Elezioni europeeIl Portogallo al voto, dopo la cura da cavallo della Troika

Si vota domenica prossima, con il deficit e debito pubblico esploso, la disoccupazione ancora al 13%, la povertà che dilaga e gli under 35 che emigrano

Domenica prossima, dopo la Grecia, un altro Paese della periferia d’Europa si recherà alle urne. È il Portogallo, che, proprio come la Grecia, ha dovuto in questi anni sottostare alla dura legge della Troika (BCE, FMI, Commissione Europea), con la quale, nell’aprile del 2011, aveva sottoscritto un memorandum di intesa per la concessione di un finanziamento di 78 miliardi di euro. Diversamente dal caso ellenico, nondimeno, quello portoghese è stato, fino ad un certo punto, celebrato come un “caso di successo”, l’esempio di come il “risanamento” delle finanze pubbliche sia fondamentale per la ripresa dell’economia.

Con questa convinzione il governo conservatore guidato dal premier uscente Pedro Passos Coelho, annunciava nel maggio del 2014 l’uscita del Paese dal piano di salvataggio, con il conseguente ritorno sui mercati per finanziare il suo debito. Ma come stanno realmente le cose? Come per altri casi simili, ciò che balza immediatamente agli occhi è l’asimmetria tra manovre di consolidamento dei conti pubblici e condizioni materiali di vita della popolazione. Con l’aggravante che, nel caso specifico, neanche gli stessi conti pubblici ne hanno tratto ristoro.

Dopo la cura da cavallo di questi anni, infatti, il deficit pubblico è di nuovo in aumento (potrebbe portarsi ai livelli del 2012), mentre il debito è letteralmente esploso, passando dal 94% del Pil del 2010 al 130% di oggi.

Dopo la cura da cavallo di questi anni, infatti, il deficit pubblico è di nuovo in aumento (potrebbe portarsi ai livelli del 2012), mentre il debito è letteralmente esploso, passando dal 94% del Pil del 2010 al 130% di oggi. Se poi al debito delle amministrazioni pubbliche si aggiunge quello delle famiglie e delle imprese, la percentuale schizza fino al 400% del Pil circa, una roba che nemmeno nella bistrattata Grecia è minimamente riscontrabile. Tutto ciò, mentre la disoccupazione si mantiene inchiodata al 13% (giovanile al 37%) e la povertà dilaga, risucchiando nella sua spirale quel poco di ceto medio che si era formato nel Paese nei decenni passati. Dati, cui si aggiungono i numeri allarmanti sull’emigrazione giovanile, se è vero che negli ultimi anni sono stati circa un milione i portoghesi, di età inferiore ai 35 anni, che hanno deciso di lasciare il Paese. In compenso, però, si è registrato nel secondo trimestre di quest’anno una crescita del Pil dello 0,4%, l’unico indicatore positivo – si fa per dire -, insieme ad una timida ripresa dell’export, tra franti malanni che affliggono lo Stato e la società.

Questo il contesto, dunque. Quali sono, invece, le forze in campo per queste elezioni? I principali schieramenti in lizza sono quattro. In primo luogo, la coalizione di centrodestra Portogallo avanti, composta dal Partito socialdemocratico e dal Partito popolare, guidata dal premier uscente Pedro Passos Coelho, ed il Partito socialista, che candida alla guida del governo l’ex sindaco di Lisbona António Costa. La sinistra radicale, invece, è rappresentata dal Partito Comunista e dal Bloco de Esquerda, formazione molto vicina a Syriza, che fa parte del Partito della Sinistra Europea. Secondo i sondaggi della vigilia, Portogallo Avanti avrebbe recuperato molto tra gli indecisi negli ultimi giorni, viaggiando intorno al 38,4% dei consensi, con un vantaggio di 6-7 punti percentuali sul Partito Socialista, che supererebbe di poco il 30% dei voti. Molto distaccate, quindi, le altre formazioni di sinistra, date tra il sette e l’otto per cento.

Portogallo Avanti avrebbe recuperato molto tra gli indecisi negli ultimi giorni, viaggiando intorno al 38,4% dei consensi, con un vantaggio di 6-7 punti percentuali sul Partito Socialista, che supererebbe di poco il 30%

Molti osservatori si chiedono come sia possibile che i conservatori possano ottenere la maggioranza relativa dei suffragi, dopo aver gestito in questi anni i programmi di austerità imposti dalla Troika. Ma soprattutto a cosa sarebbe dovuta l’inversione di tendenza nell’elettorato, dopo un avvio di campagna elettorale che aveva visto i socialisti, divenuti nel frattempo strenui censori delle politiche di austerità, col vento in poppa. Non è facile rispondere a questi interrogativi, anche perché il Paese in questi anni non le aveva certo mandate a dire ai suoi governati. «Que se lixe a troika!» (letteralmente «Che a vada a farsi fottere la Troika»), gridavano a migliaia nelle piazze i cittadini fino a un paio d’anni fa. Ed ora, quindi? L’unica risposta plausibile è che i cittadini non abbiano più fiducia nel fatto che una vittoria della sinistra possa aprire realmente la strada al cambiamento. Anzi, alla luce di ciò che è accaduto in Grecia, è cresciuto il timore che l’alternativa ai sacrifici attuali possa essere addirittura un peggioramento del quadro economico e sociale del Paese.

Sarà anche per questo che nelle ultime ore di campagna elettorale i socialisti hanno mitigato molto i loro toni, lasciando intendere di essere anche disponibili a «soluzioni condivise» qualora nessuna forza politica ottenesse la maggioranza assoluta. «Se per qualche motivo non avessimo la maggioranza assoluta, non lasceremo il Paese nel caos», ha detto in queste ore il leader socialista, aggiungendo: «Noi siamo quelli che sanno come costruire ponti, favorire il dialogo e unire il Paese, trovando soluzioni per la governabilità del Portogallo». Ovviamente, non si riferiva alla possibilità di trovare un accordo con il Bloco o con il PCP, che, peraltro, esclude qualsiasi forma di collaborazione con i socialisti, ma proprio con Passos Coelho ed il fronte conservatore.

In questo quadro va letta anche l’ultima dichiarazione di Catarina Martins, candidata alla carica di Primo Ministro per il Bloco de Esquerda: «Il BE non propone un cammino facile, propone una strada difficile, ma è determinato a porre fine l’austerità». Mala tempora, currunt. E così, tra i cittadini, cresce il coro di chi dice «sono tutti uguali» e cresce pure la tentazione di disertare le urne, tanto «non cambierà niente». A chi si recherà alle urne, invece, c’è da giurarci, nella testa risuonerà una frase uscita giorni addietro dalla bocca del premier uscente: «I governi responsabili non possono continuare a promettere alla gente ciò che la realtà non permetterà loro di fare». Il sogno e la realtà, per l’appunto. Per il Portogallo, ad esempio, la realtà potrebbe essere prossimamente un secondo memorandum.

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