li hanno circondati, ma i miliziani dello Stato Islamico si sono posizionati in diverse zone di Kobane». Lo scorso inverno le forze di difesa erano riuscite ad allontanare i terroristi anche grazie ai raid aerei della coalizione internazionale. Ma stavolta non è possibile bombardare l’area. «Ormai sono in città, rischieremmo di colpire troppi civili», racconta Abdallah. Intanto infuria la polemica sulla provenienza dei miliziani.
Servono armi e medicinali. «Continueremo a combattere con tutte le forze per difenderci, ma questa è una battaglia di tutta l’umanità»
Secondo la tv di Stato siriana gli jihadisti sarebbero entrati a Kobane dal confine turco. La comandante non conferma. «Ci sono molte ipotesi – racconta – ma al momento stiamo facendo delle verifiche». A breve la delegazione curda raggiungerà Milano. Nei prossimi giorni sarà a Bologna, Napoli e Palermo. Ma il pensiero di Abdallah è per i compagni impegnati in battaglia. «Noi continueremo a combattere con tutte le forze per difenderci» spiega. Poi precisa: «Ma questa non è una battaglia solo nostra, è una battaglia di tutta l’umanità». Al mondo occidentale i combattenti curdi chiedono aiuti, non solo solidarietà. Servono armi e medicinali. «Finora gli incontri avuti sono stati positivi. Speriamo che diventino concreti».