Se persino la Santa Sede ha deciso di puntare su una donna, è evidente che qualcosa sta davvero cambiando. Due giorni fa Papa Francesco ha nominato alla guida della sala stampa vaticana Greg Burke e Paloma Garcìa Ovejero. La voce del Santo Padre affidata (anche) a una giornalista. Quarantuno anni, madrilena, già corrispondente per la Cope, la radio gestita dalla Conferenza episcopale spagnola. «Ho pregato molto – ha spiegato il Pontefice – Ho fatto discernimento, mi sono confrontato. Voi siete il frutto di tutto questo. Penso che siete il meglio per comunicare il Santo Padre e il suo magistero». Amen. Prende corpo l’ennesima rivoluzione d’Oltretevere. La decisione di valorizzare, anche all’interno della Chiesa, il ruolo femminile. E a ben guardare non è una scelta isolata.
Il 2016 rischia di trasformarsi nell’anno simbolo della svolta. Dall’ambito religioso a quello laico, negli ultimi mesi il potere è diventato donna. Nulla di strano, ci mancherebbe. La parità di genere è ormai – e per fortuna – un dato di fatto. Ma date le circostanze, il cambiamento fa ancora notizia. Anche in Italia la politica sembra aver improvvisamente scoperto le qualità femminili. Le protagoniste del nuovo corso sono le sindache di Roma e Torino. Le grilline Virginia Raggi e Chiara Appendino. Le cronache giornalistiche hanno dedicato fiumi di inchiostro alle due giovani amministratrici. Rappresentano una rivoluzione politica, certo. Perché mai un esponente del Movimento Cinque Stelle era riuscito a conquistare una posizione così rilevante (e dalle loro capacità passeranno con ogni probabilità le future aspirazioni di governo dei pentastellati). Ma forse non è un caso se entrambe sono donne. Serie, rigorose, rassicuranti e preparate, per certi versi molto lontane dallo stereotipo affibbiato al mondo grillino. Intanto la svolta epocale si è consumata. Di fronte ai dubbi di tanti, negli ultimi giorni è dovuta intervenire persino l’Accademia della Crusca. Come bisogna chiamare le nuove elette? Si dice “sindaca”, al femminile. Con buona pace di chi non vuole arrendersi al cambiamento.
Virginia Raggi e Chiara Appendino rappresentano la novità politica in Italia. A Maria Elena Boschi la responsabilità delle riforme che decideranno il futuro del Paese (e del governo). Se persino la Santa Sede ha deciso di puntare su una donna, è evidente che qualcosa sta davvero cambiando
Anno particolare, si diceva. Forse è merito di una coincidenza astrale. Intanto anche l’altro grande appuntamento politico del 2016 è nelle mani di una donna. Il prossimo ottobre gli italiani saranno chiamati alle urne per il referendum costituzionale. In ballo c’è la riforma istituzionale voluta dall’esecutivo e, di conseguenza, il destino dello stesso governo. La protagonista della partita è il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi. Comunque la si pensi sul progetto di superamento del bicameralismo perfetto – e non sono pochi anche tra i costituzionalisti a nutrire dubbi – a lei va il merito di aver gestito la lunga e difficile sfida in Parlamento. Da animatrice degli appuntamenti alla Leopolda, nel giro di pochi anni l’avvocatessa toscana è diventata un ministro chiave del governo Renzi. Simbolo e testimonial della nuova stagione. Proprio in questi giorni il ministro Boschi è a Bruxelles per presentare il percorso delle riforme italiane. Un tour internazionale per dare conto dell’impegno «che ci viene riconosciuto da tanti osservatori internazionali», ha spiegato ieri.
Dall’Italia all’estero. Il 2016 è anche l’anno in cui una donna potrà entrare alla Casa Bianca. La prima presidente a 227 anni dall’insediamento di George Washington. Intanto sarà la neo premier britannica Theresa May a traghettare il Paese fuori dall’Europa
E non solo in Europa. Secondo alcuni retroscena giornalistici, a fine luglio la Boschi potrebbe essere invitata anche Oltreoceano. Ospite alla Convention democratica in programma a Filadelfia, che incoronerà Hillary Clinton candidata alle presidenziali americane. E qui si incrocia il destino di due carriere politiche parallele. Già, perché il 2016 potrebbe essere anche l’anno in cui gli Stati Uniti avranno finalmente un presidente donna. Dopo la vittoria alle primarie contro Bernie Sanders – più difficile del previsto – in autunno Hillary sfiderà il repubblicano Donald Trump. Difficile anticipare l’esito della partita. Per i sondaggi la democrat è in leggero vantaggio, ma da qui a novembre la partita resta aperta. Così a 227 anni dall’insediamento di George Washington – dopo 44 presidenti – anche in America potrebbe essere l’anno della svolta di genere. Un presidente donna alla Casa Bianca. «Una pietra miliare» nella storia a stelle e strisce, come ha annunciato un mese fa Hillary Clinton, durante un incontro a New York. Una vittoria che «appartiene a tutte le generazioni che hanno lottato per rendere questo momento possibile».
Nella vecchia Europa ha attirato molte meno attenzioni l’ascesa di un’altra politica. Effetto collaterale della Brexit, da ieri la Gran Bretagna ha un primo ministro donna. Si chiama Theresa May, 59 anni, già ministro degli Interni. Dopo le dimissioni di David Cameron, è diventata il 76esimo capo di governo britannico. Intanto già si sprecano i paragoni con Margaret Thatcher, la Lady di ferro, primo ministro del Regno Unito dal 1979 al 1990. Illustre, e finora unico, precedente femminile a Downing street. Dopo l’inchino di rito davanti alla Regina Elisabetta II, ieri May ha annunciato i primi ministri del suo governo. Tra loro anche Boris Johnson, agli Esteri, che in un primo tempo sembrava destinato a sostituire Cameron. Nelle mani della premier britannica, una delle transizioni più attese e temute della politica internazionale degli ultimi anni: a lei il compito di traghettare la Gran Bretagna fuori dall’Europa.