Il dibattitoLa politica economica della via di mezzo: solo toppe ed effetti indesiderati

Tra le possibili opzioni i politici scelgono vie mediane di intervento nell’economia. Ma basta vedere gli effetti di tassi a zero e Quantitative Easing per capire che non è così che si risolvono i problemi

L’impostazione emergenziale di molte scelte di politica economica, interessate più alle ricadute immediate che non a quelle di lungo periodo, impone una riflessione sui fondamenti stessi delle decisioni pubbliche, bisognose di teorie comprovate (dai dati) e orientamenti virtuosi. Sulle colonne delle testate del Centro Einaudi (1) si è aperta una discussione sulla politica economica.

In un primo post – Opzioni di politica economica del 8 ottobre 2015 (2), si sintetizzano i quattro filoni di pensiero che sono dietro la politica economica. In un secondo post – Ideologia ed economia del 9 ottobre 2015 (3), ci si domanda chi guidi la politica economica, e si conclude affermando che a guidare la politica economica non sono solo le idee e i decisori, ma le condizioni storiche, le quali fissano i termini di convenienza per l’agenda politica con cui il decisore deve fare i conti. In un terzo post – Un referendum svizzero del 16 ottobre 2015 (4), si chiariscono le ragioni per le quali le decisioni drastiche non dovrebbero venir prese. Infine, nella quarta ed ultima riflessione – Le scelte di politica economica hic et nunc del 16 ottobre 2015 (5), si va nella direzione opposta, mostrando come le decisioni drastiche, anche se impopolari, sono necessarie.

1 – Opzioni di politica economica

Allo stato si hanno quattro opzioni: quella ultra keynesiana, quella keynesiana normale, quella “di mezzo”, e quella austriaca. La prima vuole un ritorno della spesa pubblica in un contesto di minori diseguaglianze, la seconda vuole un ritorno della spesa pubblica, la terza un ritorno della spesa pubblica ma combinata con riforme sul lato dell’offerta, la quarta propone una “de-finanziarizzazione” dell’economia combinata con il prevalere delle politiche dell’offerta. Come sempre accade, esistono elementi di verità in ognuna delle opzioni. Per rendere agile il testo non le si definiscono qui, ma si rimanda alla nota di origine. La domanda vera è: quale, alla fine, prevarrà nell’arena politica?

Sono quattro le opzioni di politica economica: ultra keynesiana, quella keynesiana normale, quella “di mezzo”, e quella austriaca

2 – Le politiche economiche in “pratica”

Un discorso completamente economico non esiste. Appena si discute di politica economica si parla di politica. L’economia quando si fa “pratica”, deve fare i conti con la storia, che ha molte dimensioni. Altrimenti detto, semmai esistesse un punto di vista oggettivo intorno “al bene comune”, alcuni lo rigetterebbero.

Per esempio le pensioni italiane: chi ha una pensione maggiore dei contributi versati – la pensione di “anzianità” – difficilmente accetta di vedersela ridurre perché “è equo”. Si ha perciò un’opposizione politica. L’argomento di chi non accetta la riforma è che quel tipo di pensione funzionava in un altro mondo, quello in cui la maggioranza lavorava come dipendente nelle grandi organizzazioni tutta la vita – una vita che comunque era più breve – mentre la crescita della popolazione diluiva il peso delle pensioni sulle generazioni future. Poiché la pensione maggiore dei versamenti è giustificabile su base storica, ecco che diventa un “diritto acquisito”. Se si aspetta che il tempo passi, tutte le pensioni diventano eguali ai versamenti – tutte le pensioni sono “contributive”, e ciò avviene perché il sistema è stato a partire dagli anni Novanta riformato. Perciò le pensioni diventano eque man mano che chi riceveva una pensione di anzianità “passa a miglior vita”. A quel punto l’opposizione politica – è macabro dirlo – scompare. Quindi in questo caso “il bene comune” si manifesta solo nel lungo periodo, nella fattispecie in decenni.

Un discorso completamente economico non esiste. Appena si discute di politica economica si parla di politica. Il caso della riforma delle pensioni lo dimostra

Delle quattro opzioni di politica economica richiamate in precedenza, la terza è quella che va per la maggiore – è quella “main-stream”. In breve: se l’economia non funziona, ecco che si ha l’intervento pubblico temporaneo. Quando serve il taxi lo si prende, poi, finita la corsa, lo si paga. Ecco l’articolazione: 1. Le economie possono produrre e occupare meno di quanto potrebbero, perché non si spende quanto necessario.

2. Certamente ci sono le forze che tendono a riportare l’economia verso la piena occupazione, ma queste agiscono lentamente.

3. Si può però abbreviare questo periodo con la Banca centrale che schiaccia i tassi di interesse, ciò che spinge in altro i prezzi delle attività finanziarie.

4. La politica monetaria però non basta, quando i tassi sono prossimi allo zero. Una fase temporanea di spesa pubblica in disavanzo può perciò dare una spinta all’economia.

Ed ecco come ha proceduto la sua applicazione. Le vicende sono quelle della crisi iniziata nel 2007, ed esplosa nel 2008. La politica fiscale (intesa come saldo primario) è stata prima espansa e poi contratta sia negli Stati Uniti sia nel Regno Unito. Anche la politica monetaria è stata espansa, sia portando i tassi a zero – dove sono ancora – sia comprando – fino allo scorso anno – il debito pubblico. La politica fiscale (intesa come saldo primario) non è stata espansa in Germania ed in Italia, ma è stata espansa prima e poi ridotta in Francia e Spagna. Nel complesso dell’euro-zona la politica fiscale non è stata espansa come nei Paesi anglosassoni, mentre la politica monetaria è stata espansa, anche se con ritardo rispetto ai Paesi anglosassoni.

La soluzione che va per la maggiore è che se l’economia non funziona si ha l’intervento pubblico temporaneo. Quando serve il taxi lo si prende, poi, finita la corsa, lo si paga

3 – Un referendum svizzero

Ora immaginiamo un referendum “svizzero” dove viene chiesto a tutti “Lei che cosa farebbe?” Le domande che si trovano sulla nostra immaginaria scheda referendaria sono due:

a – Volete voi la prosecuzione delle politiche di sostegno dei prezzi delle attività finanziarie, aspettando che l’economia reale ricominci a crescere? (In termini tecnici, il sostegno della domanda riduce il tempo necessario per avere il ritorno della ripresa);

b – Volete voi lasciar liberi – ossia senza alcun intervento pubblico – i prezzi delle attività finanziarie allo scopo di “pulire” il mercato? (In termini tecnici, il mercato trova un equilibrio con un livello dei prezzi inferiore, con l’equilibrio che è determinato dal tasso “naturale” di interesse, e non più dal tasso di interesse “manipolato”).

Immaginiamo ora che cosa sarà detto prima del referendum. I politici non possono promettere un futuro di “lacrime e sangue” e dunque diranno di votare per il primo quesito. Inoltre, è nella natura delle cose che i politici promettano un loro intervento volto al bene, anche perché, se non lo facessero, perderebbero il fascino sacerdotale di guida fra le difficoltà del mondo, e dunque non possono sposare il secondo quesito. L’industria finanziaria non può promettere un futuro di “lacrime e sangue” come viatico di un bene maggiore per paura che gli investimenti siano ritirati e messi nel conto corrente. Inoltre, l’industria finanziaria avrebbe un problema serio di reputazione: se le cose stavano mal messe e lo sapevi, allora perché hai investito; e, se non lo sapevi, allora non sei competente.

La mediazione “main-stream”, ossia che “il taxi”, la politica espansiva, si prende solo fino a che serve e poi si ritorna a far andare l’economia da sola, pare un alibi per le élite politiche e soprattutto non pare sufficientemente dimostrato dalla prova empirica

4 – Argomenti contro le politiche timorose

Sulla tassonomia delle politiche, è quasi affascinante che si possano esistere quattro fondamenti diversi della politica economica. Questo non potrebbe accadere in alcuna scienza esatta, ma accade evidentemente in economia, che pertanto è più una filosofia, se accettassimo questa definizione, che non una scienza. Quello che sembra è che alla fine perfino l’economia “main-stream” finisca per sostenere che il livello dell’attività economica è determinato dalla domanda, il che apre i cancelletti a tutte le politiche fiscali espansive, ma sarebbe forse meglio dire apre i cancelletti delle politiche di spesa e di redistribuzione “would be” espansive.

La mediazione “main-stream”, ossia che “il taxi”, la politica espansiva, si prende solo fino a che serve e poi si ritorna a far andare l’economia da sola, pare un alibi per le élite politiche e soprattutto non pare sufficientemente dimostrato dalla prova empirica. Siamo convinti che le politiche fiscali espansive accrescano il PIL?

L’ultima osservazione riguarda la adattabilità della politica economica all’ambiente, o addirittura la compiacenza della politica monetaria rispetto ai mercati. I mercati finanziari non sono razionali, ossia non prevedono esattamente né in media ciò che avverrà. Dunque, perché ascoltarli? A settembre la Fed ha di fatto prorogato inaspettatamente la “zero interest rate policy” – ZIRP, compiacendo i mercati che stavano scendendo da agosto. La ZIRP, insieme al “quantitative leasing” – (QE), è stata massicciamente utilizzata durante e dopo la recessione del 2009, ma tutti gli effetti non si sono dispiegati completamente. La combinazione di ZIRP e QE ha interessato più del 50 per cento del PIL mondiale e forse ha ridotto in qualche Paese il tempo necessario a uscire dalla crisi, ma certamente ha prodotto:

la maggiore asset bubble che la storia ricordi, sul maggiore mercato finanziario del mondo, ossia quello delle obbligazioni governative, e che la storia deve ancora risolvere;

– una più che probabile asset bubble sul mercato azionario, già scoppiata in Cina, da risolvere altrove;

un aumento del debito pubblico in più di metà del pianeta, a volte accompagnato da un miglioramento dell’economia, a volte no;

– la maggiore redistribuzione di ricchezza in pochi anni dalle classi produttive ai rentier.

I mercati finanziari non sono razionali, ossia non prevedono esattamente né in media ciò che avverrà. Dunque, perché ascoltarli?

In conclusione, la politica economica nella sua deriva di compiacere il “hic et nunc”, che abbiamo illustrato e che rappresenta lo stato di fatto, manchi della spina dorsale che una teoria, ben provata, dovrebbe darle. La ricerca di “ottimi locali” non convince né dal punto di vista delle basi, né dal punto di vista dei risultati e, quanto a questi ultimi, i risultati temporanei non dovrebbero essere preferiti a quelli di lungo termine, i quali sono stati sottovalutati adesso come furono trascurati negli anni Ottanta gli esiti prevedibili della spesa pensionistica fuori controllo.

Giorgio Arfaras (*) e Giuseppe Russo (**)

(*) direttore della Lettera Economica

(**) direttore del Centro Einaudi

(1) http://www.centroeinaudi.it/

(2) http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4217-opzioni-di-politica-economica.html

(3) http://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4216-ideologia-ed-economia.html

(4) http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4225-un-referendum-svizzero.html

(5) http://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4223-le-scelte-di-politica-economica-%E2%80%9Chinc-et-nunc%E2%80%9D.html

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