A Massimo Cacciari,
in memoria di Bauman e Sgalambro
Zygmunt Bauman si è liquefatto. Noi gioiamo con lui: era ciò a cui mirava. Il salto in avanti del nostro amato polacchino, rispetto al postmoderno (che con Carl Gustav Jung conservava ancora gli archetipi tramutandoli in pop – Superman al posto di Zeus, Batman al posto di Apollo, Superciuk al posto di Dioniso) fu di spingere la sociologia quel tanto nel baratro per portarla alle estreme conseguenze: tramutarla, finalmente, in sociologismo. Fece, cioè dire, alla sociologia, quello che lo storicismo sta facendo alla storia: renderla inutile, compilatoria, salvarci (alla maniera di Emil Cioran) dall’ “utopia” della “Storia”. Nulla può fare l’intellettuale, tranne che “prendere atto” e così facendo tirarsi fuori dall’ “atto” stesso. Eremitizzarci. In questo Bauman è stato un grande conservatore di stampo cristiano: la giustizia non è di questo mondo; se lo fu in passato non lo può essere “adesso”, dove il “katecon” si è, appunto, liquefatto.
Molto deve – e lo sa – Massimo Cacciari, nel suo recentissimo e stupendo libro “Il potere che frena” a Bauman. Se Bauman ha teorizzato il “ritirarsi” del pensiero del mondo “accademico” (usando cioè dire il “codice”, il “canone” accademico), Cacciari lo ha tradotto in termini biblici. La globalizzazione ha disinnestato il “katechon”, la possibilità di “fare il bene” o di combattere il male, antichi concetti occidentali che adesso, come previsto (i profeti non sono imbecilli), letteralmente non può funzionare più, obbligato com’è a confrontarsi (nella battaglia finale) non soltanto con ebraismo e islamismo e paganesimo (una lotta condominiale infine, tra parenti) ma con induismo e buddismo, quando non addirittura con quel mostro chiamato “sincretismo” (la liquefazione di ogni sistema).
La globalizzazione ha disinnestato il “katechon”, la possibilità di “fare il bene” o di combattere il male, antichi concetti occidentali che adesso, come previsto (i profeti non sono imbecilli), letteralmente non può funzionare più
Ciò che Bauman ci raccontò prima ancora di Cacciari fu il ritirarsi dell’Apocalisse nell’eremo della dottrina: nulla è possibile profetizzare “hit et nunc” poiché, a farlo, ci poniamo tutti (tutti “noi”, ovviamente”) dalla parte dei “falsi” profeti.
L’immobilità è l’unica via d’uscita, l’unica via di salvezza. “Fuori dal mondo”, ci disse per primo Bauman.
Siamo in questa situazione, in questo preciso momento insieme “storico” e “non storico”: portati per essenza a “fare” e impossibilitati dall’ “epoca” a muoverci. Costretti a fare meramente da esempio: a mostrare come tirarsi fuori dalla storia, a “cioranizzarci” definitivamente. A santificarci, in una parola.
Questo sarebbe il “nostro” destino.
A meno che non prendere in considerazione Rambo.
Non il primo e neanche il secondo, narrativa d’intrattenimento. Ma il terzo episodio. Ove Rambo, come cosciente del destino del “katechon” si ritira in Thailandia e non ne vuole sapere proprio di rientrare nella “storia”, nella “sua” narrazione (che gli appartiene di diritto in quanto archetipo junghiano). Rambo non vuole essere Rambo così come Bauman non voleva essere Bauman così come Cacciari non vuole essere Cacciari: “Non Possumus”.
Bauman, laicamente (e come dirlo in altri termini, oggi) ha segnato il confine tra i Santi e i Martiri, e ci ha insegnato che l’unico modo possibile oggi di stare nella Storia è uscirne
Eppure, mi pare, il Santo Graal della questione sia stato risolto proprio da Rambo 3. Come la coppa del Santo Graal permette di abbeverarsi al suo contenuto soltanto a coloro che “non” lo vogliono, così la “Storia” chiama a sé, nell’era liquida, soltanto coloro che ne sono coscienti, soltanto coloro consapevoli del fallimento di ogni azione. E’ per questo che Rambo attraversa le pallottole che sembrano neanche sfiorarlo: non è un artificio cinematografico, è l’esatta rappresentazione di colui che ha una missione divina. “Catechizzare” anche coscienti del “sacrificio”. Catechizzare consapevoli di andare incontro alla sconfitta, alla dannazione terrena, diciamolo: al rogo.
Bauman, laicamente (e come dirlo in altri termini, oggi) ha segnato il confine tra i Santi e i Martiri. Tra i salvatori di anime e i “Cappellani”, i preti col pistolone sotto la tonaca destinati a morire ubriachi e felici sul campo di battaglia.
Bauman (e dopo di lui Cacciari) ci hanno raccontato l’epoca dei Santi. E noi siamo qui, sui nostri cavalli sbuffanti, riflettendo se sia il caso di salvarci, o di dare il via all’Apocalisse.