Segnatevi il nome di questo candidato sindaco, per le Comunali che verranno a giugno: Rudolph Giuliani, detto Rudy. Potrebbe essere uno scherzo da pesce d’aprile, e in effetti preso alla lettera un po’ lo è.
Ma il sindaco che ha guidato New York dal 1994, quando Silvio Berlusconi entrava in politica, al 2001, quando ancora saliva fumo dal cratere delle Torri Gemelle, è tornato a essere il simbolo di buona amministrazione sbandierato da diversi candidati nostrani in questo 2016 segnato dall’incertezza politica e dal sangue di Bruxelles. Candidati di centrodestra, soprattutto. Anche però di altri schieramenti, a partire dal Movimento 5 Stelle. Dicono di voler essere pragmatici ed efficaci. In una parola, sceriffi. Appunto come Rudy Giuliani, il cui nome quindi ricorrerà spesso a vuoto in questa imminente campagna elettorale in cui il tema della sicurezza, legato al mercato politico della paura, sarà in cima alle priorità di molti. All’italo-americano Giuliani è stato riconosciuto il merito storico di aver rivoluzionato le abitudini dei newyorkesi, abbattendo il numero dei reati attraverso il pugno duro non solo contro la grande criminalità ma anche contro quella piccola prima trascurata, contro l’incuria e i vandalismi diffusi che possono consolidare il terreno di coltura della grande delinquenza e del senso di insicurezza. Dal sindaco-sceriffo di New York abbiamo, di conseguenza, ereditato l’uso di un’espressione linguistica ormai abusata nei nostri talk-show: tolleranza zero. Ma davvero Roma o Milano o Napoli possono essere paragonate alla New York di vent’anni anni fa?
L’accostamento – a parole – lo ha fatto Berlusconi indicando in Guido Bertolaso il suo Rudoplh Giuliani per Roma. Lo ha fatto Stefano Parisi, candidato sindaco del centrodestra a Milano, dicendo che vuole mettere più tecnologia al servizio della sicurezza. E anche Gianluca Corrado, nuovo candidato del Movimento 5 Stelle sotto la Madonnina, ha spiegato di ispirarsi allo stesso modello. A Napoli l’accostamento lo ha fatto pubblicamente Gianni Lettieri, il candidato del centrodestra che se la vedrà con il sindaco uscente, Luigi De Magistris, che da qualcuno cinque anni fa fu accostato proprio alla figura di Giuliani, un ex magistrato che doveva riportare ordine e pulizia sotto il Vesuvio.
L’ammirazione per l’ex uomo forte di New York è stata negli anni espressa anche da esponenti politici di area progressista come Michele Emiliano, attuale presidente della Regione Puglia, ai tempi in cui era sindaco di Bari. E come Benedetto Della Vedova, ex radicale oggi sottosegretario agli Esteri nel Governo Renzi e nel 2007 promotore di un comitato italiano per sostenere la sfortunata corsa di Giuliani alla nomination repubblicana per la Casa Bianca. Nel centrosinistra comunque piacciono di più i modelli liberal come quello di Bill De Blasio, attuale sindaco della Grande Mela, a sua volta di origini italiane. Per non parlare di Barack Obama.
L’accostamento – a parole – lo ha fatto Silvio Berlusconi indicando in Guido Bertolaso il suo Rudoplh Giuliani per Roma. Lo ha fatto Stefano Parisi, Gianluca Corrado, Michele Emiliano
Ma dicevamo di Giuliani. Originariamente Democratico, politicamente poi impegnato fra i Repubblicani, Giuliani è stato avvocato di successo e poi procuratore federale nel South District di New York dal 1983. Un magistrato di ferro, che collaborò anche con Giovanni Falcone in importanti indagini sulla mafia. La sua eredità deriva però da quegli anni da sindaco di New York, dove il rigore dell’uomo di legge si sposò a una particolare determinazione politica, espressa anche nelle interlocuzioni settimanali alla radio con i suoi concittadini. “Un sindaco di guerra”, lo ha definito Michael Powell, che per quindici anni lo ha seguito come cronista del New York Times. La guerra al crimine e al degrado urbano, che gli valse anche una candidatura al Nobel per la pace, nel 1995. E la guerra vera e propria dichiarata da Al Qaida nel 2001, con gli attentati alle Torri Gemelle, che diedero a Giuliani il ruolo di padre consolatore della metropoli ferita, oltre che una copertina come uomo dell’anno per la rivista Time. Proprio dalle colonne del New York Times, il capo della sua Polizia (il New York Police Departement, NYPD), Bill Bratton, tratteggiò i motivi di successo di quel modello di sicurezza urbana. Primo punto: l’utilizzo di un sistema informatico, denominato CompStat, che per la prima volta grazie alle ‘nuove’ tecnologie mise in rete in tempo reale le informazioni su ogni tipo di crimine denunciato. Secondo punto: non solo combattere i singoli reati ma fare anche attività di intelligence sul territorio, per metterli nel contesto giusto e smantellare i sodalizi criminali. Altro punto: dare dignità e più soldi agli agenti sul campo, sostituendoli con personale civile negli uffici e mandandoli in strada, quartiere per quartiere. Su tutto questo dominava però un approccio diverso alla sicurezza: ogni singolo abuso, anche il più piccolo, a partire dall’opera dei writers, andava punito. La politica della tolleranza zero derivava infatti da una ben definita teoria sociologica detta ‘delle finestre rotte’, secondo la quale in sostanza se il cittadino vede anche solo una piccola cosa in disordine si sente autorizzato a compiere qualsiasi altra cosa (banalizzando). I risultati diedero ragione al metodo Giuliani: nel decennio in cui è stato sindaco, i reati sono calati del 40% a New York. E anche l’aspetto estetico della metropoli è migliorato.
Da qui a dire che il modello possa essere esportato in Italia vent’anni dopo, però ne corre. Per una ragione di proporzioni: all’inizio degli anni Novanta a New York abitavano già 7 milioni di abitanti (oggi si avvicinano ai 9), mentre Roma, Milano e Napoli messe insieme non arrivano ancora alla metà. All’inizio degli anni Novanta, poi, a New York c’erano più di 2000 omicidi all’anno (oggi scesi a 350 in media), mentre l’ultimo dato disponibile per Milano parla per esempio di 35 omicidi volontari nel 2014, con un trend generale dei reati in calo.
Non replicabile, in Italia, è anche il sistema di potere collegato al sindaco di una metropoli: Giuliani era di fatto il capo di una Polizia autonoma, capace di svolgere qualsiasi compito, dal raccogliere la denuncia di un furto al compiere azioni anti-terrorismo (proprio come nei film). Il sindaco di una città italiana dispone invece solo di poteri amministrativi, le forze dell’ordine dipendono dal Governo nazionale. Diverso è anche il contesto storico: oggi la tecnologia è già utilizzata ampiamente nel settore della sicurezza, le politiche contro il degrado urbano sono molto più diffuse di allora e, infine, il tema della paura è collegato a quello della nuova immigrazione e dei problemi di accoglienza che non richiedono solo politiche repressive.Il mito-Giuliani rivela la persistenza di un approccio poliziesco alla gestione delle città che fa presa in un elettorato sradicato
Il modello del candidato Giuliani appare dunque abbastanza scontato e fuori tempo massimo, per i candidati sindaco nostrani a caccia di idee. Anche perché in questi venticinque anni molte ricerche hanno messo in luce come i risultati ottenuti dal sindaco-sceriffo siano stati possibili anche grazie ad altri cambiamenti sociali che non dipendevano da lui, oltre che grazie agli investimenti nella polizia fatti dal suo predecessore Democratico, David Dinkins, e poi proseguiti dal suo successore Michael Bloomberg. Oltre all’uomo, negli Stati Uniti ha dunque funzionato anche la squadra e la struttura gerarchica.
Ma il mito ha comunque un potere di attrazione forte, per i politici. E quello di Giuliani resiste al tempo, ci suggerisce la mancanza di modelli così forti in casa nostra, ma anche la persistenza di un approccio poliziesco alla gestione delle città che fa presa in un elettorato sradicato dalla crisi economica, disorientato dai cambiamenti tecnologici improvvisi e deluso dalle ricette politiche deboli.Twitter: @ilbrontolo