“Dove va lo shopping” è il titolo programmatico della terza edizione dell’Osservatorio sulle polarità commerciali di Trade Lab. È stato organizzato da Canali&C, con la collaborazione di GS1 Italy e il patrocinio del Consiglio nazionale dei centri commerciali (Cncc) e ha messo al centro una serie di riflessioni sullo shopping nelle sue varie declinazioni, con una focalizzazione sul marketing dei centri commerciali.
È stata l’occasione di indicare alcune direzioni di marcia per uscire dall’impasse per la polarità dei centri commerciali extra urbani, i cui indicatori di frequentazione e acquisti sono in calo, rispettivamente del 6,9% e del 3,9% a favore di internet (che cresce de 5,2% in frequentazione e del 24,6% negli acquisti) e anche del commercio urbano, che aumenta del 3% alla voce acquisti, ma perde il 7% quanto a frequentazione. Va però sottolineato che, quanto a frequentazione, il centro commerciale gode sempre del favore del 90% dei rispondenti e del 52% come luogo d’acquisto: «La gente ne pensa male, ma continua ad andare nei centri commerciali», commenta Massimo Moretti, presidente Cncc.
Poi, certamente, vi sono differenze territoriali (la ricerca analizza tre aree: Milano, Roma e Catania), con i pesi che si spostano più a favore di una polarità o dell’altra. Ma il dato significativo è che circa il 30% di chi va al centro commerciale non lo fa motivato dall’acquisto. Ci va per mangiare, per il ‘bellessere’ (un mix di pratiche per la bellezza e il benessere) o per divertirsi.
Ecco che così tornano utili le considerazioni del presidente di Trade Lab Luca Pellegrini, che declina così le diverse definizioni dello shopping: elemento identitario, dalla forte personalizzazione, motivo di aggiornamento, di apprendimento, di prova dei prodotti, è ricerca di stimoli, di sorprese, ma è anche un processo sociale di confronto con gli altri, porta ad acquisti non predefiniti e richiede tempo, da cui l’edutainment e l’entertainment.
Il 30% di chi va al centro commerciale non lo fa motivato dall’acquisto. Ci va per mangiare, per il ‘bellessere’ (un mix di pratiche per la bellezza e il benessere) o per divertirsi
Una regia centralizzata
In questo quadro le diverse polarità mostrano alcune specificità che Pellegrini individua nell’On the go per il commercio diffuso (in Italia sono 750mila i punti vendita in sede fissa cui si aggiungono 200mila ambulanti ufficiali), il Walking the town per i centri commerciali naturali, l’Always on per internet, sempre a disposizione, il Worth a visit? per i centri commerciali. Con la differenza che mentre i centri commerciali naturali, internet e il commercio diffuso si rinnovano spontaneamente, i centri commerciali hanno necessità di avere una regia centralizzata. «Un regia che per i centri commerciali del futuro dovrà reinventare uno spettacolo ormai invecchiato, così come ha fatto il Cirque du Soleil per il circo, ricucendo una trama, una scenografia e una coreografia comuni. Lo spettacolo è uno, con forte identità propria, in grado di essere riproposta, innovata, nel tempo», afferma Pellegrini.
Inevitabilmente il discorso cade sul marketing, o meglio quanto le attività di marketing siano soddisfacenti per gli stakeholder e per i consumatori. A questo proposito, la ricerca di Trade Lab evidenzia un certo disallineamento, in particolare un gap tra l’importanza e la soddisfazione per i mezzi utilizzati (eventi, media, digital, campagne di comunicazione) e tra il punto di vista degli stakeholder e i consumatori, soprattutto per quanto riguarda l’attività online e social: i consumatori hanno una percezione decisamente più bassa rispetto agli operatori in queste due aree, anche se il 20% di essi assegna livelli di efficacia più elevata ai mezzi digital che a quelli tradizionali.
Serve «una regia che per i centri commerciali del futuro dovrà reinventare uno spettacolo ormai invecchiato, così come ha fatto il Cirque du Soleil per il circo: ricucendo una trama, una scenografia e una coreografia comuni. Lo spettacolo è uno, con forte identità propria, in grado di essere riproposta, innovata, nel tempo»
Distintività, esperienza, business
Innovare è quindi la direzione da seguire. Ma significa anche cambiare punto di vista per chi si occupa di centri commerciali, siano essi proprietari, gestori o retailer. Significa cambiare l’approccio di marketing, come afferma Ermanno Canali, presidente di Canali&C: «Ciò che deve guidare i centri commerciali è la distintività. Tutti i centri commerciali si assomigliano, ma hanno peculiarità sulle quali il marketing deve ragionare per individuare il target prioritario da attrarre, con quale offerta e con quali elementi differenzianti. Bisogna identificare il prodotto, identificare il linguaggio utile per quali attività di marketing. E il centro commerciale deve penetrare nelle città».
«In Europa si recuperano aree dismesse nelle città», gli fa eco Massimo Moretti, presidente del Cncc. «È tempo che anche l’Italia si adegui a ciò che viene fatto all’estero per restituire luoghi importanti e bellissimi alle città. Il termine extra urbano deve essere cancellato. Oggi i tempi sono maturi per recuperae le polarità urbane e trasformare non luoghi come le aree dismesse in centri pulsanti».
Ma la differenziazione passa anche per un ripensamento del modello di business, tanto che Pietro Malaspina, senior advisor di Aedes propone una nuova denominazione: «Visto che i modelli di consumo sono cambiati e che le persone non vanno nei centri commerciali per comprare, ma per fare un giro, è necessario segmentare i prodotti in funzione della clientela in coerenza con la location. E trasformarli in centri esperienziali. Occorre però a tal fine costituire fin dall’inizio dei team di lavoro multidisciplinari con progettisti, uomini di marketing, della ricerca, merchandiser, eccetera. Per un progetto coerente fin dal suo nascere. Va però aggiunto che il tema alla base dei nostri ragionamenti è lo sviluppo e l’evoluzione del commercio. I negozi multimarca sono scomparsi e il monomarca caratterizza il paesaggio commerciale odierno. Il commercio risulta così clonato dovunque. Come può il centro commerciale distinguersi? C’è bisogno di accelerare la generazione di nuove insegne, un processo che in Italia è molto lento».
«In Europa si recuperano aree dismesse nelle città», gli fa eco Massimo Moretti. «È tempo che anche l’Italia si adegui a ciò che viene fatto all’estero per restituire luoghi importanti e bellissimi alle città. Il termine extra urbano deve essere cancellato»
Lo shopping è olistico
Rimane sempre sottesa la domanda di fondo, perché cioè il consumatore debba spendere tempo e denaro per andare lontano per lo shopping. Se lo chiede Marco Cuppini, direttore del centro studi GS1 Italy, che però sottolinea come leggere i dati in maniera integrata e non a silos possa dare qualche spunto di riflessione diverso. «In particolare lo shopping olistico è ormai una realtà incrontovertibile, la fusione tra digitale e fisico è esemplificato egregiamente dal fatto che, come rileva l’indagine, il 27,5% dei consumatori ricerca informazioni attraverso il tablet o lo smartphone direttamente nel punto vendita e quante persone – nota Cuppini – utilizzano i volantini dal pc o addirittura dal dispositivo mobile? Lo stesso click & collect (nell’ultimo anno un acquirente online su 5, evidenzia la ricerca, ha ritirato il prodotto in un punto vendita fisico) è la forma di integrazione più evidente. Esiste, si sta muovendo e, come testimonia l’esperienza della canadese Smart Centres, può essere un’opportunità per attrarre visitatori nei centri commerciali».
È il commercio, bellezza!