Vendere fish & chips agli scozzesi: storia di una colonia di liguri in terra straniera

Ogni anno, a Stadomelli, dalle parti della Spezia, si celebra la festa dei liguri-scozzesi, discendenti dei primi italiani che, negli anni ’70, sono partiti in cerca di fortuna e hanno messo in piedi il business del fish & chips

Sono andati a cercar fortuna cucinando fish and chips per gli scozzesi. Il pesce e patate, come lo chiamano loro, è stata in gioventù la prima occasione di riscatto in una terra lontana dalla Liguria. Poi sono rimasti in Scozia per una vita, se non quei pochi che hanno deciso di far ritorno a casa per la vecchiaia. A Stadomelli, un pugno di case sparse sulle montagne della Spezia, una frazione isolata del Comune di Rocchetta di Vara, gli abitanti sono una settantina. Ma ognuno di loro ha decine di parenti e amici emigrati lassù, ai confini dell’Europa, dove hanno trovato un lavoro, una moglie o un marito, hanno cresciuto figli con il cuore spezzato: metà italiano, metà scozzese.

Pochi rimpianti, però, perché ogni estate, a Stadomelli, è l’occasione per riunire le famiglie: dalla Scozia tornano gli anziani, torna la seconda generazione dei figli, arrivano sempre più nipotini che un anno gattonano e l’altro hanno già imparato a dire qualche parola nelle due lingue di casa. Una quarantina di persone in tutto, metà paese in più.

«È il momento in cui tutta la comunità si riunisce», spiega Marika Franceschi, 38 anni, avvocato a Edimburgo, con compagno scozzese. «A Stadomelli ci sono tre famiglie principali, da sempre. Drovandi, Fabiani e, appunto, Franceschi: ciascuna di loro ha messo radici anche in Scozia. Mio padre Anselmo ci andò nel 1968, quattro fratelli e una sorella su nove della sua famiglia fecero lo stesso. Iniziò con il fish and chips, nel negozio di una donna delle nostre parti, Celestina Malatesta. Poi ha conosciuto mia madre, che è scozzese. Si sono sposati ed eccoci qua…».

Anselmo Franceschi, che tornava praticamente ogni estate, è stato quello che ha avuto l’intuizione di organizzare una festa scozzese, nel 2013, poco prima di morire. È diventata la tradizione dei giorni a cavallo fra luglio e agosto. «Mio padre aveva nel cuore il legame con la sua terra natale e ce lo ha trasmesso – ricorda la figlia – Non mi è mai riuscito di rispondere a una domanda molto semplice: di dove sei? Mi sento metà e metà. Sono italo-scozzese».



Quest’anno, a Stadomelli, si sentono anche molto europei. Più di prima, forse. La vittoria della Brexit, al referendum del 23 giugno, ha diviso geograficamente la Gran Bretagna. In Scozia il voto per rimanere nell’Unione Europea è stato prevalente, tanto che il governo autonomo di Edimburgo ha già ipotizzato un secondo referendum per l’indipendenza da Londra, contando sul crescente risentimento verso gli inglesi. Non si sa se sarà celebrato per davvero. Intanto però in questo angolo scozzese in terra di Liguria quest’anno nei giorni della grande festa hanno appeso anche diverse bandierine dell’Ue in mezzo a quelle italiane e scozzesi.

Il piatto forte dell’estate è appunto il fish and chips, insieme ad haggis, hamburger e salsicce. Si balla al suono delle cornamuse e gli uomini portano il kilt. Per dessert, apple crumble e whisky. Ma quello che accade nel mondo non lascia indifferenti: l’Europa, per questa gente, significa opportunità e apertura.

La Val di Vara è da sempre una terra di fatica. Produce olio e legna, ma è dura da addomesticare. Tutta un’altra storia rispetto alla poesia delle Cinque Terre che i turisti amano fotografare sul lato opposto della statale Aurelia, che corre qualche tornante più sotto. Basta prendere una delle strade secondarie che collegano Stadomelli alle altre frazioni di Rocchetta che per mezz’ora si può non incontrare anima viva. «Tutti lo chiamano Prado – annota Oriana Drovandi, vicesindaco con la passione per la storia locale – anche se a Stadomelli di prati ce ne sono proprio pochi, anzi sono piccoli terrazzi, strappati al bosco con laboriosi muri a secco, che oggi, giorno dopo giorno, cedono, lasciando il passo ai rovi e alla roccia, che tornano a trionfare».

«Qui non c’era niente», risponde con un gran sorriso Flavio Franceschi, mentre aggiusta una friggitrice dispettosa. Flavio è uno degli zii di Marika emigrati, fratello del padre Anselmo, che partì all’inizio degli anni Settanta verso la Scozia. Oggi ha 67 anni e vive ancora a Glasgow, dove stanno i tre figli maschi con le loro famiglie, mentre l’unica femmina si è stabilita in Liguria. «Rispetto ad altri – ricorda –non mi potevo lamentare, perché qualche mestiere lo sapevo fare. Un giorno, avrò avuto 15 o 16 anni, feci avanti e indietro dalle 5 del mattino alle 8 di sera coi muli per caricare e scaricare sabbia della cava qua dietro. Poi imparai a fare il falegname, mi trovavo bene. Andai anche a lavorare come meccanico, in un altro paese: facevo tre chilometri a piedi per andare a prendere la corriera la mattina, il percorso inverso la sera. Alla fine, imparato il mestiere di artigiano, me ne andai». Era il 1971.

In Scozia Franceschi raggiunse gli altri fratelli. Funziona sempre così: perché tutti in Scozia? Perché ci si avvicina ai conoscenti che ci sono già, il primo che parte segna la strada per gli altri, ti rispondono tutti. Per Flavio è stato un po’ più semplice anche per questo. «Andai a fare fish and chips – dice. Il locale è di fronte alla stazione ferroviaria di Glasgow. Ho provato due volte a tornare in Italia, negli anni Ottanta. Ma trovare lavoro per quattro figli in questo Paese non è mai facile. Quindi sono tornato in Scozia a fare quello che facevo».

Qualcuno della famiglia invece è tornato per sempre. Lo ha fatto per esempio un’altra sorella di Flavio e Anselmo: «Andando a Spezia avremmo trovato sicuramente più lavoro che in campagna, ma una volta che si decideva di spostarsi… in Scozia si viveva meglio». Linda Franceschi oggi ha 83 anni. Quando c’è la festa scozzese è in cucina a lavorare insieme alle altre donne, che sbucciano, impastano, infornano e preparano i vassoi.

A Glasgow ci andò nel 1959: «Iniziai con il pesce e patate, poi lavorai anche in una fabbrica di dolci». In Scozia conobbe il futuro marito, un italiano di Cassino. Si sono ritirati qualche tempo fa nella terra natale, dopo quasi 36 anni. Il figlio è rimasto su, anche adesso che il padre non c’è più. «Il mio paese è sempre il mio Paese – dice Linda parlando dell’Italia – Vorrei meno burocrazia e meno tasse, questo sì». In Scozia ci sarà poco sole, avranno un carattere riservato e un senso delle istituzioni più rigido, ma almeno ti permettono di portare a casa i frutti del duro lavoro. I sentimenti sono un’altra cosa. Sta qui la differenza sostanziale fra la scelta di vivere in Italia o in Scozia che quasi tutti gli emigrati italiani sottolineano.


Chi se ne è andato in Scozia e non se ne é pentito dice di aver risparmiato abbastanza per potersi godere una serena pensione, aiutando i figli a crescere le loro famiglie, non importa dove. Oggi attorno a Edimburgo e Glasgow ci sono almeno undici negozi di fish and chips gestiti ancora da famiglie originarie di Stadomelli. Molti di quelli partiti da questo angolo di Liguria moriranno lontano da casa, spargendo il seme di una storia che è di pochi ma riguarda molti.

Terri Colpi, una studiosa inglese che da anni conduce e pubblica ricerche sull’emigrazione italiana in terra britannica, ha registrato le testimonianze di alcuni scozzesi che hanno origini della Val di Vara: le ha portate a Stadomelli perché la loro memoria diventi collettiva. Un’altra ospite dell’estate della Brexit è stata Linda Fabiana, deputata al parlamento scozzese per lo Scottish National Party, che esprime la first minister Nicola Sturgeon e che si è intestato la battaglia indipendentista: anche lei è una discendente dei primi emigrati del paese e le hanno dato la cittadinanza onoraria. Nel silenzio di Stadomelli, interrotto solo dal canto ossessivo delle cicale, tutto sembra parlare di un’Europa che è prassi prima ancora che politica. Europa si chiama la piazza di fronte alla chiesa. E quella che, all’angolo, sale al piccolo borgo è diventata ufficialmente via Scozia.

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