D’Alema: «Il Pd dimentica la sinistra, stiamo perdendo milioni di elettori»

La sfida

La speranza di chi ha creduto nel progetto di Matteo Renzi «ha iniziato ad affievolirsi». Dirigenti e parlamentari se ne sono andati, ma chi si sta pericolosamente allontanando dal Partito democratico sono i suoi elettori. Non ci va troppo per il sottile Massimo D’Alema. L’ex presidente del Consiglio interviene alla Festa dell’Unità di Roma. Un intervento di un’ora e mezza, fitto e appassionato, per parlare di politica estera ed economia, ma soprattutto delle vicende politiche italiane. Dall’ansia riformatrice del premier alla dialettica interna al Pd. Fino alla nascita di un Partito della nazione che rischia di tagliare definitivamente i legami con la sinistra. «Una prospettiva molto pericolosa». Abbandonata la storica location di Caracalla, quest’estate la festa è ospitata al parco delle Valli, nel popolare quartiere di Montesacro. Davanti a una folla non proprio oceanica, l’ex segretario dei giovani comunisti si presta disponibile al confronto. Prima e dopo il suo intervento si intrattiene con i militanti, stringe mani e si ferma per scambiare qualche battuta. Sottoponendosi paziente persino al moderno rito dei selfie

Durante la serata c’è tempo per parlare della crisi greca e dei meriti di Alexis Tsipras, di austerità tedesca e dell’emergenza profughi. Ma il clima si scalda quando l’attenzione torna alla politica italiana. È inevitabile una lunga riflessione sulle vicende del Partito democratico. Con la tradizionale ironia D’Alema conferma i dubbi di chi lamenta l’assenza di un confronto interno. «Diciamo la verità, non è che nel Pd ci sia un gran dibattito – spiega – Ci sono queste riunioni in cui il presidente del Consiglio parla….». L’ex premier difende gli esponenti della minoranza. «Di Gianni Cuperlo ho una grande stima per il suo straordinario rigore etico. Di Roberto Speranza anche: per tenere la schiena dritta ha preferito dimettersi da capogruppo. Ecco, nel Pd ci sono alcuni che hanno dimostrato di non avere la schiena dritta, e altri sì. Io mi riconosco in quest’ultimo gruppo».

«Nel Pd ci sono alcuni che hanno dimostrato di non avere la schiena dritta, e altri sì. Io mi riconosco in quest’ultimo gruppo»

La critica al partito di Renzi è netta. «Non voglio fare polemiche – ammette D’Alema – Ma io giro molto per l’Italia, come struttura organizzata il Pd sta deperendo. Ormai il nostro popolo è composto da persone che non si iscrivono più al Partito democratico». Un problema che si ripercuote inevitabilmente sui risultati elettorali «I dirigenti e parlamentari che se ne vanno vengono salutati ogni volta con sprezzante noncuranza. Ma il problema è che abbiamo epurato anche un paio di milioni di elettori. Quando la percentuale di partecipazione al voto crolla sotto il 50 per cento in tutte le Regioni rosse significa senza alcun ragionevole dubbio che un pezzo del nostro elettorato non vota più per il Pd. Molti li conosco. Il fenomeno comincia a prendere una consistenza preoccupante». Eppure i vertici del partito non sembrano rendersene conto. «In Emilia Romagna abbiamo preso 750mila voti in meno – continua l’ex premier – Ai miei tempi si sarebbe fatto un congresso straordinario. Oggi nemmeno una riunione di direzione».

A monte dei risultati elettorali c’è una questione politica. Il Partito democratico si sta allontanando dalla sinistra. «Stiamo imbarcando parecchio ceto politico di centrodestra – continua D’Alema – ma non credo che porteranno anche i loro elettori». Pensando al futuro l’ex premier delinea due grandi scenari. «Il Pd ha di fronte un grande dilemma» spiega. Dare vita a un Partito della Nazione per trasformare la maggioranza che sostiene il governo in un’unica lista elettorale. Oppure tentare di ricostruire il centrosinistra, «partendo dagli insegnanti che ci hanno contestato e dai lavoratori che non ci votano più». L’ex dirigente comunista teme la deriva neocentrista. «La mia impressione è che ormai abbiamo preso una strada, e non è quella che io condivido». Una prospettiva pericolosa, spiega D’Alema. «Apriamo gli occhi, qui si tratta della storia e del destino della sinistra». Ma è una scelta che rischia di avere conseguenze negative anche a livello elettorale. «Quello che sta succedendo aprirà grandi spazi a sinistra. Io non ho più l’età per le scissioni. Ma i vari Fassina e Cofferati, e quelli che li seguiranno, daranno vita a una lista. E più si penserà di rimpiazzarli con i Bondi e i Verdini, più diventeranno numerosi».

«In Emilia Romagna abbiamo preso 750mila voti in meno. Ai miei tempi si sarebbe fatto un congresso straordinario. Oggi nemmeno una riunione di direzione»

D’Alema non cerca vendette. Riconosce, come ha fatto più volte in passato, la necessità di un ricambio generazionale all’interno della classe dirigente del partito. «Semmai bisogna vedere se ci sono anche idee nuove». Certo, l’ex premier lamenta la presenza di un “veto” politico nei suoi confronti. Ma assicura di non avere rancori, tanto da aver sostenuto lealmente il partito durante le ultime campagne elettorali. Non per questo evita di sottolineare le differenze con l’attuale segretario. A partire dall’ultimo annuncio sull’abolizione dell’Imu. «Intendiamoci, anche io sono favorevole alla diminuzione della pressione fiscale» spiega sarcastico. «Ed è giusto che Renzi si ponga questo problema. Ma non è necessario che ogni volta annunci una rivoluzione». D’Alema respinge l’etichetta del “partito delle tasse”. «Lasciamo questi slogan ad altri… Anche perché stando ai dati dell’Istat, non quelli forniti dall’internazionale comunista, le tasse si sono abbassate anche durante i governi dell’Ulivo». La frecciata al premier è ben calibrata. «Nel 2001 – continua D’Alema – la pressione fiscale era al 41 per cento del Pil. Oggi è salita al 44,2 per cento. Invece di parlare sempre male di noi, sarebbe positivo se Renzi raggiungesse i nostri risultati…».

 https://www.youtube.com/embed/x3KkjKMpbTI/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

MESSAGGIO PROMOZIONALE

«Quando ero un dirigente le mie responsabilità me le sono prese tutte. Forse anche più di quelle che mi spettavano»

Non è solo una questione di cifre. «Mi permetto di ricordare i valori della sinistra», continua D’Alema. Va bene una politica di riduzione fiscale sulla casa, «ma io rovescerei le priorità. Bisognerebbe partire dalla lotta all’evasione fiscale, contro la quale sembra che questo governo abbia perduto qualche colpo». Non solo. « In questo paese abbiamo due milioni di bambini che hanno problemi di nutrizione. Prima di restituire l’Imu a me, questa forse è una priorità». C’è spazio per affrontare la riforma della scuola. «Un provvedimento nato con un’impronta aziendalista e notevolmente corretto durante l’iter parlamentare». Anche il giudizio sulla Buona Scuola non è particolarmente entusiastico. «È una legge che non incide molto – dice D’Alema – Una riforma di questo tipo si fa discutendo per sei mesi con gli insegnanti. Anche perché altrimenti si arrabbiano». L’ex premier racconta le lunghe discussioni che ha affrontato con i docenti incontrati durante l’ultima campagna elettorale. Alla fine, ironico, alza la spalle. «Ci vuole pazienza, passerà». Dal pubblico si alza l’applauso più rumoroso della serata.

Del resto il problema «non è fare le riforme o non farle» spiega l’ex leader. Ma entrare nel merito dei contenuti. «L’ansia riformatrice è positiva, ma qual è il segno sociale di questi provvedimenti? Insomma, producono più democrazia, più uguaglianza, più crescita?». Parlando della politica nazionale è impossibile dimenticare le vicende di Rosario Crocetta e Ignazio Marino. Il governatore siciliano e il sindaco di Roma sono finiti al centro di un teso braccio di ferro con il partito. D’Alema ha le idee chiare. «La politica si deve prendere le sue responsabilità» spiega. «Il Pd siciliano ritiene che Crocetta non sia in grado di andare avanti? Lo sfiduci. Non c’è bisogno di usare intercettazioni fantasma». Discorso simile nella Capitale. «Ci sono commissari, vice commissari, un gruppo di consiglieri comunali… Decidano loro. Se ritengono che Marino sia in grado di proseguire, si rafforzi la sua giunta e lo si aiuti. Altrimenti si dica alla città “Scusate, ci siamo sbagliati” e si torni a votare». È una questione di coscienza. «Quando ero un dirigente le mie responsabilità me le sono prese tutte», racconta D’Alema. Il pensiero torna alle Regionali del 2000 e le dimissioni da presidente del Consiglio «Forse me ne sono prese anche più di quelle che mi spettavano».

X