Le polemiche sugli stipendi dei parlamentari vanno avanti da anni. Tutti vogliono intervenire, ma ognuno propone qualcosa di diverso e così, il più delle volte, non succede niente.
Adesso l’ennesimo capitolo: i 5 Stelle presentando una proposta in Parlamento, ma Matteo Renzi, ospite da Lucia Annunziata, dice di preferire un sistema a gettoni: più sei presente in Parlamento e più guadagni. «Di Maio ha il 37% di presenze – dice il premier – eppure guadagna il doppio di me, dovrebbe prendere il 37% dello stipendio».
Proviamo a dar retta a Renzi. Domattina ci svegliamo e in Italia gli onorevoli guadagnano in base alla percentuale di presenze. Quanto risparmieremmo?
I dati più affidabili ci arrivano da OpenParlamento, che registra la presenza dei parlamentari alle votazioni in aula. Il portale specifica che non è possibile fare distinzioni sul tipo di assenza al voto (se sia per motivi di salute o altro), ma i dati, seppur in minima parte sindacabili, offrono spunti molto interessanti.
Si scopre infatti che alla Camera in 35 (su 630) hanno percentuale d’assenza superiore al 50% delle votazioni. La maglia nera se la prende Antonio Angelucci, deputato di Forza Italia, assente al 99,56% delle votazioni, ovvero a 19.429 su 19.515 (dati aggiornati al 6 ottobre).
Angelucci è in buona compagnia, perchè sui 35 deputati che sono mancati ad almeno la metà delle votazioni ce ne sono tredici di Forza Italia, ben di più rispetto ai 5 del gruppo misto, ai 4 del Pd e alla sola Giulia Di Vita del Movimento 5 Stelle (61,58% di assenze).
Proposta renziana vorrebbe, dunque, che all’on. Angelucci spettasse solo lo 0,44% del lauto stipendio mensile da parlamentare, ovvero circa 22 euro rispetto ai 5.000 netti, facendo grazie della diaria e di tutto il resto.
Qualche nota a margine: tra i 5 Stelle, Alessandro Di Battista ha il 38,34% di assenze, mentre Luigi Di Maio ha un dato di presenza persino peggiore di quello sparato da Renzi (31,75%), ma ha un bassissimo dato di assenza, solo il 12,48%. Il paradosso si spiega con l’altissimo numero di missioni ufficiali che hanno impedito a Di Maio di essere in aula, senza dimenticare, per altro, che il Presidente della Camera per buona norma è solito astenersi durante le votazioni e questo, dunque, influisce sui dati.
L’idea di Renzi farebbe risparmiare qualcosa, ma occhio alla demagogia: per aggirare la storia dei gettoni basterebbe un attimo e un provvedimento del genere sarebbe inutile se non intervenisse anche sui rimborsi e le convenzioni
Per capire di che numeri parliamo e di quanto converrebbe una legge come quella proposta, tra il serio e la provocazione, da Renzi, si tenga conto che alla Camera il tasso di assenza medio è del 21,75%. In soldoni, pagando a gettone risparmieremmo circa un quinto degli stipendi rispetto a quanto paghamo adesso, anche se con un po’ di malizia ci si può immaginare il numero di certificati medici che affollerebbero l’ufficio contabilità della Camera.
Passiamo al Senato e vediamo che la situazione è leggermente migliore: il totale delle assenze alle votazioni è del 17,34%. A far riflettere, semmai, è che anche al Senato il gruppo di Forza Italia guidi alla grande la schiera degli assenteisti: 7 dei 16 senatori che hanno più del 50% di assenze vengono proprio dalle fila forziste.
Tra questi si segnala l’avvocato Niccolò Ghedini, storico braccio destro di Berlusconi, che mette a referto un 99,16% di assenze. Dietro di lui, in questa nobile classifica, troviamo Denis Verdini, negli ultimi anni considerato l’uomo ombra del Governo, il grande burattinaio (o, più imulmente, la stampella) di Renzi. Denis, evidentemente, dosa molto bene le sue presenze, essendo mancato all’89,31% delle votazioni. Sopra l’80% di assenze anche l’ex Ministro Giulio Tremonti, adesso perso nei meandri del gruppo Grandi Autonomie e Libertà, presieduto da Mario Ferrara.
Da segnalare che tra gli eletti del Partito Democratico, invece, nessuno supera il 30% di assenze, una spilla sul petto che neanche i 5 Stelle, gruppo in cui Laura Bottici è la più assente con il suo 36,82%, possono appuntarsi.
Insomma, pagare per cinque anni persone che in aula ci capitano solo per gli auguri di Natale non è proprio un granché, ma occhio alla demagogia: per aggirare la storia dei gettoni basterebbe un attimo e un provvedimento del genere sarebbe inutile se non intervenisse anche sui rimborsi e le convenzioni. Se rimangono viaggi gratis, affitti gratis, mutui a tassi irrisori e una pioggia di compensi che non ha neanche bisogno di uno scontrino, che ce ne facciamo del compenso a gettone? Di modi per mettersi in pari con Di Maio, caro Renzi, ce ne sono molti altri.