Endorsement al contrario, attestati di stima di cui si farebbe volentieri a meno. In campagna elettorale può accadere anche questo. Ne sa qualcosa l’aspirante sindaco di Roma Virginia Raggi, esponente del Movimento Cinque Stelle, che nelle ultime ore si è vista rinfacciare dagli avversari una lunga lista di scomodi elettori. Il caso più recente è di poche ore fa. E riguarda il presunto sostegno del leader di CasaPound Simone Di Stefano. «Non ci importa molto, chi vince o non vince – le sue parole a Radio Cusano Campus – Certo se vincerà la Raggi avremo modo di testare sul campo questa fantomatica amministrazione a Cinque Stelle. Faremo un’opposizione durissima. Comunque sarei più sconfortato da una vittoria di Giachetti. Tornare al passato non è mai meglio, è sempre peggio». Apriti cielo. Tanto basta per scatenare il Partito democratico. Per tutto il giorno l’intervista infiamma il dibattito romano. I rappresentanti dem diramano una serie di note stampa per accusare la presunta svolta a destra della pentastellata. Almeno fino a quando, nel pomeriggio, è lo stesso Di Stefano a chiarire. Nessun appoggio alla Cinque Stelle: «CasaPound Italia esprime la più assoluta equidistanza rispetto ai due candidati a sindaco che il 19 giugno si sfideranno nel ballottaggio per il Comune di Roma. Per noi Giachetti e Raggi sono la stessa cosa in termini di incompetenza e nullità politica».
Roberto Giachetti ha accusato la Raggi di avere il sostegno degli ex sindaci Alemanno e Marino. Accortezza ricambiata. «E tu sei appoggiato dal patto del Nazareno all’amatriciana» ha spiegato lei
Per un endorsement sfumato, altri continuano a far discutere. Alcuni giorni fa l’ex sindaco Gianni Alemanno aveva candidamente ammesso durante un noto talk show di avere la “forte tentazione” di votare per la Raggi. «Per interrompere i vecchi sistemi i potere». Un attestato di stima che si è rivolto come un boomerang contro la diretta interessata. Un po’ come accaduto con Ignazio Marino, altro ex sindaco di Roma, che ha lasciato intendere più volte di essere più vicino alla candidata grillina. E così all’ultimo confronto televisivo tra i due aspiranti sindaci, domenica pomeriggio su Rai Tre, Roberto Giachetti non si è fatto sfuggire l’occasione, accusando l’avversaria per i suoi scomodi sostenitori. Accortezza ricambiata, c’è da dire. «E tu sei appoggiato dal patto del Nazareno all’amatriciana» ha spiegato lei. Il riferimento, ancora una volta, ai pubblici endorsement di cui, probabilmente, anche Giachetti avrebbe fatto volentieri a meno. Come quello di Guido Bertolaso. L’uomo scelto di Silvio Berlusconi per il Campidoglio e poi sacrificato in nome dell’alleanza con il civico Alfio Marchini. Se in questi giorni i dirigenti forzisti evitano con cura di schierarsi con uno dei due candidati al ballottaggio, l’ex capo della protezione civile ha assicurato di essere pronto a votare per Giachetti. «Uno che conosce sicuramente meglio i problemi di Roma». E non è neppure l’unico esponente di centrodestra. La scorsa settimana è stato l’alfaniano Maurizio Lupi – capogruppo alla Camera di Area Popolare – ad annunciare il suo apprezzamento per il candidato democrat. Due giorni fa è stata la volta di Pierferdinando Casini. «Non si può lasciare una città complessa come Roma in mano a dilettanti allo sbaraglio».
Da Roma a Milano, passando per Torino. Anche all’ombra della Mole rinfacciarsi gli elettori più scomodi è diventato un punto fermo della campagna elettorale
A volte i sostegni diventano delle zavorre. A Milano il centrosinistra ha chiamato in causa il candidato Stefano Parisi per la discussa scelta del Giornale di distribuire in edicola il Mein Kampf di Adolf Hitler. Sullo sfondo l’accusa all’ex city manager, non nuova, di flirtare con l’estrema destra e il lepenismo salviniano. Solo strumentalizzazioni? A scanso di equivoci Parisi ha sconfessato pubblicamente, e non senza qualche polemica, la scelta editoriale. «Una iniziativa inutile e inopportuna che offende le migliaia di famiglie milanesi e italiane che sono state vittime del nazismo. Qualsiasi ambiguità da questo punto di vista è grave ma la vicenda non ha nulla a che fare con la mia campagna elettorale. È l’iniziativa elettorale di un giornale indipendente che mi supporta ma non è detto che tutte le cose che fa questo giornale siano condivise da me o dalla nostra compagine».
Da Roma a Milano, passando per Torino. Anche all’ombra della Mole rinfacciarsi gli elettori più scomodi è diventato un punto fermo della campagna elettorale. La grillina Chiara Appendino, in corsa per il capoluogo piemontese, ha dovuto giustificare con un po’ di imbarazzo alcuni attestati di stima ricevuti negli ultimi giorni. A partire dall’europarlamentare leghista Mario Borghezio e dall’ex candidato di centrodestra Roberto Rosso. Al confronto di domenica scorsa su Rai Tre, l’avversario Piero Fassino – che a sua volta ha incassato il sostegno del forzista Osvaldo Napoli – l’ha accusata di voler costruire una coalizione fin troppo variegata. «Sta mettendo insieme il diavolo e l’acqua santa». Davanti alle telecamere lei ha provato a chiarire: «I voti della Lega non appartengono a me, ma agli elettori. I cittadini decideranno in base al programma e al progetto». Al netto delle polemiche, resta un pensiero. Ma alla fine questi scambi d’accusa quanti voti sposteranno?