Gramellini, le hostess e l’islamofobia da bar

Il direttore creativo de La Stampa tira fuori dal cilindro un inesistente scontro di civiltà sulle calze delle hostess di Alitalia, una polemica inutile e costruita sul nulla

Alì Italia, così ha intitolato il Buongiorno di oggi il direttore creativo de La Stampa, Massimo Gramellini. Questa volta, l’ipertrofico dito indice di Massimo il Censore si rivolge verso una luna inesistente e riesce, con un salto carpiato mortale e mezzo e anche con qualche scappellamento a destra, a trovare il germe mefitico del fantasma più temuto — lo scontro di civiltà tra l’Occidente crsitiano e l’Oriente islamico — nell’operazione di restyling delle divise delle hostess di Alitalia.

Gramellini la tocca piano e scrive: «direttamente da un incubo della Fallaci o da un romanzo di Houellebecq sull’Europa Saudita, ecco le nuove divise della compagnia aerea fu-italiana, ora di proprietà della Etihad di Dubai». La colpa, secondo il castigato sabaudo, è che le suddette divise — invero orribili esteticamente — siano l’ennesima delle infinite mosse della cultura islamica per colonizzare quella che ormai è, secondo il direttore creativo, una Europa Saudita.

«Non conosco una sola donna italiana che indosserebbe delle calze verdi, se non sotto la minaccia di un plotone di esecuzione. E anche lì, come ultimo desiderio, chiederebbe di sfilarsele», scrive il Nostro, e possiamo anche essere d’accordo con il fatto che un tailleur rosso con delle calze verdi fa schifo, ma forse, il Nostro, sugli aerei si addormenta prima della partenza.

Non vogliamo sapere cosa ci fa, nei suoi sogni, Gramellini con le sue hostess desnude. Però di aerei ne abbiamo presi tutti e tutti dovremmo sapere che le hostess sono sempre state molto castigate. E non soltanto perché l’immagine della pornohostess esiste soltanto nei film, ma anche perché, con tutti quegli sbalzi di pressione, le hostess di tutto il mondo sono obbligate a mettere calze pesanti per mantenere una sana circolazione.

Eppure no, il direttore creativo ci vuole proprio leggere «la certificazione di cosa succede quando un bene italiano finisce nelle mani di una cultura che, quantomeno in materia di donne, si trova nelle condizioni più di prendere esempi che di imporne». Veramente, a guardare le divise delle hostess di Ethiad, l’oscurantismo islamista non emerge. Ma proprio per niente. Tanto più che, nella pubblicità della suddetta compagnia teocratica islamista, le protagoniste assolute sono le gambe chilometriche e ampiamente scoperte di Nicole Kidman.

Il «giù le mani dalle nostre hostess» di Gramellini sembra proprio la certificazione di cosa succede quando una tribuna importante come la prima pagina di un quotidiano prestigioso finisce nella mani di uno che, in materia di accuratezza di analisi a scopi di polemica, si trova nella condizione più di prendere esempi che di darne.

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