La vita misteriosa di Alejandro Finisterre, inventore del biliardino

La vita misteriosa di Alejandro Finisterre, inventore del biliardino

Esistono, nella storia, personaggi laterali, quasi sconosciuti ai più, uomini e donne che si trascinano per il mondo tra le pieghe degli eventi, la cui vita, tra zone di luce e coni d’ombra, sembra costruire il bandolo attorno a cui si avviluppa il filo della Storia con la S maiuscola, quella fatta di date cardine, di protagonisti e di comparse che ne devìano il corso.

Uno di questi personaggi laterali si chiama Alexandre Campos Ramírez, ma è più conosciuto con il nome di Alejandro Finisterre. Classe 1909, galiziano di Finisterre, Ramirez è stato tante cose: letterato, scrittore, editore, militante antifascista, ma soprattutto inventore del biliardino. Finisterre ha attraversato la storia del Secolo Breve incrociando la traiettoria di guerre civili, rivoluzioni mancate ed esili, ma soprattutto di decine di protagonisti assoluti della sua epoca: Pablo Neruda, Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Ernesto Guevara, Albert Camus, solo per citare alcuni dei più noti.

Alejandro Finisterre, classe 1919, galiziano di Finisterre, è stato tante cose: letterato, scrittore, editore, militante antifascista, ma soprattutto inventore del biliardino

Intorno alla vita di Finisterre cresce e prospera il Novecento, ma anche il mitico biliardino, che altri chiamano calcino, calcio balilla, calcetto, fubalino, pincanello, subotto (per restare solo in Italia) passatempo amato da milioni di giovani e meno giovani in tutto il mondo, tanto da diventare un gioco di culto. Chi non si ricorda almeno una serata finita con i palmi delle mani rosso fuoco, i polsi slogati e una tachicardia da agonismo talmente insopprimibile da generare sudori, perdite di voce e, soprattutto, un sacco di divertimento?

E qui entra in scena Alessio Spataro, disegnatore siciliano classe 77, tra i migliori della sua generazione, che ha investito quasi un decennio di lavoro alla ricerca di informazioni e storie intorno a questo personaggio incredibile, quanto misterioso. E attorno ci ha costruito un romanzo a fumetti, il primo della sua carriera di disegnatore.

«In questa graphic novel ci sono praticamente gli ultimi dieci anni della mia vita», racconta a Linkiesta Spataro a Mantova, seduto al tavolino del Laso, in una piazza Broletto affollata dal pubblico di Festivaletteratura. «Ho cominciato nel 2007, leggendo sui giornali italiani la notizia della morte di Alejandro Finisterre, l’inventore del biliardino. Da subito mi incuriosì quel personaggio così pazzesco. Veniva definito letterato, editore, inventore, era stato un antifascista e aveva conosciuto la fuga e l’esilio. Non ci volle molto prima che mi fossi letto tutti gli articoli che erano usciti su di lui».

«Man mano che riuscivo ad assemblare le parti di questa storia, come se fosse una specie di puzzle, mi interessavo delle parti mancanti, dei buchi, zone d’ombra che ad oggi, a fumetto finito, continuano ad esserci»

I misteri intorno alla vita di Finisterre sono moltissimi, come hai lavorato in questi anni?
Da subito mi sono immaginato una possibile storia che avesse lui come baricentro, ma poi effettivamente, più cercavo documentazione su di lui, più mi imbattevo in storie non documentate, racconti di testimoni e amici, ma in pochissime storie ufficiali. La prima parte del lavoro di documentazione è stato costituto soprattutto da telefonate e mail a persone che l’hanno conosciuto, proprio perché documenti cartacei non ce n’erano. Poi, man mano che riuscivo ad assemblare le parti di questa storia, come se fosse una specie di puzzle, mi interessavo delle parti mancanti, dei buchi, zone d’ombra che ad oggi, a fumetto finito, continuano ad esserci. Ed è anche questo che rende affascinante questo straordinario personaggio, la cui vita purtroppo non conosceremo mai completamente.

Come hai provato a riempire i buchi?
Quando con Bao abbiamo chiuso l’accordo per questo libro ho cominciato a viaggiare, volevo incontrare direttamente le mie fonti e allargare lo spettro dei documenti consultati. Sono stato una settimana a Barcellona fissando appuntamenti con gente che lo aveva incontrato, che lo aveva intervistato, ma anche visitando archivi e biblioteche. È lì che ho trovato la sua autobiografia, quella degli anni ’70, scritta a cinquant’anni, poco prima di tornare in Spagna.

Qual è stato il tassello mancante più grande?
Di sicuro la moglie, che a quanto mi risulta è ancora in vita, ma che non sono riuscito a incontrare. Le ultime notizie che sono riuscito ad avere su di lei sono state nel 2012, da gente che li aveva conosciuti entrambi. Proprio la moglie è anche in parte causa della mancanza di ulteriori notizie su di lui. Perché esiste un’autobiografia successiva, che però è rimasta inedita ed è sepolta negli archivi di un agente letterario, un libro su cui la moglie ha imposto un veto per la pubblicazione. È un mistero nel mistero, insomma.

In che modo hai fatto interagire storia e finzione narrativa?
Ho lavorato di fantasia, soprattutto per i dialoghi, poi ho aggiunto personaggi e fatti laterali che mi servivano a livello narrativo per fare emergere dei tratti che mi interessavano del protagonista. Così mi sono trovato in mano quel puzzle di cui ti parlavo, che è composto dai fatti storici, documenti, racconti di testimoni e parti inventate.

«Sembra un paradosso, ma il Secolo breve mi sembra un panorama più chiaro e più “profondo” rispetto all’appiattimento e alla superficialità del mondo in cui viviamo ora»

Biliardino, oltre che essere il tentativo di ricostruzione della vita di Finisterre, è anche un grande affresco del Novecento. Cosa ti attrae così tanto del XX secolo?
Il Novecento è il secolo dei conflitti che hanno plasmato il mondo in cui viviamo. È questo che mi attrae, perché è stato un periodo storico che, diversamente da ora, offriva una possibilità di maggiore chiarezza. Nonostante spionaggi di ogni genere e opacità di varia natura — nomi falsi, posizioni politiche interessate e falsamente rivoluzionarie, doppiogiochismi — il Secolo breve mi si delinea in testa come un panorama sia più chiaro sia più “profondo”, rispetto all’appiattimento e alla superficialità del mondo in cui viviamo ora.

Non trovi che questa differenza sia paradossale? Il web ora ci dà la sensazione che tutto avvenga sotto ai nostri occhi. È solo una sensazione?
Io sono nato nel ’77 e mi sono formato tra gli anni Novanta e i Duemila, quando il Secolo Breve ce lo eravamo lasciato alle spalle. Ma la sensazione che ho è che quello che ci siamo persi nel passaggio dall’epoca analogica a quella digitale, che più o meno è coinciso con il passaggio di secolo, sia il tempo. Il tempo per approfondire, per indagare, per conoscere. Oggi, con le nuove tecnologie, abbiamo guadagnato una velocità e una facilità impressionante di accesso a una mole enorme di informazioni e dati. Ma credo che nel frattempo ci siamo persi il filtro. Forse l’ho perso anch’io.

«Abbiamo perso il contatto con la fonte delle notizie — oggi il web sembra una specie di figura mitologica da cui partono e in cui muoiono tutte le storie, un mostro che consente ogni tipo di chiarimento — e con tutto questo abbiamo perso la capacità di costruirci una coscienza civile»

Dal punto di vista dell’informazione cosa credi che ci siamo persi?
Abbiamo perso il contatto con la fonte delle notizie — oggi il web sembra una specie di figura mitologica da cui partono e in cui muoiono tutte le storie, un mostro che consente ogni tipo di chiarimento — e con tutto questo abbiamo perso la capacità di costruirci una coscienza civile. L’appiattimento in cui ci troviamo ora è molto funzionale a coloro che vogliono affascinare la gente e fare successo in politica, ma se guardi bene i quattro partiti più importanti di questi anni propongono tutto e il contrario di tutto, sono pronti a imbarcare chiunque pur di allargare il consenso e sopire il conflitto.

Questa tendenza alla velocità e al flusso infinito di contenuti potrà essere la scintilla per una reazione, o quanto meno per la creazione di anticorpi?
Lo spero, ma non posso essere sicuro. La tendenza a ridurre il tempo dedicato all’ozio, ovvero quello dedicato alla crescita di se stessi, agli hobby, agli sport, alle letture, alle passioni, o addirittura a perderlo sprecandolo sui social network, credo che possa portare a una reazione. E sarà una reazione necessaria, perché per essere cittadini consapevoli dobbiamo tornare a informarci, ad approfondire, a ragionare.

«Ho l’impressione che, mentre siamo convinti di viaggiare verso un futuro fantascientifico, non ci rendiamo conto che stiamo tornando indietro. E non tanto verso i conflitti del Novecento, ma addirittura verso l’Ottocento»

Che futuro ci aspetta da questo punto di vista?
Non lo so, ma ho l’impressione che, mentre siamo convinti di viaggiare verso un futuro fantascientifico, non ci rendiamo conto che stiamo tornando indietro. E non tanto verso i conflitti del Novecento, ma addirittura verso l’Ottocento: ci stiamo alienando e stiamo perdendo diritti guadagnati nell’ultimo secolo. E anche la tecnologia, che sembrava poterci aiutare a costruire una società più giusta dando a tutti i mezzi per emergere e costruirsi la propria opinione, sta in realtà amplificando le differenze. Non ci sta unendo, ci sta dividendo e i vantaggi anche economici dell’applicazione di nuovi modelli economici sta amplificando le distanze tra i pochi — sempre meno — ricchi e i poveri, sempre di più.

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