RIMINI – «Se paghi 900 euro al mese un tuo dipendente non sei un uomo credibile, prima che un imprenditore». Parola di Brunello Cucinelli, re del cashmere i cui ricavi netti al 30 giugno superano i 200 milioni di euro. Gira il mondo per tre mesi all’anno, poi torna nel borgo umbro di Solomeo, che ha restaurato per stabilirci fabbrica e uffici. Al Meeting di Comunione e Liberazione lo hanno invitato per un dibattito sull’impresa «dal volto umano». La sua occupa 1400 persone con un’età media di 36 anni che guadagnano il 30 per cento in più degli impiegati nelle imprese concorrenti. Camicia bianca e scarpe sportive. Per qualcuno è un renziano “ante litteram”. A Rimini Cucinelli cita Epicuro e Papa Francesco, chiacchiera con Maurizio Lupi e Graziano Delrio, esulta per il «declino del consumismo» ma soprattutto semina auspici per il futuro. «Siamo tra i pochi paesi sviluppati a non aver perso know-how. Ma le piccole e medie imprese italiane devono avere più coraggio e aprirsi al mondo».
Nel secondo trimestre del 2015 il Pil italiano è cresciuto dello 0,2 per cento rispetto al trimestre precedente e dello 0,5 rispetto al secondo trimestre 2014. Un passo lento se confrontato alle economie avanzate. Si può ancora essere ottimisti?
Io sono super ottimista. Essendo quotati in Borsa è nostra abitudine incontrare gli investitori stranieri ogni due o tre mesi. Loro vedono l’Italia molto diversa rispetto a prima. Dicono che il governo ha fatto riforme fondamentali, abbiamo una credibilità molto alta. Ma dobbiamo accettare due grandi temi.
Quali?
In questi anni è stata ridisegnata la mappa mondiale del lavoro, per l’Italia c’è spazio solo nella fascia medio-alta. Dalla meccanica all’abbigliamento. Abbiamo perduto il manufatto di basso livello, il mercato si è chiuso rapidamente. Ci vuole un po’ di tempo perché questa parte alta si sviluppi, ma anche per reintegrare i lavoratori che per decenni hanno lavorato nel segmento. In più credo che abbiamo intrapreso, forse per primi, una sorta di declino del consumismo. I giovani hanno un tasso di sensibilità diversa, anche grazie al Papa che ci invita a non volgere le spalle alla povertà. Non consumiamo, ma utilizziamo le cose che il Creato ci dà. Ciò significa sprecare di meno, fare più attenzione. Anche perchè se impostiamo il lavoro sul consumismo la civiltà muore.
Lei parla di un’immagine rinnovata dell’Italia all’estero. Ma spesso a fare il giro del mondo sono i simboli di un Paese in decadenza. Ultime le immagini del funerale dei Casamonica.
Queste sono traversie interne. Se il Fondo Monetario Internazionale, la Bce, Obama e la Merkel giudicano le nostre riforme in modo positivo, come posso io non immaginare che non sia avvenuto? Qualche mese fa Morgan Stanley ha detto di investire in Europa ma soprattutto in Italia. Due o tre anni fa non era così.
Come giudica le mosse del governo su lavoro, imprese e sviluppo economico?
Non amo giudicare, ognuno ha il suo mestiere. Se domani chiedessi a Renzi di aiutarmi a fare la collezione di cashmere, secondo me concluderebbe poco. Il governo ha capito il grande valore della rapidità, perché il mondo è cambiato in fretta. Gli investitori e i banchieri stranieri dicono che siamo manifatturieri veri, secondi solo alla Germania. Il Made in Italy è il terzo brand al mondo. All’estero non ci guardano per i piccoli spiccioli interni.
Lei, da imprenditore, quali misure urgenti chiederebbe?
Più che giudicare dovremmo tornare ad avere un grande rispetto per lo Stato, in cui oggi crediamo poco. A volte ci lamentiamo del fatto che la nostra città sia sporca, ma i greci ci dicevano che se è pulito il portone di casa tua, allora la tua città sarà pulita. Vorrei fare un appello alla responsabilità e alla coscienza civica delle persone. Siamo forse il primo Stato sociale al mondo tra le prime otto potenze mondiali. I giovani sono i veri paladini della nuova umanità, devono andare oltre la lamentela e avere una visione più alta dell’Italia.
È stato ospite all’ultima Leopolda, la sua narrazione ricorda quella del primo Renzi. Possiamo annoverarla tra gli imprenditori renziani?
Non sono un renziano. Sono amico di Matteo Renzi perché siamo stati nel consiglio di amministrazione di Pitti per quattro anni. L’ho sempre stimato come ragazzo e adesso lo stimo come presidente del Consiglio. Ma io sono un sostenitore dell’Italia. Voglio collaborare perché migliori, certo preferisco avere a che fare con persone per bene.
L’ossatura economica italiana è fatta di piccole e medie imprese. Davanti al rischio nanismo, non vede la necessità di quotarsi in Borsa?
Ci ho pensato cinque anni prima di quotare la mia azienda. Ma l’ho sempre detto, dobbiamo aprirci, le imprese italiane dovrebbero avere un po’ di coraggio in più. Poi non so se la soluzione sia aprirsi a un fondo, a una banca o ad altri soci. Però sì, bisogna essere sempre più internazionali. La nostra azienda da sempre gestisce Italia, Europa ed America come se fossero mercato domestico. Non c’è differenza tra un negozio di New York e uno di Venezia. In questo senso serve un po’ più di elasticità da parte delle imprese italiane.
Lei ripete spesso che l’azienda deve investire nell’essere umano. Ma tutto ciò è ancora compatibile con l’ottimizzazione delle risorse in un’impresa in tempo di crisi?
Mio babbo e i miei fratelli non conoscevano nulla del proprio datore di lavoro. Oggi sai tutto: profitti, perdite, difficoltà, vantaggi e svantaggi. Grazie alla tecnologia è cambiata l’umanità, portando una sorta di moralizzazione. Come devo fare per affascinare e convincere un giovane a venire da me a fare il sarto, il magliaio o il raccoglitore di olive? Se non torni a dare dignità morale ed economica a certi lavori, non potrai più produrre prodotti speciali. Se paghi 900 euro al mese un tuo dipendente non sei un uomo credibile, prima che un imprenditore.