Seyenne, la ragazza eritrea investita a Napoli mentre sognava la Germania

La storia

Quattromila chilometri di deserto sahariano, fiumi e mare. Gliene mancavano altri mille. Facili facili. Di strade asfaltate e ponti. E sarebbe arrivata in Germania, nella sua terra promessa. Quella che centinaia di profughi sognano di raggiungere. Ma il suo viaggio è finito in Italia, lungo uno stradone della provincia di Napoli, a Giugliano, sotto il cofano di una Bmw X3 che l’ha travolta in pieno, facendola volare a dieci metri di distanza.

Seyenne Ftwi, 18 anni lo scorso giugno, veniva dall’Eritrea, la punta del corno d’Africa che affaccia sul Mar Rosso. Sognava un’altra vita, come le centinaia di migliaia di immigrati che provano in questi mesi a entrare in Europa via mare e via terra. Fuggiva dalla miseria e da una dittatura atroce, quella di Isaias Afewerki, storico capo del movimento indipendentista eritreo, presidente dal 1993 (anno dell’indipendenza), che ha imposto un regime mono-partitico, eliminato i media indipendenti e schiacciato l’opposizione, costringendo la popolazione alla fame e all’impoverimento.

Seyenne era arrivata in Italia domenica 20 settembre, approdata su un barcone carico di profughi a Palermo, insieme a un altro gruppo di sei connazionali, tra cui una sorellastra. Tutte ragazze giovani, 18-19enni. Capelli ricci, fisico snello, lineamenti delicati. Da Palermo era stata “dirottata” a Napoli. Insieme a 300 profughi era sbarcata al Molo Beverello lunedì 21 settembre. Ad attenderla alla Prefettura un volontario dell’associazione “Homo Diogene”, che la carica in un furgoncino insieme alle altre sei per portarla al centro di accoglienza di Giugliano. Un palazzone di quattro piani e dieci alloggi. Dentro una trentina di immigrati: nigeriani, bengalesi, qualche pakistano. Il gruppetto delle sette ragazze non ha però intenzione di fermarsi. Arrivano all’una. Si fanno una doccia e alle 14 e 30 decidono di lasciare il centro per ripartire. Anche a piedi. In tutti i modi. Non si fermeranno finché non vedranno comparire all’orizzonte i cartelloni della Germania, là dove le attende un altro gruppo di connazionali. Forse parenti.

In meno di cinque minuti, dalla traversa di Ponte Riccio, le sette ragazze si ritrovano lungo lo stradone dell’asse mediano, direzione Lago Patria. Macchine che schizzano ad alta velocità, motociclette, tir che lambiscono i guardrail. Un mondo che non conoscono. Il gruppo cammina in fila indiana, rasente alla striscia bianca del battistrada. Dopo 500 metri, per un motivo ancora non chiarito, le ragazze decidono di attraversare. Tre corsie a scorrimento veloce, separate ciascuna da un guardrail. Mentre attraversano, con gli automobilisti spaventati incollati al clacson, Seyenne viene travolta da un Suv. Una Bmw X3. Nero come un lutto. Il suo corpo esile non regge l’impatto e viene scaraventato a quasi 10 metri di distanza. Inutili i soccorsi. I sanitari accertano subito che la 18enne è deceduta sul colpo. Le amiche e la sorellastra restano lì, attonite, sul bordo della carreggiata, a osservare il cadavere della loro compagna di viaggio coperto da un telo verde. Quando vedono i vigili e gli agenti della polizia stradale si spaventano, hanno paura di parlare, temono che qualcosa o qualcuno le riporti in Eritrea e interrompa il loro viaggio. Sono sole e non spiccicano una parola di italiano. Il console eritreo a Napoli viene contattato telefonicamente, ma non è in grado di raggiungerle. Dopo un breve e difficile interrogatorio, le ragazze vengono riportate al centro di accoglienza.

Il corpo di Seyenne Ftwi è stato sottoposto all’esame autoptico. Verranno accertate eventuali responsabilità del conducente del Suv. Indagini e trafile burocratiche che resteranno in Italia, in questa terra di passaggio. Le cinque amiche, invece, e la sorellastra, ripartiranno, forse domani, o tra qualche giorno. Sono pronte a tutto, ostinate a finire il viaggio. Quegli ultimi mille chilometri che le separano dalla loro terra promessa.