Un milione e trecentomila metri quadrati di aree dismesse. È una piccola città nella città, lo spazio inutilizzato nei principali scali ferroviari di Milano, che un progetto del Comune di Milano avrebbe dovuto restituire ai cittadini. Con nuovi immobili, nuove strade, nuovi spazi comuni anche verdi.
Ma la politica ha deciso di affossarlo dopo dieci anni di trattative: cinque consiglieri di centrosinistra hanno votato contro la delibera attuativa, sostenendo che il progetto non era stato condiviso e non era abbastanza ‘sociale’. E lo hanno fatto insieme alle opposizioni di centrodestra, che in Regione Lombardia avevano sostenuto l’accordo.
Il conto che gli avversari hanno fatto pagare in zona Cesarini al sindaco Giuliano Pisapia, che non si ricandiderà nel 2016, di fatto sarà però addebitato ai milanesi. «A prescindere da come verranno utilizzate le aree, è un danno per Milano, trovare un accordo richiederà ancora tempi biblici”», è la valutazione fatta a Linkiesta da Marco Ponti, economista dei Trasporti al Politecnico.
Ponti non si è occupato direttamente del progetto del Comune di Milano, ma sa quanto il recupero degli scali ferroviari inutilizzati potesse cambiare il volto della città nei prossimi anni. Forse più dell’Expo, perché in questo caso avrebbe influito anche sulle abitudini quotidiane dei milanesi. Pensate a quei grovigli di binari vuoti a Porta Romana, a Porta Genova, a San Cristoforo, a Lambrate, a Rogoredo, a Breda, nell’immenso scalo Farini vicino a Porta Garibaldi.
Il recupero degli scali ferroviari inutilizzati poteva cambiare il volto della città nei prossimi anni. Forse più dell’Expo
«Lasciare le rotaie ad arrugginire è una stupidaggine», osserva il professor Ponti, che pure riconosce che i proprietari – cioè le Ferrovie dello Stato – non hanno grossi incentivi a fare il contrario. Se non, appunto, con accordi come quello stipulato con il Comune di Milano. «Una società pubblica ha un enorme trasferimento di risorse statali e si base su quelle – dice -. Un tempo le merci occupavano gran parte degli scali ferroviari. Oggi non è più così, la domanda è fortemente diminuita e i binari restano vuoti. Ma le ferrovie non hanno una pressione altrettanto forte a riutilizzare gli spazi in un altro modo». Perché non ci perdono denaro. A meno che gli enti locali non intervengano.
Ma perché il progetto sarebbe stato utile per Milano? «Ci sono due argomenti principali a favore – risponde Ponti -. Anzitutto valorizzare le aree degli scali ferroviari migliora i conti delle Fs senza che a pagare sia solo lo Stato, quindi i cittadini, quindi noi. E poi c’è un secondo aspetto pratico. Ed è che un uso più intensivo, che non significa solo cementificare, comporta un miglioramento dell’accessibilità della città e di quei quartieri in particolare». Se si favorisce l’insediamento abitativo o commerciale in quelle aree oggi occupate da binari vuoti, si portano più cittadini vicini alle stazioni, invogliando l’utilizzo del treno e fluidificando i flussi dei pendolari. Il professor Ponti riconosce che a sfavore di questo tipo di progetto c’è il fatto che aumentare la densità di costruzione può portare ad un aumento della concentrazione di emissioni inquinanti nell’aria, che troverebbe nuovi spazi in cui annidarsi. Ma aggiunge anche una terza ragione a favore. «Da cinico economista – afferma – osservo che Milano, per la sua natura, è caratterizzata da alti prezzi delle abitazioni: aumentare l’offerta di case, abbassa i prezzi e favorisce i ceti sociali meno abbienti».
Twitter @ilbrontolo