Si prepara a una campagna elettorale parallela, la Lega Nord, se il governo Renzi-Alfano gliela farà fare. Nel 2016 gli eredi di Umberto Bossi non saranno solo impegnati nella sfida delle Comunali, dove almeno al Nord partono in rincorsa rispetto al centrosinistra: in Lombardia il governatore Roberto Maroni vuole infatti celebrare contemporaneamente anche un referendum consultivo per chiedere maggiori materie di competenza alla Regione che guida dal 2013. Nella riunione di Giunta di giovedì 10 dicembre è stato approvato il primo atto amministrativo che avvia l’iter, dopo l’accantonamento di 30 milioni di euro per le spese: è una proposta di regolamento delle modalità elettroniche con cui i cittadini saranno chiamati a votare, ora al vaglio del Consiglio regionale.
Se il referendum si tenesse, sarebbe un traguardo politico storico – a prescindere dal risultato, che formalmente non è vincolante – perché dopo trent’anni gli uomini del Carroccio riuscirebbero finalmente a
interpellare i cittadini sul tema che li ha portati in politica, anche se ormai quello dell’indipendenza pura è rimasto soprattutto un sogno.
Ma il referendum lombardo sarebbe anche un’arma che Maroni può utilizzare per rilanciare il centrodestra in difficoltà proprio in vista della Amministrative, dove ancora l’alleanza che comprende Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia non è ancora riuscita a trovare candidati comuni per le principali città, a partire proprio da Milano.
Se il referendum si tenesse sarebbe un traguardo storico: dopo trent’anni la Lega potrebbe interpellare i cittadini sul tema che li ha portati in politica
Questa politicizzazione dell’evento è ciò che denuncia il Pd, che invece spinge per una trattativa diretta con il Governo in base allo stesso articolo 116 della Costituzione su cui farà leva il quesito referendario, per chiedere quello che in gergo si chiama regionalismo differenziato. Non è un caso che Maroni, l’ex segretario della Lega che soffre il protagonismo del suo successore, Matteo Salvini, intende aprire un braccio di ferro con l’Esecutivo guidato da Matteo Renzi sulla data della consultazione popolare. Vuole infatti che il referendum si tenga insieme o comunque prima delle Comunali. Perché sa di poter mobilitare sul tema della maggiore autonomia – che in sostanza viene banalizzato con il tema delle tasse da tenere sul territorio senza mandare tutto il gettito a Roma – il popolo del centrodestra oggi diviso e orfano di una leadership indiscussa.
E sa anche che difficilmente qualcuno potrà fare una campagna aperta per il no all’autonomia in una regione che ha nella diffidenza verso lo Stato un atteggiamento piuttosto diffuso, pure a sinistra. La richiesta di Maroni al Governo è dunque quella di accorpare il referendum al primo turno delle Comunali, che dovrebbe essere il 12 giugno. Se così non sarà (cosa probabile), si potrebbe votare fra la fine di aprile e la metà di maggio. Tutto dipenderà però appunto da un Governo che non è amico della Lega, la quale nutre il sospetto di una volontà di “sabotaggio”.
La legge per fare il referendum è stata già approvata dal Consiglio regionale, con i voti del centrodestra ma anche con quelli del Movimento 5 Stelle. Anche qui un esperimento politico interessante, una collaborazione fra leghisti e grillini che per ora è riuscita solo (episodicamente) a Maroni e non a Salvini. Lega e 5 Stelle faranno campagna elettorale per il sì al referendum, anche se la prima lo farà soprattutto difendendo la sua storia politica e i secondi lo faranno anche per denunciare i fallimenti raccolti finora dal partito fondato da Bossi.
La moneta di scambio è stata l’istituzione del voto elettronico, che verrebbe usato per la prima volta in Italia: in sostanza ai seggi ci saranno dei computer o dei tablet che invieranno le schede coi voti alle sezioni elettoriali. È di questo che si occupa il regolamento approvato dalla Giunta Maroni, che però per metterlo in pratica dovrà confrontarsi con Angelino Alfano, il ministro dell’Interno che resta responsabile della macchina elettorale repubblicana.
Sarà un esperimento politico interessante la collaborazione fra leghisti e grillini, che per ora è riuscita solo a Maroni e non a Salvini
Maroni è convinto che con un voto popolare potrà “andare a Roma e dire al Governo che deve darci quello che vogliamo noi”. Autonomia e gettito fiscale. All’interno della Lega un successo significherebbe una rivincita delle voci tradizionalmente nordiste e indipendentiste sulla svolta nazionalista di Salvini, oggi più vicino al Front National di Marine Le Pen che ai catalani o agli scozzesi, ai quali continua comunque a guardare. Per il governatore sarebbe la riconquista di un ruolo centrale nel panorama politico nazionale,
arginando il renzismo nelle regioni del Nord.Se il referendum alla fine non si farà o porterà a una sconfitta dei sì alla maggiore autonomia (pur sempre in chiave consultiva) potrebbe invece essere la prima e l’ultima occasione per la vecchia Lega e l’assicurazione al Pd di un futuro elettoralmente più stabile nelle regioni che un tempo erano roccaforti dell’asse Bossi-Berusconi. C’è una via di mezzo, però, fra questi due scenari: quella che immagina proprio Renzi concedere autonomie alla Lombardia prima che si tenga il referendum.
A quel punto, il leader Dem toglierebbe per sempre a Maroni e alla Lega la loro ragione sociale.
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