Occident Ex-PressL’autostrada più breve, costosa e deserta d’Italia

Tangenziale di Como, dal 1 novembre a pagamento: 60 cent per 2 km, come un giro di prova a Imola. Pagamento con il “conto targa” di società Pedemontana. Boicottaggio in atto e da giorni è deserta. A pagarne le spese è Maroni ma dietro l'asfalto c'è un'intera classe dirigente che vuole emergere

Due chilometri di asfalto a pagamento, che da giorni non vedono l’ombra di un’automobile. È l’A59 o tangenziale di Como, che va dal sud della città ad altri comuni della provincia. Qui la chiamano “il moncherino”. È stata costruita per collegare Como all’autostrada Milano-Laghi, che a sua volta si collega alla Pedemontana, snodo fondamentale per migliaia di lavoratori e pendolari delle quattro ruote in direzione del capoluogo lombardo. Ed è deserta, perché i comaschi non ci stanno a pagare 60 centesimi a viaggio per un giro di pista – letteralmente, un turno di prova agli autodromi di Imola o Monza da 25 minuti costa circa 40 euro. Può non sembrare, ma quei 60 centesimi sono il pedaggio più caro d’Italia, per un’opera incompiuta.

L’A59 è stata inaugurata il 23 maggio, con tanto di taglio del nastro alla presenza del governatore di regione Lombardia, Roberto Maroni. Per i primi cinque mesi è rimasta aperta gratuitamente, abituando gli autisti a non pagare, ma priva del collegamento con l’autostrada perché non era ancora stato ultimato il sistema di pagamento free-flow, che funziona con dei caselli virtuali e un sistema di telecamere che rileva la targa – è il cosiddetto “conto targa” di società Pedemontata.

Tangenziale di Como aperta gratis dal 23 maggio all’1 novembre. Poi la campagna di boicottaggio contro il sistema di pagamento “conto targa” di società Pedemontana. A far infuriare gli automobilisti sono gli svizzeri che non pagano e le firme raccolte dal comitato che sono sparite nel nulla. Le accuse di disinteresse contro Maroni e Regione Lombardia: l’audizione in Commissione infrastrutture è andata deserta

Il sistema di pagamento è stato infine attivato dal 1 novembre, ma la festa di Ognisanti non ha portato nessuna benedizione sull’ennesima vicenda assurda che riguarda le infrastrutture lombarde. I comaschi hanno iniziato dal primo giorno una campagna di boicottaggio, con tanto di classico comitato “No al pedaggio”, che raduna i duri e puri della libera circolazione e che ha lanciato una petizione su Change.org. Solo che questa volta è diverso: non si tratta di cittadini che strillano contro l’amministrazione locale per i lavori dentro un parco o l’abbattimento di alberi, anzi, nella loro battaglia si trovano fianco a fianco della giunta comunale di Como, targata centrosinistra. Ad alzare ulteriormente la tensione, ci sono almeno tre fatti. Il primo: l’apertura del “conto targa” prevede una procedura farraginosa che scoraggia persone più anziane e sopratutto chi non usa abitualmente il tratto di strada più utile, quello che collega Albate, a sud di Como, con Grandate. Il secondo: chi proviene dalla Svizzera può escogitare un escamotage per non pagare, come rilevato da alcuni cronisti locali che hanno portato la stampa a titolare “Gli italiani pagano per gli stranieri”. Terzo: il comitato “No al pedaggio” sta raccogliendo delle firme a favore della propria causa, ma alcune di queste sono sparite misteriosamente nel nulla.

Chi invece si è messo di traverso e muove accuse di demagogia ai fautori della gratuità totale è Alessandro Rapinese, leader della lista civica “Adesso Como” in teoria non schierata ma che nella pratica fa opposizione alla giunta di centrosinistra, che è favorevole al pedaggio. Rapinese parla addirittura di una campagna per «l’esproprio proletario a danno dei privati che hanno costruito l’opera» portata avanti da stampa e politici locali. A chi gli chiede di chiarire la propria posizione risponde per punti: la nuova tangenziale è un’opera utilissima che alleggerirà il traffico comasco – in realtà su questo punto quasi tutte le parti in gioco sono d’accordo; nessuno aveva promesso la gratuità e sopratutto il pedaggio su tangenziali e Pedemontana è stato stabilito nel 2007 dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) e solo governo e ministero delle Infrastrutture possono riaprire quella discussione in seno al Cipe stesso.

Chi è favorevole al pedaggio parla di «esproprio proletario» contro i privati che hanno investito soldi. I finanziamenti in realtà sono misto pubblico-privati e il caso della BreBeMi insegna: alcune opere funzionano solo se sussidiate

Molti degli spunti di Rapinese sono ragionevoli ma bisogna notare che in realtà l’opera è stata finanziata con soldi pubblico-privati – la stessa Autostrada Pedemontana Lombarda SpA è una partecipata pubblica, controllata a maggioranza da Milano Serravalle-Milano Tangenziali SpA e a minoranza da banche, come Intesa San Paolo e Ubi, e cooperative. Ad ogni modo l’impressione è che i privati che hanno investito denaro nell’A59 abbiano fatto un pessimo affare se sperano di rientrare nelle spese sostenute con i pedaggi – il caso della BreBeMi insegna che alcune opere funzionano solo se sovvenzionate.

“La guerra del moncherino” non è rimasta relegata ai confini del nord lombardo, tutt’altro, è diventata una palestra in cui si scontrano le principali istituzioni, a partire da Roberto Maroni. Il Presidente di Regione Lombardia è oggetto di pesanti accuse di disinteresse in quest’area: le sue origini, anagrafiche e politiche, varesotte lo avrebbero portato a “punire” il comasco, territorio colpevole anche di non essere un’enclave leghista in Lombardia. Ad esempio quello che è successo il 29 ottobre al Pirellone ha fatto infuriare i lariani: il comitato ha prenotato un’audizione in Commissione infrastrutture e trasporti per spiegare le proprie ragioni, ma non si è presentato nessuno dei consiglieri. Del resto basta farsi un giro negli uffici dell’assessore a mobilità e infrastrutture, Alessandro Sorte, al quinto piano di via Melchiorre Gioia, per sentire che l’unico accento presente è quello bergamasco.

Pochi giorni fa Maroni è passato all’attacco contro Roma, perché oltre all’assenza di automobili, al momento mancano anche le risorse per il completamento del secondo lotto dell’infrastruttura. Per l’ex segretario leghista «i soldi ci sono ma non possiamo fare le gare fino a quando ministero e governo non approvano il progetto definitivo al Cipe. Peccato che a Roma dormano e convochino il Cipe straordinario solo per Sicilia e Sardegna». Ma il progetto del secondo lotto di cui parla Maroni è stato già gettato nella differenziata anni fa, dai predecessori al Pirellone dell’ex ministro dell’Interno.

Il “moncherino” di Como è diventato il crocevia di molte carriere politiche della nuova classe dirigente: da Chiara Braga, della nuova segreteria renziana del Pd che a Como ha sbancato nelle urne, fino a Nicola Molteni, del cerchio magico di Matteo Salvini, uno dei pochi che può sostituirlo in televisione

E se sulla tangenziale di Como non si vede traffico nemmeno a pagarlo – è il caso di dire – il moncherino è diventato il crocevia di molte carriere politiche della nuova classe dirigente di centrodestra e centrosinistra: dagli inviti fumosi a «fare presto» dell’eurodeputata di Forza Italia, Lara Comi, nativa di Garbagnate, passando per le accuse di inettitudine nella gestione dei problemi locali, rivolte al partito più federalista d’Italia (la Lega ndR) da parte di Chiara Braga – giovane democratica, peso massimo nella nuova segreteria del Pd a corso renziano. Quel Partito democratico che a Como, alle europee dell’anno scorso, ha preso più voti di De Gasperi e Fanfani messi insieme. O da ultimo Nicola Molteni, deputato ed ex tesoriere del gruppo Lega Nord e Autonomie – pezzo da novanta del cerchio magico di Matteo Salvini. Per intendersi, è uno dei pochi che può sostituire il leader in televisione.