Lo scorso 11 aprile è toccato a Mariella Piredda, assessore alle Politiche Sociali del comune di Sant’Antioco, vicino Cagliari. Al mattino l’esponente della locale giunta ha trovato l’automobile carbonizzata. Una settimana più tardi la stessa sorte è capitata a Nannino Marteddu, sindaco di Orotelli. Stavolta siamo in Barbagia, a una ventina di chilometri da Nuoro. Altra provincia, identica intimidazione: durante la notte il primo cittadino è stato svegliato e ha trovato l’auto in fiamme. In Sardegna il calendario delle intimidazioni è fitto di eventi. Ogni attentato, un luogo diverso dell’isola. La scorsa Pasquetta al centro del mirino era finito Daniele Cocco, consigliere regionale e sindaco di Bottidda, settecento abitanti in provincia di Sassari. Nottetempo la sua abitazione è stata crivellata di colpi di pistola. Dal Nord al Sud: il giorno seguente è stata presa a colpi di arma da fuoco l’automobile di Maurizio Cadau, vicesindaco di Belvì, comune barbaricino a due passi dal Gennargentu.
Sono sindaci in prima linea. Negli ultimi anni il numero degli atti intimidatori nei confronti degli amministratori pubblici sardi non sembra diminuire. In Parlamento se n’è parlato pochi giorni fa, quando il deputato grillino Andrea Vallascas ha presentato in commissione Affari costituzionali un’interrogazione sull’argomento. Nel testo, un lungo elenco degli ultimi attentati. Le cifre tracciano il profilo di una vera e propria emergenza. Secondo l’Osservatorio sociale sulla criminalità dell’Università di Sassari, nel biennio 2011-2013 sono stati compiuti 1.108 atti intimidatori contro sindaci, assessori, consiglieri comunali. Ma anche esponenti delle forze dell’ordine e sindacalisti. «Si tratterebbe di un dato – spiega Vallascas – che collocherebbe l’isola al primo posto in Italia nella graduatoria per numero di intimidazioni compiute ai danni di amministratori pubblici».
Secondo l’Osservatorio sociale sulla criminalità dell’Università di Sassari, nel biennio 2011-2013 sono stati compiuti 1.108 atti intimidatori contro sindaci, assessori, consiglieri comunali ed esponenti delle forze dell’ordine
Auto in fiamme, colpi di pistola, minacce, lettere con proiettili. Il copione è spesso simile, e i colpevoli restano quasi sempre impuniti. Intervenuto in commissione, il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico ha aggiornato il bollettino dell’emergenza. Nell’ultimo biennio, secondo il Viminale, in Sardegna si sono registrati 259 atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali. Minacce diffuse, tanto che «gli episodi si sono manifestati un po’ su tutto il territorio regionale – ha spiegato l’esponente del governo – sia pure non in maniera uniforme». Il 47 per cento dei casi è stato denunciato in provincia di Cagliari, il 38 per cento nel nuorese, il 7,5 per cento sia nella provincia di Sassari che di Oristano. «Maggiormente colpite sono risultate le zone interne dell’isola dove, probabilmente a causa di antichi retaggi culturali, la ritorsione violenta e la minaccia sono considerate ancora strumenti per rispondere alle ingiustizie percepite».
Le vittime sono quasi sempre i primi cittadini. Nel 46 per cento dei casi l’obiettivo dell’intimidazione è proprio il sindaco. Seguono, secondo i dati del ministero dell’Interno, i componenti delle giunte e i consiglieri comunali (13 per cento ciascuno). Ma addirittura nel 7 per cento degli episodi le minacce e gli attentati sono rivolti a semplici candidati alle elezioni. Dal governo respingono ogni ipotesi di organizzazione criminale. A detta di Bubbico, gran parte degli eventi sono riconducibili a questioni di natura personale. «Fondate sulla difesa dell’onore e sul sentimento di vendetta per presunti torti subiti, per asserite promesse non mantenute o per aspettative di impiego o di utilità economiche non concretizzatesi». La strumentalità degli atti intimidatori rispetto agli interessi di gruppi criminali organizzati, insiste il rappresentante del Viminale, è del tutto “residuale”.
Auto in fiamme, colpi di pistola, minacce, lettere con proiettili. Il copione è spesso simile, e i colpevoli restano quasi sempre impuniti
L’interrogazione di Vallascas descrive il panorama in cui si collocano queste vicende. «Un contesto territoriale e sociale profondamente disagiato» si legge. Conseguenza diretta della crisi economica, in parte, «che nella regione ha accelerato la chiusura di importanti realtà produttive». Ma anche della sempre minore presenza dello Stato nei territori dell’entroterra sardo: «È il caso di rilevare – si legge – che negli ultimi anni sono stati progressivamente chiusi importanti presidi, quali scuole, ospedali, caserme delle forze dell’ordine, tribunali, solo per citarne alcuni. Sindaci e amministratori locali, per effetto delle misure di contenimento della spesa pubblica, dei forti tagli, della ricordata forte riduzione della presenza dello Stato e dei servizi ai cittadini, si ritrovano ad esercitare il mandato con accresciute responsabilità senza adeguate risorse economiche e umane».
Il tema non è inedito. Più volte il Parlamento si è occupato dell’argomento (un disegno di legge in materia, approvato dal Senato, è in attesa di essere calendarizzato alla Camera). Non mancano i deputati sardi che hanno già sollevato la questione con appositi atti di sindacato ispettivo. Lo scorso febbraio, il ministero dell’Interno ha creato un Osservatorio permanente sul fenomeno, una cui sezione provinciale è stata attivata nella prefettura di Cagliari. Nel frattempo sono state adottate diverse misure di protezione personale. Come ha spiegato Bubbico, in Sardegna è stato attivato un dispositivo di “vigilanza generica” per 66 amministratori locali, tra cui 40 sindaci. Risale allo scorso marzo, infine, il Protocollo triennale tra i prefetti della Sardegna, la regione e l’Anci dell’isola. Un documento siglato alla presenza del ministro dell’Interno che contiene una serie di impegni, finalizzati a «promuovere la legalità, a prevenire gli atti intimidatori e ad assicurare la tangibile vicinanza dello Stato agli amministratori vittime degli atti medesimi».