Il fisico Giorgio Parisi: «Scienza e tecnologia assomigliano alla magia»

Intervista con uno dei più importanti fisici italiani: scienza e religione devono restare separate, ma la prima non ha tutte le risposte

Giorgio Parisi, classe 1948, romano, è uno dei più importanti fisici italiani. Autore di circa 500 pubblicazioni nei campi della fisica delle particelle elementari, della meccanica quantistica, della teoria delle stringhe e della fisica matematica, è membro dell’Accademia dei Lincei da oltre vent’anni. «La fisica ha di sicuro qualche aspetto in comune con la filosofia», dice a Linkiesta.

Ai primi di febbraio ha pubblicato una lettera sulla prestigiosa rivista Nature per chiedere un migliore bilanciamento dei fondi destinati alla ricerca scientifica nei Paesi europei. Lo abbiamo raggiunto per chiedergli quali sono i rapporti tra religione e scienza moderna: qualche anno fa prese pubblicamente posizione contro l’intervento dell’allora papa Benedetto XVI all’inaugurazione dell’anno accademico della Sapienza, l’università romana dove insegna da anni. Sono passati pochi anni, ma le cose gli sembrano cambiate: «La posizione dell’attuale papa è molto più rilassata», commenta.

Professor Parisi, Lei si è occupato e si occupa anche di fisica delle particelle elementari. C’è un aspetto fondamentale di questo tipo di indagine: essa riguarda i meccanismi fondamentali dell’Universo, si interroga sulle sue leggi più basilari. Non trova che questa indagine abbia qualche aspetto in comune con la filosofia o la religione – che, in qualche modo, risponda a domande in parte simili?

Diciamo che la fisica ha di sicuro qualche aspetto in comune con la filosofia, in quanto in fondo la fisica è la discendente della filosofia naturale. Il famoso titolo di PhD che viene dato anche ai nostri dottorati vuol dire Philosophiae Doctor e io stesso ho ricevuto una laurea honoris causa in filosofia Sono anche membro dell’American Philosophical Society, che è stata fondata da Benjamin Franklin per l’avanzamento della conoscenza.

E per quanto riguarda la religione?

Io penso che le due cose siano completamente diverse. La fisica, e più in generale la scienza, cercano una spiegazione del mondo restando dentro il mondo, mentre le religioni – almeno quelle che conosco io, diciamo le religioni monoteistiche – cercano risposte fuori dal mondo, in qualcosa che trascende il mondo.

Se volessimo proseguire con questa analogia, c’è un altro aspetto della scienza moderna – e in particolare della fisica moderna – che le dà, agli occhi del neofita, un’aura con qualcosa di religioso. Essa è incomprensibile, o quasi, a chi non ha conoscenze a volte anche molto specifiche, per cui assume i tratti del misticismo, della religione per iniziati. È d’accordo?

Certamente la fisica moderna ha un problema di divulgazione. Piuttosto che al misticismo, la fisica moderna tende oggi a essere vicina alla magia. Qual è l’aspetto essenziale della magia? Viene fatto un gesto, viene pronunciata una formula magica e poi avviene qualcosa che sembra non aver niente a che vedere con quello che è stato fatto. Pensiamo a toccare una zucca che si trasforma in una carrozza, o alle macumbe, in cui vengono messi degli spilloni su un fantoccio per provocare la morte di una persona.

Piuttosto che al misticismo, la fisica moderna tende oggi a essere vicina alla magia


Giorgio Parisi

L’aspetto “magico” non appartiene solo alla fisica.

Quello che succede è che, per la mancanza di una istruzione spcifica, siamo circondati di oggetti “magici”, dai telefonini ai televisori. La situazione è resa anche peggiore dal modo in cui vengono presentate le scoperte scientifiche, che sono presentate molto spesso con tono di stupore, sottolineando appunto l’aspetto magico. C’è un bel libretto di Marco D’Eramo, dal titolo Lo sciamano e l’elicottero, che si occupa della coesistenza tra pensiero magico e tecnologia e racconta, ad esempio, degli sciamani dell’Asia centrale che si spostano tra una comunità e l’altra a bordo degli elicotteri.

Anche la fisica ritenuta più complessa dell’inizio del secolo, come la meccanica quantistica, manteneva una capacità di essere raccontata in analogie o similitudini relativamente semplici, come l’esempio del treno su cui è posta una fonte di luce. Perché la fisica di oggi è così difficle da divulgare?

Lei si lamenta della fisica, ma la matematica di oggi è assolutamente più incomprensibile. Io stesso, che pure ho una certa capacità matematica, non sono per niente in grado di seguire moltissime delle cose che vengono dette nella matematica di oggi. In questo, la fisica è molto meno colpevole. Il fatto è che utilizza la matematica della prima metà del XX secolo, che è molto più complicata di quella che usava Einstein: e quindi è anche più difficile da divulgare. È un grosso problema. Ma se legge i primi articoli di Einstein sulla relatività ristretta, la matematica che utilizza è quella del liceo.

Lei fa parte di quella comunità di fisici che è famosa per essere particolarmente internazionale, aperta. Le è capitato spesso di incontrare fisici profondamente religiosi?

Certamente sì.

La situazione è resa anche peggiore dal modo in cui vengono presentate le scoperte scientifiche, che sono presentate molto spesso con tono di stupore, sottolineando appunto l’aspetto magico


Giorgio Parisi

Questo aspetto è entrato nel vostro lavoro, nelle vostre discussioni?

Poco. In fondo, essendo la religione un ambito che cerca le risposte al di fuori del mondo, è difficile che avesse punti di contatto con il lavoro come fisico.

Molti scienziati che si dichiarano religiosi sottolineano che scienza e religione appartengono a sfere completamente diverse della vita, del pensiero. Crede che i due campi di indagine siano così nettamente separati?

Sono assolutamente d’accordo.

Altri scienziati invece, anche molto celebri presso il grande pubblico – penso oggi a Richard Dawkins – prendono posizione pubblicamente contro la religione e avanzano in modo positivo la tesi che la religione sia da combattere, in quanto promotrice di oscurantismo e intolleranza.

Io non l’ho mai pensato. Non sono religioso, ma non ho mai pensato di fare una battaglia contro la religione, tanto più utilizzando la mia autorità di scienziato per esprimermi su quei temi. Mi sembra una follia, senza voler giudicare le persone che lo fanno. Per quanto riguarda l’“oscurantismo”, in questo campo ci sono delle opinioni che si classificano come più politiche – ad esempio “la religione è l’oppio dei popoli”. Io terrei completamente separato un pensiero politico sulla religione da un pensiero scientifico sulla religione. Posso avere le mie idee politiche sugli influssi di un certo radicalismo islamico nella società, o di un certo pensiero del radicalismo cristiano protestante contro le teorie dell’evoluzione che si vede soprattutto negli Stati Uniti…

Io terrei completamente separato un pensiero politico sulla religione da un pensiero scientifico sulla religione


Giorgio Parisi

A questo proposito, veniamo all’Italia. Tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, Lei fu tra i partecipanti ad una polemica intorno alla visita di papa Ratzinger alla Sapienza di Roma. In quell’occasione, scrisse: «quando lo stato abdica al suo ruolo di garante della laicità si crea un vuoto, un vuoto in cui molti cittadini non si sentono rappresentati» e anche «c’è una fortissima tensione politica intorno al problema della laicità». Crede che quella tensione sia ancora presente nella società di oggi, oppure il caso di Ratzinger è stato un caso isolato?

Era un momento in cui, da un lato, certe affermazioni di Ratzinger su Galilei non mi erano assolutamente piaciute. Dall’altro, un arcivescovo austriaco esprimeva dubbi sull’evoluzione. Con papa Giovanni Paolo II la situazione era molto diversa. Accettava tutte le cose scientifiche, aveva fatto diversi discorsi in questo senso.

E nel dibattito politico?

C’erano stati i problemi sulla legge sull’eutanasia, le staminali, la fecondazione assistita. All’epoca c’era certamente un tentativo delle gerarchie ecclesiastiche di imporre i loro principi morali non solo ai cattolici, ma anche agli altri cittadini. Certo, non tutti i cittadini erano d’accordo, neppure tutti i cattolici. Tra chi si oppose di più alle posizioni della gerarchia nel dibattito sul fine vita ci fu l’attuale senatrice Elena Cattaneo, che è cattolica, anche se non ne parla praticamente mai.

E oggi?

La posizione dell’attuale papa è molto più rilassata: mi sembra che abbia chiaro che una cosa è quello che devono fare i praticanti cattolici, un’altra quello che la Chiesa deve richiedere alla società. Il clima è certamente cambiato.

Tornando alla fisica, il mondo in cui viviamo sembra certificare la vittoria della tecnologia, del pensiero scientifico rispetto a posizioni avvertite come “conservatrici”, come quelle portate avanti da parte dei credenti.

Questa “vittoria” era vera forse quarant’anni fa. Ma negli ultimi anni il peso della religione e la sua influenza sulla storia di questo pianeta – penso a molte guerre di oggi, ai massacri in Jugoslavia, al conflitto tra sunniti e sciiti – sono tornati con una forza che non avevano da tanto tempo. La Seconda Guerra mondiale non era certamente una guerra mossa in primo luogo dalla Germania protestante alla Francia cattolica. Il peso odierno della religione si vede anche perché c’è una ricerca delle persone a valori, significati della vita che la scienza non può dare.

Ma negli ultimi anni il peso della religione e la sua influenza sulla storia di questo pianeta sono tornati con una forza che non avevano da tanto tempo


Giorgio Parisi

Le sembra quindi che la scienza non abbia tutte le risposte.

La scienza ha risposte al mondo nel mondo, ma non spiega il perché del mondo.

Lei personalmente dove cerca, o dove trova, quelle risposte?

C’è una vecchia affermazione della dottrina cattolica: “La fede è una grazia”. Io questa grazia non ce l’ho, e quindi le risposte a quelle domande non me le so dare.

Forse si possono trovare nell’arte, o nella filosofia.

Restano risposte all’interno del mondo. Né l’arte, né la filosofia rispondono a domande sul senso, sulla trascendenza.

Torniamo all’attualità. Poche settimane fa Lei ha pubblicato su Nature una lettera in cui denunciava la difficile situazione della ricerca italiana. Ha sottolineato soprattutto lo sbilanciamento nei finanziamenti, tra quanto l’Italia dà per i progetti europei e quanto riceve. Ma si tratta solo di un problema di finanziamenti – per cui, quando aumenteranno, il meccanismo tornerà a funzionare – o l’università ha bisogno anche di riforme più profonde che riguardano il suo funzionamento?

C’è certamente un problema di soldi. Se non ci sono posti da offrire ai giovani, questi andranno all’estero. Dieci, quindici anni fa i soldi c’erano: e coloro che andavano all’estero per poi restarci erano un numero molto più piccolo. Non possiamo competere con chi ha finanziamenti per la ricerca enormemente più grandi di noi. Poi bisogna anche fare in modo che i finanziamenti arrivino alle persone giuste, ma per questo non servono nuove leggi o riforme epocali: il ministero ha in mano l’arma assoluta, ovvero il potere di come distribuire i finanziamenti e valutare come sono stati spesi i finanziamenti. Oggi, queste valutazioni non vengono mai fatte dopo aver dato i soldi, ma soltanto prima. Bisogna migliorare questo meccanismo e io vedo con favore la recente istituzione di un’agenzia per la valutazione in ambito universitario e della ricerca.

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