Giuseppe Guzzetti, avvocato italiano, è dal 1997 a capo della Fondazione Cariplo. Dal 2000 è presidente dell’ACRI, associazione che riunisce tutte le fondazioni di origine bancaria in Italia. Già presidente della Regione Lombardia (1979-1987), è considerato il padre delle fondazioni di origine bancaria, con un ruolo fondamentale per la crescita degli enti, soggetti che operano, in base al principio di sussidiarietà, a sostegno del Terzo settore, per la realizzazione di progetti di utilità sociale.
Il progetto “Distretti culturali” ha permesso di rigenerare il patrimonio culturale di sei distretti territoriali e riattivare pertanto sei siti che sarebbero altrimenti decaduti per l’incuria. Quali sono le ragioni che vi spingono a investire tempo e denari sui territori e non in altre soluzioni o ambiti?
«“Filantropia” è una parola dal sapore antico che oggi sembra stia tornando in voga»
Ci sono diversi modi con cui una fondazione come la Cariplo può essere presente sul territorio; l’obiettivo è contribuire allo sviluppo e al sostegno delle comunità con l’attività filantropica. Per questo ogni anno Cariplo impegna mediamente 150 milioni di euro a sostegno di iniziative che le organizzazioni non profit realizzano in Lombardia (e nelle province di Novara e Verbania).
“Filantropia” è una parola dal sapore antico che oggi sembra stia tornando in voga; purtroppo, a volte, anche a causa della situazione difficile che stiamo vivendo, per fare supplenza allo Stato; eppure continuo a ripeterlo, non è il valore economico che è importante sottolineare (anche se è giusto farlo), quanto il contributo in termini di innovazione sociale che la filantropia sta dimostrando. Il progetto dei Distretti Culturali è certamente innovativo, tant’è che la parola filantropia riacquista un senso. I beni culturali sono un tesoro che il nostro Paese non riesce a valorizzare a pieno. Il progetto dei Distretti ha trasformato il patrimonio culturale in occasioni di crescita e di sviluppo reali.
Il genio e la bellezza dormienti di sei territori, oggi sono tornati a vivere; nel 2005 quando è nato il progetto dei Distretti Culturali di Fondazione Cariplo, questi luoghi stavano perdendo il loro splendore. L’incuria e l’indifferenza, il tempo e le calamità stavano per sfaldare i tesori custoditi. I sei distretti culturali fatti nascere da Fondazione Cariplo in Lombardia sono realtà: le regge dei Gonzaga e gli altri tesori del territorio mantovano, i terrazzamenti della Valtellina, le Ville di Monza e Brianza, Cremona, le scritture rupestri della Valle Camonica sono l’esempio di come la cultura può ridisegnare una nuova geografia. Più di 3mila imprese e professionisti, spesso giovani, hanno lavorato per realizzarli; sono stati riscoperti i mestieri di un tempo: i liutai a Cremona, gli artigiani del ferro battuto in Valcamonica.
Quali sono le vostre attese su questo progetto e su quelli che in questi anni si sono avvicendati avendo sempre come bersaglio i territori?
Con i “Distretti culturali” abbiamo scelto di sperimentare un processo che punta a creare nuove opportunità di crescita sociale e occupazione a partire dalle risorse della cultura e del paesaggio. Questo è il modo migliore per far comprendere il ruolo di una fondazione come la Cariplo. Dati inconfutabili dimostrano l’effetto leva del nostro operato: i circa 20 milioni di euro impegnati in questi anni dalla Fondazione in questa iniziativa, infatti, hanno prodotto un effetto leva, coinvolgendo oltre cento enti e organizzazioni locali, che a loro volta hanno creduto nel rilancio dei luoghi, contribuendo con passione, progetti e risorse economiche; e così quei 20 milioni di euro sono diventati più di 50, grazie all’apporto degli enti pubblici locali e altri privati. Il progetto ha ampiamente dimostrato che è possibile fare massa critica, lavorare insieme con un obiettivo comune. Un’azione che va ben oltre l’attività filantropica, perché le fondazioni non mettono solo denaro, bensì progettano, coinvolgono e contribuiscono alla rinascita di comunità e territori.
«Dati inconfutabili dimostrano l’effetto leva del nostro operato»
Un’altra grande iniziativa che interessa i nostri territori è quella che riguarda il welfare di comunità: vogliamo costruire un nuovo welfare, insieme alle persone, dal basso; abbiamo già fatto partire i primi 7 progetti, con 10 milioni di euro. È una sperimentazione triennale che può diventare policy pubblica, ma se funziona, così come è stato per l’housing sociale, faremo una rivoluzione, dimostreremo che si può sostituire il welfare pubblico con un modello nuovo, dove il pubblico però deve continuare a fare la propria parte, non può delegare e nascondersi. Questo è un grande progetto che sul territorio viene realizzato insieme alle nostre 15 fondazioni di comunità, attori fondamentali, a livello locale, che sanno interpretare i bisogni delle comunità e coinvolgerle. Anche grazie a loro abbiamo già i progetti contro la povertà, per l’assistenza agli anziani, ai disabili, e ai minori. Vedrà che sentirà presto parlare di questo nuovo welfare di comunità, abbiamo alzato l’onda.
Prevedete il coinvolgimento di tecniche e tecnologie digitali per riaccendere il tesoro culturale di questi sei distretti? Quali nello specifico?
Abbiamo dato vita a iniziative per farli conoscere, coinvolgendo anche in questo caso, dal basso, le persone. Questi luoghi meritavano un nuovo racconto. Per questo, Fondazione Cariplo ha lanciato l’iniziativa “1001 storie di risveglio e cultura” invitando le persone a raccontare le loro esperienze di risveglio culturale, attraverso il web e i social network. Sono le persone che abitano nei distretti culturali, quelle che sono cresciute lì e se ne sono andate con i loro ricordi, i turisti che li visiteranno, a essere chiamate a condividere le loro “narrazioni” di risveglio, cultura e scoperta. Lo storytelling è partito con i primi video che rivelano le sfide e le emozioni di chi ha vissuto in prima persona e fatto vivere attraverso il proprio impegno, il rapporto tra cultura e sviluppo, all’interno di un ecosistema narrativo che valorizza identità e relazioni. Abbiamo invitato a partecipare tutti all’azione con #Raise2Rise. Va detto poi che ogni distretto ha sviluppato progetti per la valorizzazione dei propri tesori puntando spesso sulle tecnologie moderne per consentire ai visitatori percorsi emozionanti: quando si visita un luogo, un monumento, un museo occorre scatenare in ogni modo le emozioni per far sì che il visitatore viva un’esperienza indimenticabile. Visitando il museo del violino a Cremona, ad esempio, si può capire che cosa intendo…
Al netto di molte considerazioni sull’argomento di rilancio economico che abitano i giornali da molto tempo, quali crede siano le opportunità di lavoro generate dalla valorizzazione dei beni culturali?
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Con la «cultura si mangia e si cresce». Penso al Progetto iC, innovazione Culturale: abbiamo appena selezionato 12 idee che diventeranno imprese per i giovani talenti. In palio Fondazione Cariplo ha messo 1,5 milioni di euro e la piattaforma per far realizzare i sogni di questi ragazzi. C’è chi porta spettacoli a domicilio, chi metterà in scena gli attori dentro i musei; chi pensa all’educazione dei bambini e chi realizzerà un robot che digitalizza i capolavori dell’arte. Dodici storie che diventano realtà. L’idea di base è che la cultura e la creatività possono essere valori e lavoro. Un modello che fa vincere tutti: chi lo propone e chi ne beneficerà. Cercavamo aspiranti imprenditori con immaginazione, passione per la cultura e concretezza. Sono arrivati 260 progetti. Condizione fondamentale: i progetti su cui costruire un’impresa devono avere al centro la cultura, perché fondazione Cariplo è convinta che essa possa davvero essere un motore economico e un ambito dal quale possono nascere posti di lavoro. Le 12 imprese ora saranno incubate; i giovani team selezionati avranno l’opportunità di seguire un percorso di sviluppo imprenditoriale della durata di 2 mesi (settembre-dicembre 2015), che verrà ospitato presso gli spazi Ex-Ansaldo del nascente incubatore culturale e creativo milanese-europeo. Vedo grande entusiasmo negli occhi di questi ragazzi e mi dicono che nei social network il tema “spopola”.
Ma non è finita: c’è un’iniziativa delle fondazioni di origine bancaria anche a livello nazionale, si chiama Funder35; il bando è nato nel 2012: l’edizione di quest’anno mette a disposizione 2,65 milioni di euro per far crescere le imprese culturali degli under 35, soprattutto le più innovative; è promosso da 18 fondazioni private e coinvolge un gran numero di territori: dalla Basilicata, al Veneto e ovviamente fino alla Lombardia. È rivolto a organizzazioni culturali senza scopo di lucro, impegnate principalmente nell’ambito della produzione artistica/creativa in tutte le sue forme o nei servizi di supporto alla conoscenza, alla valorizzazione, alla tutela, alla protezione e alla circolazione dei beni e delle attività culturali. Queste organizzazioni sono spesso caratterizzate da una forte fragilità strutturale e operativa e dalla dipendenza da saltuarie sovvenzioni pubbliche o private. L’obiettivo di Funder35 è superare gli aspetti critici, offrendo alle imprese che saranno selezionate un contributo economico e un supporto formativo. Vogliamo giovani imprese culturali robuste, che poi camminino con le proprie gambe.
Se negli anni Ottanta c’erano i distretti industriali oggi occorre prestare più attenzione a quelli territoriali, in tale cambio di paradigma che cosa si è perduto e che cosa si è guadagnato?
Abbiamo compreso che disponiamo di tesori che sottovalutavamo. Cultura e agricoltura, sono due assi portanti per il nostro paese, lo sono sempre stati, così come il manufatturiero. L’industria è importante, ma abbiamo perso tempo e occasioni, tralasciando gli altri aspetti. Possiamo però recuperare ancora. Noi ci stiamo provando, insieme agli enti non profit e a molti enti locali che hanno ben chiari questi obiettivi.
Spostiamoci sulla formazione dove Fondazione Cariplo ha promosso un bando per favorire l’inserimento nel mondo lavorativo di studenti in uscita da un percorso di formazione di tipo tecnico-professionale. Di che cosa si tratta? Avete coinvolto anche il sistema produttivo?
Dobbiamo dare ai nostri ragazzi quello che può servire davvero per il loro futuro; al tempo stesso dobbiamo mettere le aziende nelle condizioni di trovare giovani preparati per ciò che il mercato richiede oggi, superando il gap che grava oggi sul sistema. Abbiamo lanciato un’iniziativa per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro di studenti in uscita da un percorso di formazione di tipo tecnico-professionale. Un milione di euro da parte di Fondazione Cariplo, destinati a migliorare la qualità dei percorsi didattici all’interno dei Poli e consolidarne le reti; due milioni di euro da parte di Regione Lombardia, che rientrano nel più ampio piano esecutivo regionale di attuazione di “Garanzia Giovani”. L’obiettivo è promuovere un sistema educativo di eccellenza capace di favorire lo sviluppo di capitale umano qualificato e sostenere la competitività delle filiere produttive del territorio. In questa logica, i Poli Tecnico-Professionali saranno il contesto ideale per sperimentare collaborazioni tra istituzioni scolastiche, formative e imprese.
Si tratta di un’iniziativa che può aprire una via verso un nuovo modello di formazione mirato a fornire competenze utili a tutti, e contribuire a sbloccare una situazione insostenibile. Qualche esempio di iniziative che potranno ottenere un sostegno? Progetti per il potenziamento dei laboratori e la progettazione dei curricula, servizi di orientamento e tutoring a supporto degli studenti che includano anche una valutazione personale delle competenze e delle aspirazioni individuali, azioni di sensibilizzazione presso le istituzioni scolastiche e formative per diffondere la consapevolezza dell’importanza di un percorso di apprendistato per gli studenti; attività di docenza, tutorship aziendale, organizzazione di visite guidate…
Evitare il divario digitale significa oggi evitare il divario culturale e significa garantire la democrazia
La tecnologia ha trasformato e continuerà a farlo il mondo del lavoro; soprattutto, come ci ricordava Piero Bassetti nel precedente monografico, ha cambiato i luoghi di produzione assecondando i nuovi strumenti. In tal senso come guarda all’avvenire del lavoro? Come custodire la prossimità di relazioni fisiche, la prossimità generata dall’attaccamento a un territorio, in un contesto lavorativo più virtuale e liquido?
A molti è parso strano che nel discorso di insediamento, il neo presidente della Repubblica Sergio Mattarella, abbia sottolineato che si può «Garantire la Costituzione anche utilizzando le nuove tecnologie e colmando il divario digitale». Siamo convinti di essere super tecnologici, eppure il divario di conoscenze legate alle tecnologie è ancora oggi molto ampio. Per esempio insieme a Microsoft abbiamo dato vista a un’iniziativa che vuole colmare un gap che riguarda anche il mondo del non profit.
Evitare il divario digitale significa oggi evitare il divario culturale e significa garantire la democrazia. Significa realizzare una società maggiormente equa. Significa garantire anche un’equità di genere. Significa riconoscere e rendere effettivo il diritto al lavoro, laddove si dimostra che la tecnologia può crearlo (lavoro qualificato, intendo) non distruggerlo. Significa promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza. Significa amare i nostri tesori ambientali e artistici, perché la tecnologia li può valorizzare. A pensarci bene, riducendo il divario digitale, ma soprattutto costruendo e diffondendo una cultura legata a questi temi, si può davvero realizzare una società più equa e inclusiva. Sarebbe riduttivo perciò pensare alla cultura digitale solo come alla possibilità di accedere a Internet.
La scuola può realizzare una società più equa educando i ragazzi e insegnando loro l’utilizzo di certi strumenti; le giovani generazioni accrescono in cultura, evitano di diventare Cyberbulli prendendo in giro i compagni sui network. Una società più equa e inclusiva usa gli stessi strumenti, in positivo, per mettere a disposizione i risultati della conoscenza: Fondazione Cariplo ad esempio da anni ha una policy open access per rendere i risultati della ricerca scientifica disponibile a tutti. Ridurre i divari digitali significa garantire l’autonomia e il pluralismo dell’informazione, presidio di democrazia. Significa libertà, come pieno sviluppo dei diritti civili, nella sfera sociale come in quella economica, nella sfera personale e affettiva.