«Una cosa mi ha colpito, più di tutte. In questi anni i greci hanno cambiato umore, hanno scoperto la tristezza. Il suicidio è sempre stato lontano dalla nostra mentalità, viene considerato quasi un gesto di viltà nei confronti delle persone che amiamo. Eppure negli ultimi tempi abbiamo scoperto questo dramma: un numero incredibile di persone ha deciso di togliersi la vita». Viki Markakis è una giornalista free lance. La crisi greca la racconta così. Nata ad Atene da una famiglia originaria dell’isola di Creta, si è trasferita in Italia tanti anni fa. Adesso fa parte del consiglio direttivo della comunità ellenica di Roma.
Sono quasi quattromila i greci che vivono a Roma, una comunità pienamente integrata. Studenti e professionisti. In questi giorni vivono con ansia l’attesa del referendum
Sono quasi quattromila i greci che vivono nella Città Eterna. È una comunità pienamente integrata. Formata da persone arrivate nel nostro Paese per scelta, raramente per necessità. Quasi tutti sono venuti da giovani per motivi di studio. Dopo l’università hanno deciso di stabilirsi a Roma. Molti si sono sposati e hanno formato una famiglia in Italia. Storie e vicende diverse. In buona parte sono professionisti, tanti i medici e gli ingegneri. In questi giorni anche loro vivono con ansia l’attesa del referendum di domenica. «È un voto che deciderà la nostra dignità» raccontano. Nel fine settimana alcuni torneranno a casa per votare, hanno già prenotato un volo. Chi aveva organizzato la vacanze in Grecia ha anticipato le ferie pur di partecipare alla consultazione voluta dal premier Alexis Tsipras.
Dopo tanti anni, ormai molti di loro si sentono anche italiani. Ma il senso di appartenenza resta molto forte. Lo scopri in occasioni particolari, quando la comunità si incontra per ricordare le proprie radici. Ogni anno, una delle prime domeniche di febbraio, i greci di Roma si danno appuntamento in un ristorante della Capitale. Almeno 350 persone festeggiano l’arrivo del nuovo anno celebrando il tradizionale taglio della vassilopita. È un rito vecchio di secoli che fonda le sue origini in Cappadocia, legato al culto di San Basilio. Ai presenti viene offerta una torta, nel cui impasto è stata infilata una moneta. Chi la trova nella sua fetta avrà fortuna nell’anno appena iniziato. Orgogliosi delle proprie tradizioni, raccontano i costumi che ancora li legano alla propria terra. Riti spesso di carattere religioso, come la cerimonia del Sabato Santo. In quell’occasione credenti e non credenti si incontrano nella chiesa greco-ortodossa di San Teodoro al Palatino per celebrare la Pasqua insieme a Padre Simeone.
I greci di Roma raccontano la vita dei parenti rimasti in Patria: le pensioni tagliate del 40 per cento, gli stipendi ridotti di un terzo, la disoccupazione che cresce
Quando parlano della situazione in Grecia molti perdono il sorriso. Quasi tutti hanno lasciato i genitori dall’altra parte dello Ionio, ognuno ha un familiare o un amico in difficoltà. Talvolta la preoccupazione per la crisi si trasforma in rabbia. «Il popolo greco sta morendo di fame» racconta senza troppi giri di parole Daphne Soulis. Arrivata in Italia negli anni Settanta per studiare all’università La Sapienza si è innamorata di un italiano, che ha sposato. Oggi insegna Storia dell’Arte in un liceo romano. È stata presidente della comunità ellenica per dieci anni. Ad Atene ha un fratello, pensionato. «Gli italiani che vanno in vacanza in Grecia spesso non vedono la crisi – spiega – Nelle isole si sta meglio, il turismo riesce ancora a muovere l’economia». Nella capitale e a Salonicco invece la situazione sta diventando insostenibile. «È come in tempo di guerra – continua Viki Markakis – nelle zone rurali si vive meglio. Quasi tutti hanno un orto, è più facile trovare latte e formaggio. La fame e la miseria si sentono nelle grandi città». I greci di Roma raccontano la vita dei parenti rimasti in Patria. Le pensioni tagliate del 40 per cento, gli stipendi ridotti di un terzo, la disoccupazione che continua a crescere. Intanto la crisi sta cambiando la società. «In Grecia c’era molto lavoro nero, è finito anche questo» racconta Viki. Non è un caso se i primi ad andarsene sono stati gli immigrati che si erano trasferiti anni prima dall’Albania.
Gli effetti della crisi economica si sentono anche a Roma. Negli ultimi anni la comunità ellenica si è trasformata. Un tempo il nostro Paese era la meta preferita per gli studenti che decidevano di studiare all’estero. Nelle nostre università si sono formate generazioni di professionisti greci. Del resto l’Italia era la destinazione più vicina, qualificata ed economicamente abbordabile. Da qualche anno a questa parte, i giovani sono quasi scomparsi. «La crisi ha decimato la comunità studentesca greca» racconta Viki. Adesso molti sono costretti a iscriversi negli atenei dei paesi balcanici. «Soprattutto in Romania e Bulgaria». Davanti a un bicchiere di ouzo, il tradizionale distillato all’anice, Kostantinos conferma. Al contrario di molti connazionali, lui è rimasto in Italia. Studia biologia umana a Roma. La sera lavora in una taverna greca nel cuore di Trastevere: l’associazione culturale che gestisce il ristorante organizza anche corsi di lingua e danze tradizionali. Vive con la ragazza, originaria dell’isola di Corfù. Hanno già deciso che appena terminati gli studi torneranno in Grecia. Per questo, forse, ha una visione più ottimista della situazione in Patria. Anche lui racconta i problemi e le difficoltà legate alla crisi. Ma riesce a guardare il futuro. «In Italia non si vive poi tanto meglio – sorride – con la crisi il lavoro manca anche qui». Il referendum di domenica? Kostantinos non ha dubbi, sostiene il premier Tsipras.
Se a decidere fosse la comunità ellenica di Roma, l’esito della consultazione sarebbe scontato. Qualcuno se la prende con Bruxelles. «Negli ultimi anni in Grecia è stato fatto un vero e proprio esperimento – dice Daphne – perché l’Europa non si è comportata allo stesso modo con il Portogallo e l’Irlanda?». Il disagio non nasce da sentimenti antieuropei, ma da una speranza tradita. Usciti nel 1974 dalla dittatura militare, per i greci l’Europa rappresentava una certezza di libertà. «E invece in pochi anni ci siamo trovati vittime di un’altra dittatura, quella dei mercati» racconta Viki.
Trianda vive a Roma, è il responsabile delle relazioni esterne del Garante per l’infanzia. Ad Atene ha lasciato due genitori pensionati e un fratello che lavora a tempo pieno per 540 euro al mese
Al rione Monti, nella piccola sede della comunità, le storie si intrecciano. Trianda Loukarelis si è trasferito a Roma nel 1989. Iscritto alla facoltà di Scienze Politiche, come molti connazionali in Italia ha trovato l’amore. Fatta eccezione per il servizio militare, da allora è rimasto sempre qui. Si è sposato con una ragazza siciliana, oggi hanno una figlia. Lavora come responsabile delle relazioni esterne presso l’Autorità Garante per l’infanzia. La sua esperienza è simile a quella di tanti altri greci. Quando parla del suo Paese racconta la paura della gente. «La recente chiusura delle banche ha creato il panico. Ormai manca anche la razionalità per capire quello che sta succedendo». Ad Atene ha lasciato due genitori pensionati e un fratello, che lavora a tempo pieno per 540 euro al mese. «Ormai il 35 per cento dei greci sono poveri, il 27 per cento disoccupati. Le misure proposte da Bruxelles rischiano solo di peggiorare questa situazione».
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Anche Trianda ha le idee chiare per il referendum di domenica. «Io sono con Tsipras. Se accettiamo altra austerità rischiamo di vivere per decenni senza sviluppo. E senza sviluppo non si pagano neppure i debiti». Si schiera con il premier, Daphne Soulis. «Non ho votato per Tsipras, ma adesso sono una sua grande sostenitrice. In cinque mesi al governo ha fatto quello che aveva promesso agli elettori. Sta provando a migliorare la vita dei greci, e se non ci riuscirà se ne andrà. È una questione di coerenza». Su una cosa sono tutti d’accordo. Grande comprensione anche per chi voterà sì. «Io capisco anche loro – dice Trianda – Noi che viviamo all’estero possiamo permetterci il lusso di ragionare su queste vicenda. Ma chi vive ad Atene ha il terrore del domani». Insistono tutti sul rispetto verso chi la pensa diversamente. «Io non ho un conto in banca in Grecia, non prendo la pensione in Grecia, non ricevo un stipendio in Grecia. Ecco perché non posso criticare i miei connazionali che voteranno sì» continua Daphne. Nessuno ha paura del rischio di sospendere le trattative con i creditori internazionali? «Se vincerà il no il risultato potrebbe essere pericoloso. Rischieremmo il default. Ma è l’unica strada per comportarsi in maniera dignitosa».
«Io non ho un conto in banca in Grecia, non prendo la pensione in Grecia, non ricevo uno stipendio in Grecia. Ecco perchè non posso criticare i miei connazionali che voteranno sì»
La parola dignità torna spesso. I greci sono un popolo orgoglioso della propria identità, non fanno nulla per nasconderlo. «Siamo un paese patriottico» spiega Trianda. I movimenti secessionisti italiani li incuriosiscono, ma non li capiscono fino in fondo. «Da noi sui confini della nazione non si discute». Tre anni fa la comunità ellenica ha organizzato una raccolta fondi. Un’iniziativa di solidarietà per aiutare i connazionali alle prese con la crisi. Sono stati inviati tremila euro al Comune di Atene per comprare e distribuire del cibo. «Lei rimarrà sorpreso di fronte a una cifra così piccola – racconta Daphne – E le posso assicurare che la maggior parte dei donatori erano italiani, ho ancora le ricevute dei bonifici». Non è mancanza di generosità. «I greci si vergognavano. Non riuscivamo a credere, non volevamo credere, che ad Atene la gente pativa la fame. Come in un paese del terzo mondo». Ecco l’orgoglio ellenico. Lo stesso che oggi porta molti greci a guardare con sospetto le pressioni che arrivano dalla comunità internazionale. «A Bruxelles non si accorgono – spiega Trianda – che la conferenza stampa in cui Juncker invitava a votare per il sì al referendum rischia di essere un boomerang. Ascoltandolo, molti si saranno convinti proprio del contrario».
Ma l’orgoglio nazionale è anche assunzione di responsabilità. Di fronte alla crisi economica nessuno si nasconde. «Negli anni la Grecia ha fatto molti sbagli – spiega Viki Markakis – ne siamo tutti consapevoli». La corruzione, il clientelismo, l’esistenza di privilegi insostenibili. «Sicuramente abbiamo sbagliato – conferma Daphne – Ma non credo che per questo meritiamo di essere trattati come i ladri d’Europa». I pregiudizi tedeschi sulla poca voglia di lavorare vengono vissuti come un’offesa personale. «Non si può considerare lavativo un intero popolo» dice Viki, tesoriera della comunità. Da questo punto di vista il nostro resta un Paese amico. I greci che vivono a Roma raccontano la solidarietà degli italiani. In queste settimane molti hanno preso a cuore la questione ellenica. Non sono mancati gli attestati di stima e vicinanza. Espressioni non sempre disinteressate. Nel fine settimana diversi esponenti politici voleranno ad Atene in occasione della consultazione popolare. «Io ho sempre simpatizzato per il Movimento Cinque Stelle – racconta Trianda – ma andare a piazza Syntagma per pubblicizzare il referendum anti-euro non aiuta la nostra causa». La questione ha rischiato di aprire un incidente diplomatico. Nei giorni scorsi l’ambasciatore greco Themistoklis Demiris è stato inviato a Montecitorio dal gruppo grillino. Dopo aver accettato, all’ultimo momento ha deciso di disertare l’incontro (c’è chi dice su pressione del governo ellenico). «Questa è una vicenda che tocca la carne e il sangue dei greci – conferma Trianda – Nessuno deve strumentalizzarla. I partiti italiani che verranno ad Atene se lo ricordino».