«Adesso l’incubo è finito». Dopo venti mesi, Daniele Bosio è tornato in Italia. Nell’aprile 2014 il diplomatico era stato arrestato mentre era in vacanza nelle Filippine con l’infamante accusa di aver abusato di alcuni minori. A denunciarlo erano state due attiviste di una Ong, che lo avevano visto in un parco acquatico di Manila in compagnia di alcuni ragazzini di strada. Una circostanza confermata anche dall’italiano, all’epoca ambasciatore in Turkmenistan. Bosio aveva ammesso di aver regalato una giornata di svago a tre bambini di un quartiere povero della città, dopo averli lavati, vestiti e rifocillati nel suo appartamento. E proprio qui, secondo l’accusa, sarebbero avvenute le violenze. Quel giorno per il nostro diplomatico si sono aperte le porte dell’inferno. Dopo quaranta giorni di detenzione disumana e un lungo iter giudiziario, alla fine le ragioni dell’italiano sono state riconosciute. A più di un anno e mezzo dall’inizio del suo dramma, venerdì scorso Bosio è tornato per la prima volta a Roma. «Ma in questa vicenda – si sfoga – l’ambasciata italiana mi ha abbandonato».
Dopo tutto quello che è accaduto, qual è stata la prima cosa che ha fatto appena sbarcato in Italia?
Ho abbracciato i miei genitori. Non li vedevo da quasi sei mesi. A maggio erano venuti a trovarmi nelle Filippine, ma data l’età e le difficili condizioni che si erano create, non erano più tornati.
Appena scoppiato lo scandalo lei è stato arrestato e portato in carcere. Come ha trascorso quei quaranta giorni in cella?
In condizioni veramente difficili. Eravamo ottanta detenuti stipati in una stanza di 24 metri quadri. Solo la presenza di alcuni banchi ci consentiva di non passare il tempo addossati uno sull’altro. La cella vicina ospitava altri ottanta carcerati. In tutto eravamo 150 persone in meno di 50 metri quadri. Le condizioni igieniche erano terribili. E non parlo solo dei pidocchi. Alcuni compagni di cella avevano gravi infezioni della pelle. Due erano malati di tubercolosi. Più tardi ho saputo che uno di loro è morto. Io soffrivo già di problemi ai reni. Con il caldo e la poca acqua che ci davano da bere la mia condizione si è rapidamente aggravata. Alla fine sono stato ricoverato in ospedale in preda a forti coliche.
Dopo venti mesi il giudice ha confermato la sua innocenza. Le accuse che le sono state rivolte erano particolarmente infamanti.
Sì, è vero. Eppure i bambini al centro di questa vicenda sono stati ascoltati per ben due volte. La prima durante l’udienza che mi ha permesso di ottenere la libertà su cauzione. E più tardi, durante il processo vero e proprio, sono stati ascoltati ancora. La Corte ha capito che non c’era stato alcun abuso.
«Malgrado sia stato necessario attendere i tempi lunghi della giustizia filippina, il processo ha evidenziato l’assoluta inconsistenza delle imputazioni mosse contro di lui (…) che sono rimaste in piedi così a lungo solo a causa dell’accanimento dell’accusa privata, rappresentata da una Ong che non ha esitato a strumentalizzare la vicenda allo scopo di ottenere visibilità»
A prescindere dalla fondatezza delle accuse che le sono state rivolte, non era la prima volta che si occupava di bambini in difficoltà.
Me ne occupo da parecchio tempo, almeno da quando avevo ventiquattro anni. Con la Caritas, a Roma, organizzavamo dei campi estivi per i minori delle periferie, con l’obiettivo di tenerli lontani dalla strada. Ad Algeri ho lavorato in un ospedale pediatrico. A New York ho collaborato con un centro che ospitava le famiglie dei bambini in cura per gravi patologie, soprattutto tumori e leucemie. E la stessa cosa ho fatto in Italia, con l’associazione Peter Pan.Dopo questa storia il suo impegno continuerà?
Non lo so. Al momento mi sento privato di questa possibilità, è terribile. Nonostante sia stato tutto chiarito, ho paura che qualcuno possa rimettermi in mezzo a una vicenda simile. Ho imparato che di fronte a certe accuse la gente sviluppa pensieri e reazioni di cui è impossibile non tener conto. Purtroppo dopo aver vissuto questo tipo di esperienze si rischia di diventare più cinici. Eppure ammetto di aver continuato ad aiutare dei bambini in difficoltà anche in questi mesi, mentre ero nelle Filippine. Facevo ripetizioni in una scuola a quattro ragazzini. A due di loro “sponsorizzo” gli studi già dal 2010. Sono un po’ asini (ride, ndr). Ma sono molto attaccati a me. Chissà, forse con le loro famiglie ci rivedremo in Italia.Perché, non ha più intenzione di tornare nelle Filippine?
Non lo so. Mai dire mai.«Chi doveva tenere informato il ministero della mia situazione, spiegare quali rischi correvo, descrivere il quadro di miseria e povertà in cui si sono sviluppate le mie azioni, non l’ha mai fatto. E mi riferisco alla locale ambasciata italiana»
Torniamo alle accuse. Lei ha portato alcuni bambini nella sua abitazione. Li ha lavati e rivestiti per regalargli una giornata di svago. Non ha mai pensato che qualcuno potesse avere dei dubbi sulle sue intenzioni? Insomma, dopo tutto questo tempo, non crede di essere stato quantomeno un po’ ingenuo?
Guardi che questa storia è iniziata perché qualcuno ha pensato male. Al parco acquatico dove ho condotto i bambini c’erano almeno un migliaio di persone. E solo due hanno avuto dei dubbi in questo senso. È stata una malignità. Per i miei accusatori sono diventato subito il mostro da punire. Adesso lei mi chiede se sono stato ingenuo… Non lo so. Il pensiero di questi rischi deve forse prevenire le buone intenzioni?Quando è esploso lo scandalo lei era l’ambasciatore italiano in Turkmenistan. E la Farnesina l’ha immediatamente sospesa.
Sono stato sospeso e il ministero ha subito assicurato di voler seguire la mia vicenda con trasparenza e rigore. È stato come dire: “Adesso fate quel che volete”.Si è sentito abbandonato?
Diciamo così: su questa vicenda la Farnesina ha tenuto la briglia lenta. Ma chi doveva tenere informato il ministero della mia situazione, spiegare quali rischi correvo, descrivere il quadro di miseria e povertà in cui si sono sviluppate le mie azioni, non l’ha mai fatto. E mi riferisco alla locale ambasciata italiana.La sua è un’accusa piuttosto diretta.
Quando ho chiesto un legale, l’ambasciata mi ha fornito un avvocato divorzista. Per nulla esperto di questi casi. Un avvocato che non si è neppure presentato durante la prima udienza, quella cruciale. Quando è stato convalidato il mio arresto non c’era nessuno. Quel giorno mi hanno fatto firmare una formale rinuncia ai miei diritti, avviando le indagini preliminari dopo avermi chiuso in carcere. Se non avessi firmato sarei potuto rientrare in Italia. E il processo lo avrei subìto da qui, non certo nelle condizioni inumane che invece ho dovuto sopportare. In questa vicenda è mancato il peso del nostro Paese.Da parte delle istituzioni qualcuno le è stato vicino?
Il sottosegretario Benedetto Della Vedova mi ha incontrato due volte. La prima senza troppa pubblicità, perché si voleva tenere un profilo basso. La seconda volta mentre guidava una missione imprenditoriale nelle Filippine che avevo organizzato proprio io. Anche il senatore Manconi (presidente della commissione diritti umani, ndr) ha seguito molto il mio caso. All’inizio la Farnesina è stata timorosa, lo ripeto. Del resto il ministro allora in carica (Federica Mogherini, ndr) stava facendo campagna per il ruolo di Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza.Chiusa questa vicenda riprenderà il suo lavoro?
Domani ho un incontro al ministero degli Esteri. Parleremo anche di questo, vediamo quello che succederà. Io adoro il mio lavoro. E nel mio piccolo credo anche di averlo svolto bene finora.Tornerà in Turkmenistan?
No, anche volendo non potrei. Quel posto è stato assegnato a un altro diplomatico. Ma ci sono tanti incarichi. Io sono pronto a riprendere servizio.