Il delitto di Luca Varani, peggio del massacro del Circeo

Nell'omicidio romano di questi giorni non c'è più nemmeno l'elemento politico, c'è pura violeza senza movente se non il vuoto. Tutti auspicheremmo un ergastolo, che naturalmente non ci sarà

Cari Marco e Manuel,

da quando ho appreso dell’omicidio di Luca Varani, il ragazzo 23enne di origini jugoslave, adottato, residente a Roma, di cui siete stati artefici, non riesco a smettere di pensare che abbiate realizzato la versione contemporanea del massacro del Circeo.
Certo, non c’è più l’elemento politico. Voi non siete estremisti di destra e probabilmente non siete nemmeno di sinistra. Per il semplice fatto che queste categorie – che segnavano una fortissima appartenenza negli anni settanta – oggi non esistono più.
Non c’è l’opposizione tra pariolini e borgatare, è un massacro della periferia sulla periferia, il vostro. Come se la violenza, la perdizione, l’abuso di sostanze illecite, l’edonismo che non conosce limite, il disprezzo di qualunque regola, non fossero più appannaggio di un certo centro, ma si fossero espansi, diventati liquidi, camaleontici.
​Non c’è nemmeno più la prevaricazione di genere, non ci sono donne in questa vostra terribile vicenda. Non c’è l’indignazione femminista che i vostri inquietanti antesignani avevano sollevato. Siete tre ragazzi, due carnefici e una vittima, un omosessuale e due eterosessuali dichiarati.

Non c’è l’opposizione tra pariolini e borgatare, è un massacro della periferia sulla periferia, il vostro

Eppure, qualcosa di simile, in voi assassini (perché questo siete e questo resterete) c’è. Potevate passare alla storia per aver brevettato una geniale invenzione, per aver composto una bella canzone, per aver scritto un meraviglioso romanzo. Potevate passare alla storia per qualche merito. E invece ci passerete per quello che siete: uno dei volti – il più deprecabile – dei “giovani” italiani negli anni dieci del secolo ventunesimo.
Le similitudini che ravviso con Izzo, Ghira e Guido, che si erano macchiati dell’omicidio di Rosaria Lopez e del tentato omicidio di Donatella Colasanti nel 1975, sono diverse: la città, l’efferatezza, la premeditazione, l’omicidio di gruppo, l’ambientazione domestica, l’agiatezza borghese di una vita senza impegni, edificata su quella sicurezza economica che i vostri padri hanno in qualche modo costruito per voi, fatta di lavoro (poco), cocaina (troppa), sesso (promiscuo, alterato, a pagamento).
Ci sei tu Marco Prato, che sei gay, sei bello, sei un viveur, organizzi le serate e te la facevi con Flavia Vento pur di apparire sulle pagine di quella stampa italiana che fa capo a Signorini o a Sandro Mayer. Ci sei tu che hai studiato alla Luiss, hai fatto il master in Francia e sul tuo profilo Facebook pubblichi una gran quantità di foto – con il giusto utilizzo dei filtri di Instagram – e frasi in francese che ti fanno apparire così tanto bohemien. L’hairstyle giusto. Il selfie in ascensore con l’amica.
La canotta col petto villoso ben messo in evidenza (singolare per uno che vuole diventare donna, ostentare così tanto il proprio essere irsuto; sai Marco, la prima cosa che i transessuali rinnegano e modificano nel proprio corpo è esattamente quella: la barba e i peli, con gli ormoni; poi me pare vengano le bocce e solo dopo il pene, che peraltro non viene elargito a destra e a manca ma spesso viene ripudiato, occultato e vissuto come un’escrescenza, non come oggetto di piacere, perché chi vive in un corpo che non riconosce compatibile col proprio spirito, affronta una grande condizione di disagio psicologico e sì, spesso non ha l’approvazione del padre barone universitario per fare una transizione di genere, ma non per questo ammazza il prossimo suo).

Ci sei tu Marco che sei probabilmente il driver, il manipolatore, di questa tragedia

Ci sei tu Marco che sei probabilmente il driver, il manipolatore, di questa tragedia. Tu che un mese prima del delitto hai massacrato di botte un altro ragazzo gay con cui ti eri chiuso in casa, sempre strafatto di coca. E sei rimasto impunito per quello. E con buona probabilità non sarai comunque punito abbastanza per ciò che hai fatto a Luca. E non parlo a caso di “punizione” invece che di “rieducazione”, che sarebbe più politicamente corretto ma umanamente falso, perché ciò che tutti – te incluso, che hai tentato di suicidarti – pensano è che meriti di pagare, insieme al tuo compare di malaffare, per l’abominio che hai commesso, e tutti auspicheremmo un ergastolo, che naturalmente non farai perché verrà fuori che era la cocaina che ti diceva di fare ciò che hai fatto, insieme con il demonio e lo spirito di Dalida. Verrà fuori che eri (eravate) incapaci di intendere e di volere, avrete una strumentale buona condotta, diventerete buddisti e tu smetterai di ascoltare Madonna e passerai ai Rage Against The Machine per sottolineare che sei un uomo diverso. E ve la caverete in qualche modo.

E poi ci sei tu, Manuel Foffo, che hai avuto il papà che è andato a difenderti su Rai1, nel salotto della televisione italiana di Vespa, a pochi giorni dal massacro. A raccontarci che eri un ragazzo modello, quando la cosa più nobile sarebbe stata tacere, o chiedere scusa per aver allevato un omicida, anche se questo non è totalmente imputabile al suo ruolo genitoriale, naturalmente. Manifestare cordoglio nei confronti della famiglia Varani, per esempio, invece che parlarci della tua intelligenza superiore alla media con la quale mi piacerebbe sapere quali nobili risultati hai ottenuto nella tua vita. Che io non vorrei dire, ma esattamente cosa si intende per ragazzo modello? Uno che pippa cocaina da 10 anni? Uno a cui hanno ritirato la patente perché guidava ‘mbriaco? Uno che è stato affidato a uno psicoterapeuta, che fa gli esami, risulta pulito e dopo due giorni che fa? Rum e cocaina, maracaibo mare forza nove, uaiemsiei, e preso dall’entusiasmo ci scappa il morto? No, mi correggo. Non è che ci scappa. Lo si cerca. Lo si caccia. Lo si invita. Lo si attira nella trappola con l’inganno. Si prende il martello. Si prendono i coltelli. Si schiaccia persino un pisolino dopo averlo massacrato (del resto quando il down arriva, arriva). Ecco, cos’è un ragazzo modello? Uno che ha 30 anni ed è fuoricorso? Uno che dichiara di aver provato già in passato il desiderio “di far male a qualcuno per scoprire l’effetto che fa”, come manco andare allo zoo comunale per Enzo Jannacci? Uno che ci tiene a dichiararsi etero, anche se però un pompino da Prato a Capodanno non l’ha disdegnato (salvo che Prato l’ha filmato di nascosto per ricattarlo)?

Speriamo che si getti via la chiave, perché l’atrocità che avete commesso è – in termini umani – insopportabile. Insopportabile senza appello

Perché eri ricattabile, Manuel, perché non sei in pace nemmeno con la tua sessualità. Perché sei abbastanza uomo di mondo da pipparti lo stipendio che un ragazzo normale guadagna in un mese, ma non lo sei a sufficienza per vivere in serenità il fatto che ti sei fatto gingillare il gioiello di famiglia da un ragazzo gay, perché così t’andava (e anche perché tu, ragazzo modello, eri tanto per cambiare alterato dalla bamba).

E poi c’era lui, che adesso non c’è più, e a lui non possiamo rivolgerci. C’era Luca. Che era più giovane di voi, che era fidanzato da ennemila anni con Gaia e che quella sera ha accettato il vostro invito. Doveva fare una marchetta per 120 euro come riporta il Fatto Quotidiano? Era omosessuale e lo stava ancora capendo? E lo negava, a se stesso e al mondo? E non avrebbe voluto dare questo dispiacere alla sua famiglia adottiva? E ostentava la sua contrarietà ai matrimoni gay su Facebook? E si tatuava il nome, gigantesco, della fidanzata sul braccio per non lasciare spazio a dubbi? Non lo sapremo mai. Sono ipotesi. Congetture. Pettegolezzi poco rilevanti, come è pettegolezzo andare sul profilo Facebook della sua fidanzata, scorrere un po’ le foto, e riconoscere una giovane donna che pochi mesi prima viveva un rapporto in crisi, che era probabilmente stata tradita e l’aveva scoperto, forse con un uomo, forse con una donna. Chi lo sa. Luca non potrà raccontarcelo di sicuro. E a voi, suoi carnefici, di certo non interessava nulla, di questo ragazzo, di cosa vivesse, di che tipo di sensibilità avesse.

Ciò che resta, cari Manuel e Marco, siete voi due, i vostri avvocati, i processi, i talk show, i vostri rinvii a giudizio e le vostre miserevoli vite, fatalmente segnate da ciò che avete fatto. C’è il vostro vuoto a perdere, la vostra agghiacciante assenza di valori, che non è una frase reazionaria da vecchia zia, perché io ho la vostra età, non vado a messa, non sono vergine, non sono una santa, mi è capitato di ubriacarmi e anche di assumere sostanze stupefacenti nella vita. Io nel vostro mondo ci vivo e sono cresciuta in un tessuto culturale simile al vostro. Meno viziato, forse. Meno agiato. Meno votato al solo apparire. Ma sono figlia dello stesso tempo e vi dico che non riesco a provare la minima empatia per voi. Nemmeno una traccia.
E a volte, assurdamente, si riesce a trovare un gancio di umanità anche nei serial killer, nella profonda disperazione della crudeltà incontrollata, nella follia ineluttabile di chi viene al mondo per essere un uomo mostruoso, nel degrado, nel disagio, nel disadattamento e nella stigmatizzazione. Voi, invece, siete talmente al di sotto della soglia di umanità, che non esiste un solo cavillo a cui aggrapparsi, non esiste margine di “rieducazione” perché avete già dimostrato (come molti altri) che la “rieducazione” di Stato non è efficace, e anche lo fosse stento a credere che potreste migliorare.
Siete adulti, avete 30 anni non 15, non c’è da chiamare in causa i vostri genitori, i vostri insegnanti, il prete della parrocchia di quartiere. Siete adulti e fatico a credere che sarete in qualche modo utili a questa società in futuro. Società nella quale, dolorosamente, tutti sappiamo sarete rilasciati nel giro di un decennio, 15 anni al massimo. Liberi di fare ancora del male, esattamente come ha fatto Angelo Izzo, uno dei killer del massacro del Circeo, che, tornato in libertà, ha ammazzato di nuovo, due donne: una madre e una figlia.

Ciò che noi possiamo fare, dagli spalti sui quali osserviamo con un filo di morbosità la vicenda, prima di tornare alle nostre vite ed occuparci d’altro, è sperare che dalla storia si impari una lezione, una volta tanto. E che si getti via la chiave, perché l’atrocità che avete commesso è – in termini umani – insopportabile. Insopportabile senza appello.

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