Podemos in Spagna, Syriza in Grecia, adesso la vittoria di Jeremy Corbyn alle primarie del partito laburista inglese. In Europa sta nascendo una nuova sinistra? Il politologo Gianfranco Pasquino non sembra troppo convinto. Professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna, già senatore della Sinistra indipendente dal 1983 al 1992 e dei Progressisti dal 1994 al 1996, l’autore del primo ddl sul conflitto di interessi in Italia spiega: «Corbyn non diventerà mai primo ministro. E questo lo sa anche lui». Le differenze con Podemos e Syriza sono tante, a partire dal gap generazionale che divide il politico britannico dagli altri leader. In compenso è basso il rischio di conseguenze politiche per l’Italia. «Se nel Partito democratico ci sarà una scissione – continua Pasquino – sarà solo per colpa della boria di Matteo Renzi».
Professore, in Europa sta nascendo una nuova sinistra?
La vittoria di Corbyn non mi ha sorpreso. Le possibilità sono cresciute nel corso del tempo e negli ultimi giorni prima del voto la sua affermazione era piuttosto annunciata. Ma non sono sicuro che si tratti di un fenomeno europeo. I leader di Podemos e Syriza rappresentano una nuova sinistra, Corbyn rappresenta la vecchissima sinistra già presente nel partito laburista. Consideriamo che siede in Parlamento già dal 1983. Per i laburisti questo è un ritorno al passato. Gli stessi punti programmatici di Corbyn sono espressione del passato. Penso alle nazionalizzazioni, che dovrebbero far rabbrividire qualcuno.
Spagna e Grecia hanno anche una diversa situazione economica rispetto all’Inghilterra.
Se è per questo Spagna e Grecia sono anche due ex regimi, la Gran Bretagna no. Ma c’è anche un’altra differenza. Corbyn ha quasi 70 anni, forse è mio coetaneo. I leader di Syriza e Podemos sono quarantenni: un gap generazionale che si traduce anche in un gap di idee.
A unire queste diverse esperienze politiche forse sono le crescenti disuguaglianze in Europa?
Il filo conduttore, l’unico elemento che vedo, sono i rapporti con l’Europa. Anzi, l’opposizione contro il modo in cui questa Europa si è autogovernata negli ultimi dieci anni.
I critici assicurano che Corbyn è destinato a rappresentare la protesta, mai una posizione di governo.
Sulla base delle tre elezioni perse dai laburisti dal 1983 al 1992 direi che sono d’accordo. Corbyn può rappresentare una ripresa per i laburisti, la creazione di un nuovo partito. Ma penso che neppure lui abbia mai sognato di diventare primo ministro. Anche con la più fervida immaginazione, nel suo orizzonte non c’è questa aspirazione.
In Inghilterra si teme una scissione nel partito. E se invece la scissione arrivasse in Italia? Qualche esponente del Pd potrebbe decidere di dar vita a un nuovo movimento di sinistra anche nel nostro Paese?
Nel partito laburista una scissione ci fu effettivamente nei primi anni Ottanta, con la nascita del partito socialdemocratico. Se pensiamo che 220 parlamentari su 240 non hanno votato per Corbyn, è possibile immaginare che oggi altri si spostino per cercare nuove alleanze. In Italia è diverso. Chi ha guardato altrove come Stefano Fassina non ha fatto molta strada. E credo che Gianni Cuperlo, nonostante condivida l’iniziale del cognome con Corbyn, non abbia intenzione di intraprendere lo stesso percorso. Le vittorie altrui non devono determinare conseguenze per noi. Se ci sarà una scissione sarà per altre logiche, penso alla ristrutturazione del partito. Contro la boria insopportabile di un presidente del Consiglio che è anche segretario del partito. Ecco una differenza, Corbyn non ha alcuna boria, Matteo Renzi ne ha in gran quantità.
Insomma oggi in Europa chi è fuori contesto? Podemos e Syriza, Jeremy Corbyn o il Partito democratico?
Corbyn non è fuori contesto, nel partito laburista quella sinistra è sempre esistita. Siamo noi difformi rispetto al resto d’Europa. Spesso si dimentica la storia. Questo Partito democratico è il prodotto di una fusione tra quello che restava degli ex comunisti e quello che restava degli ex democristiani, all’epoca Margherita. Ed è un partito guidato da un leader che viene dagli ex Dc. Non c’entra nulla con la tradizione europea. Adesso si tenta di costruire un’identità con l’adesione al partito socialista europeo, ma quel dna comune di cui ha recentemente parlato Giorgio Napolitano non esiste.