Due anni fa la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini illudeva gli studenti di mezza Italia: “Stiamo pensando all’abolizione del test di ingresso a medicina”. Da allora il concetto è stato ripreso un paio di volte, ma mai realizzato. L’idea era quella del sistema francese: tutti dentro per 6 mesi o un anno, poi chi non supera l’asticella di crediti e media voto è fuori.
Meccanismo affascinante, ma, purtroppo, impraticabile. L’Italia ha un fortissimo deficit di strutture e servizi inerenti all’università. Mancano soldi, aule, professori e, soprattutto, manca un mercato del lavoro adatto a ricevere un alto numero di laureati, anche in medicina.
Partiamo dalle strutture: al test di medicina di quest’anno si sono iscritte 63mila persone (per 9mila posti). Significa sovraccaricare in maniera insostenibile il nostro sistema, dato che già adesso molti atenei fanno fatica a fornire aule, banchi e sedie per tutti quanti. Per non parlare di laboratori, aule studio, computer, biblioteche e quant’altro.
E’ vero, le migliaia di iscritti in più porterebbero soldi, ma è difficile pensare che mezzo anno di tasse pagate possa coprire gli investimenti.
Anche perchè, oltre alle strutture, avremmo bisogno di professori. Quando pensiamo ai professori universitari, di solito, o ci immaginiamo vecchi baroni da competizione oppure pensiamo a precari che hanno appena finito il dottorando e prendono due lire di stipendio. Per accogliere migliaia di studenti in più avremmo bisogno di confermare i baroni, promuovere i precari e assumere pure qualcun altro. L’Italia è piena di gente che se lo meriterebbe, certo, ma torniamo al solito discorso: non possiamo permettercelo.
Mancano strutture e fondi per sostenere l’ingresso di tutti: anche il sistema francese, che prevede uno sbarramento in corsa, non convince
Arriviamo poi al tema del lavoro. Medicina, proprio grazie al test, mantiene un equilibrio accettabile tra università e mercato del lavoro, che confrontato con quello di altre facoltà è uno strepitoso esempio di virtù.
È lecito pensare che non tutti gli iscritti arriverebbero alla laurea, ma in ogni caso si perderebbe il controllo sul meccanismo di ricambio e pure medicina potrebbe iniziare a soffrire un po’ di più l’inserimento in ambito lavorativo. Di medici, infatti, c’è carenza in certe zone d’Italia e per certe specializzazioni, non è affatto detto, dunque, che i nuovi laureati coprano i buchi necessari.
Infine vanno considerati tutti quelli che, dopo essere stati scartati alla fine del primo semestre o in fondo all’anno, si iscriverebbero a facoltà alternative che consentono di sostenere esami validi anche per medicina, dunque sarebbe l’intero sistema di facoltà mediche a doversi ristrutturare.
Insomma, è vero che nel migliore dei mondi possibili non ci sarebbe bisogno di alcun test e che il sistema francese è un buon compromesso, ma in Italia, oggi, non siamo in grado di rinunciare al test. Con buona pace di chi, in questi giorni, maledirà quelle crocette.