“A noi non importa nulla su chi sia il nuovo presidente. Quello che conta è sapere se vuole o meno cambiare la sua politica aggressiva nei confronti del nostro Paese”. Parola di Kim Yong Ho, ambasciatore della Corea del Nord, in una riunione all’Onu. Del resto, i nordcoreani nemmeno lo sanno chi sia.
Almeno, fino a lunedì 14 era così, come scrive sul suo profilo Twitter Chris Greenway, che lavora per Bbc Monitoring, il ramo dell’azienda che si occupa di osservare il comportamento delle reti televisive straniere: in Corea del Nord la notizia delle elezioni americane non era ancora stata data. E in un Paese in cui nemmeno internet è presente (c’è, ma è lentissimo, controllatissimo, limitatissimo), è difficile per i poveri abitanti scoprire cosa succede fuori da lì. E tutto sommato, ha ragione il diplomatico: chi se ne frega. Meglio pensare ai fatti propri.
Questa serenità universale è tutto merito della censura, un meccanismo implacabile che filtra le informazioni provenienti dall’esterno e seleziona le notizie che il popolo deve conoscere. A Pyongyang, al momento, hanno ben altri problemi rispetto alla nuova presidenza Usa: devono impedire che i blogger cinesi chiamino il loro leader “cicciottello”. Una enormità, un insulto e una mancanza di rispetto che va subito bloccata. Tutto il resto viene dopo.