«A mio giudizio, il principio del finanziamento pubblico ai partiti è un principio di garanzia democratica». Comunque la si pensi, bisogna dare atto al senatore Miguel Gotor di avere coraggio. Nell’epoca della lotta alla casta, difendere l’esistenza di fondi pubblici per la politica è quantomeno controcorrente. Eppure l’esponente del Partito democratico non sembra aver paura delle proprie idee. «Sono tra i due o tre senatori del mio partito che nel 2013 non hanno votato la legge che ha abolito il finanziamento pubblico ai partiti», rivendica a Palazzo Madama. «Sono, infatti, radicalmente contrario allo spirito di un simile provvedimento – continua – che reputo il più grave e contraddittorio varato nell’attuale legislatura per i costi che comporterà nel medio periodo sul corretto e sano funzionamento della democrazia italiana».
Lo sfogo che non ti aspetti va in scena nel primo pomeriggio al Senato. L’occasione è l’esame del ddl Boccadutri, una modifica alla legge 96/2012 che aveva ridotto i contributi pubblici ai partiti. Quella in discussione è una norma che sblocca finanziamenti già previsti, ma mai erogati per l’assenza di controlli da parte della commissione di garanzia (sprovvista di personale). Il senatore però vuole essere preciso: «Per non alimentare cattiva informazione e dunque disinformazione, ci tengo a precisare che i partiti, tutti i partiti, hanno adempiuto esattamente agli obblighi di legge sul finanziamento della politica. Hanno presentato i loro bilanci e i documenti a supporto del bilancio, in grado di giustificare ogni singola spesa agli occhi della società di revisione esterna». Docente di storia moderna all’università di Torino, politicamente vicino all’ex segretario Pierluigi Bersani, Gotor è diventato uno dei principali esponenti della minoranza democrat. A sentire lui il principio del finanziamento pubblico ai partiti risponde a un elementare bisogno di giustizia. «Non a caso – spiega – vige in tutte le democrazie europee per i suoi caratteri di universalità, neutralità, terzietà e proporzionalità».
«Il principio del finanziamento pubblico ai partiti risponde a un elementare bisogno di giustizia .Non a caso vige in tutte le democrazie europee per i suoi caratteri di universalità, neutralità, terzietà e proporzionalità»
Si può essere più o meno d’accordo, ma la tesi non è campata in aria. Tutt’altro. Le radici del ragionamento di Gotor peraltro sono nella nostra Carta costituzionale. «I partiti, in base alla Costituzione, esplicano una funzione pubblica e un Paese civile non può limitarsi a un finanziamento privato perché, se lo fa, riconosce implicitamente che la politica debba rispondere solo ed esclusivamente a interessi privati e particolari».
Certo, probabilmente questo non è il periodo storico adatto per sostenere questa posizione. Il vento dell’antipolitica spira ormai forte. Ma Gotor non si tira indietro. «Bisognerebbe avere la dignità – continua – di difendere i partiti e non lisciare ipocritamente il pelo all’opinione pubblica alimentando una condanna generalizzata e indiscriminata che li equipara pressoché ad associazioni a delinquere. Anzi, la dignità di difenderli significa proprio impegnarsi allo spasimo per distinguere il grano dal loglio». Il rischio, altrimenti, è quello di ottenere l’esatto contrario. «Ciò va fatto a partire dal principio che, se tutti sono ladri e che se tutti rubano alla stessa maniera, si apre la strada a un’autoassoluzione generalizzata che conviene soprattutto ai delinquenti e dà spazio a centri occulti e informali, cricche di potere in grado di condizionare meglio e con maggior efficacia una politica sempre più debole, irrilevante e dequalificata agli occhi dell’opinione pubblica».
«Bisognerebbe avere la dignità di difendere i partiti e non lisciare ipocritamente il pelo all’opinione pubblica alimentando una condanna generalizzata e indiscriminata che li equipara pressoché ad associazioni a delinquere»
Il senatore democrat torna al passato. Alla storia del Novecento. Non è mai esistito un movimento totalitario che non sia salito al potere senza essersi presentato come un “non partito”. Come un movimento di liberazione dai partiti. «La polemica contro i partiti e il Parlamento – dice Gotor – che si presenta sempre come nuova ed emergenziale, in realtà soprattutto in Italia è vecchia come il cucco». Il resoconto stenografico della seduta riporta passo passo l’intervento del parlamentare. «Sembra incredibile doverlo ammettere, ma oggi in Italia la politica è l’unico, ripeto l’unico, ambito dell’agire umano in cui l’esperienza e la professionalità non solo non contano, ma sono giudicate un disvalore. Non servono a ottenere un consenso, anzi lo sottraggono». Tra i banchi di Palazzo Madama qualcuno applaude. Molti di più dissentono. «La politica non può diventare un recinto chiuso dove si entra con il voto di sempre meno cittadini, affidata ad oligarchie di abbienti e danarosi che se lo possono permettere, oppure essere alimentata da testimonial di fama che consentono di evitare la necessità di un finanziamento pubblico».
«La polemica contro i partiti e il Parlamento che si presenta sempre come nuova ed emergenziale, in realtà soprattutto in Italia è vecchia come il cucco»
Anche per questo Gotor ha chiesto e ottenuto di essere relatore del provvedimento in esame. Un provvedimento “scomodo”, come ammette anche lui. Ma da approvare “senza ipocrisie”. «Lo dico anche al mio partito, perché di questo soprattutto l’Italia ha bisogno: non di ingannare il suo pubblico cavalcando la demagogia degli urlanti da un’illusione all’altra, ma di procedere ad una riforma profonda dei partiti, seri e trasparenti, con regole democratiche di funzionamento al loro interno, in applicazione finalmente dell’articolo 49 della Costituzione».