Se Mark Zuckerberg avesse chiamato Renato Brunetta avrebbe evitato di introdurre le Reactions su Facebook. Ma la rete è più potente di un ex ministro alla Funzione pubblica che, nel 2010, aveva lanciato le “faccine” per dare il voto alle transazioni che ogni giorno si fanno con la pubblica amministrazione. L’iniziativa “Mettiamoci la faccia” è ancora attiva, ma i dati d’utilizzo parlano chiaro: delle 1024 amministrazioni che hanno preso parte all’iniziativa, solo 312 l’hanno attivata per un totale di 447 mila giudizi raccolti nel 2015. Contro gli oltre quattri milioni del 2010.
Per una volta, Facebook non ha anticipato i tempi. Il sito americano Buzzfeed.com e l’italiano Corriere.it avevano già introdotto un sistema d’interattività simile con i propri lettori. Ora, però, il social network di Menlo Park punta a lanciare le “live reaction”, integrando così la possibilità di realizzare dirette streaming dal proprio profilo. Si tratta delle sei emoji che, dal 24 febbraio, si sono aggiunte al classico “Like” scatenando la gioia degli inserzionisti (che così potranno avere dati più raffinati sull’appeal del contenuto postato) e degli utenti che per lungo tempo avevano chiesto delle modifiche (la pagina “Non mi piace … ” conta oltre novemila “Like”). Non a tutti i post si può rispondere con un “Mi piace”. E non sempre basta la semplicità di un pollice verso per far capire il proprio disappunto. Ecco allora lacrimucce, risate e bocche spalancate. Ma quanto piacciono agli utenti?
L’iniziativa “Mettiamoci la faccia” è ancora attiva, ma i dati d’utilizzo parlano chiaro: delle 1024 amministrazioni che hanno preso parte all’iniziativa, solo 312 l’hanno attivata per un totale di 447 mila giudizi raccolti nel 2015
A fare i conti ci hano pensato Unmetric e Fractl. E la sentenza è la stessa: gli utenti continuano a premere “Like”. Nel primo caso, dopo che Facebook ha reso noto il conteggio delle preferenze sulla sezione dedicata alla gestione delle pagine commerciali, la ricerca si è concentrata su profili come Nissan, LG Mobile, Giorgio Armani, ecc. Inserzionisti, insomma. Il risultato parla chiaro: dal 25 febbraio al 5 marzo il 93% degli utenti ha puntato e premuto il mouse sempre nella solita direzione, seguita dal tasto “Love” (4,6%) e da quello “Haha” (1,8%) che fa pari con “Wow”. Stesse cifre per la ricerca ripetuta dal 6 al 15 marzo.
La ricerca di Fractal si muove su binari simili, ma ad essere analizzati stavolta sono i post di alcuni media d’informazioni statunitensi (Cnn, Fox News, The Wall Street Journal, ecc.). La media dei “Mi piace” si attesta attorno ai 6.400 click contro 1.500 preferenze per tutte le altre possibilità. A farla grande sono circa duemila non-like per diecimila like. Poco male. Finché Facebook conta ogni interazione come un like, anche il pulsante “arrabbiato” fa cumulo e sulla circolazione di una notizia come quella sugli attacchi a Bruxelles non pesa il coinvolgimento emozionale (che piuttosto può essere meglio veicolato con un click).
«Una delle spiegazioni – dice Ranjani Raghupathi di Unimetric – è che siamo troppo abituati a premere “Like”». E le abitudini, anche quelle digitali, sono difficili da cambiare. Soprattutto se richiedono un minimo sforzo in più, quel microsecondo che serve per premere like, aspettare che si carichino le reactions e decidere quella più adeguata al proprio stato d’animo. «D’altra parte – continua Raghupathi – è più difficile che un contenuto sposorizzato o commerciale possa ricevere una reazione diversa dal solito. Cosa che invece tendiamo ad accordare ai post di altri utenti “umani”».