Dalla Libia alla Siria, così l’Occidente nutre il jihadismo globale

Nel libro "Mercanti di uomini", Loretta Napoleoni indaga le connessioni tra jihadismo, fenomeni migratori, e capitalismo globale, senza fare sconti a nessuno. Tantomeno all'informazione e alla politica occidentali, che hanno notevoli responsabilità per aver favorito l'estremismo islamico

I conflitti in Siria, in Afghanistan e in Iraq non sono stati onorevoli iniziative umanitarie, bensì guerre sporche, motivo di continuo imbarazzo per i politici, per l’esercito e per l’Occidente”. È una verità triste e nota che, però, non sarà mai raccontata abbastanza. E fa piacere ritrovarla in uno studio che non solo parla della “fine della verità” in Siria e su altri fronti ma prova, con successo, a inserire il tutto in un quadro più ampio, come si dice oggi: globale.

Mercanti di uomini . Il traffico di ostaggi e migranti che finanzia il jihadismo (Rizzoli), di Loretta Napoleoni, appena sbarcato in libreria, è un libro perfetto per cominciare ad affrontare le conseguenze culturali di questa globalizzazione senza geografia né antropologia in cui tutti siamo immersi e che, inevitabilmente, si scontra con la realtà di un pianeta dove, al contrario, i tratti geografici e antropologici contano ancora. Eccome, se contano.

L’insurrezione siriana non era guidata dall’esercito idealizzato di combattenti per la libertà nato della Primavera araba. Piuttosto, era un ginepraio di jihadisti, delinquenti, signori della guerra, sequestratori e terroristi alla costante ricerca di soldi e armi

L’idea folle che un solo modo di pensare, il nostro ovviamente, potesse essere “esportato” a ogni latitudine (quindi a dispetto di ogni vicinanza e legame) e imposto a qualunque popolo (quindi con disprezzo di storie e culture) ci sta facendo danni enormi e destabilizza il pianeta oltre ogni immaginazione.
Cominciare a raccontarlo svelando i retroscena dei rapimenti e del traffico di essere umani è un approccio geniale, perché gli uni e l’altro sono una faccia della stessa medaglia (la Napoleoni cita Rob Wainwright, direttore di Europol: “Il viaggio del 90% dei rifugiati arrivati in Europa è agevolato da un’organizzazione criminale”), quella di un’industria criminale che, a sua volta, non è che l’altra faccia di quella globalizzazione senza senso che ci viene presentata come dono gratuito di libertà e democrazia.

Il risultato è un perpetuo auto-inganno, un racconto del mondo che ha rapporti sempre più scarsi con la realtà del mondo. Parte corposa del libro è dedicata ai giornalisti e ai cooperanti rapiti in Medio Oriente, in particolare in Siria. E ciò che ne esce è esattamente ciò che è stato per anni negato: “L’insurrezione siriana non era guidata dall’esercito idealizzato di combattenti per la libertà nato della Primavera araba. Piuttosto, era un ginepraio di jihadisti, delinquenti, signori della guerra, sequestratori e terroristi alla costante ricerca di soldi e armi”. Per dirla altrimenti, con le parole della giornalista olandese Joanie de Rijke, a suo tempo rapita in Afghanistan dai talebani: “Di fatto, in Siria i media hanno preso una posizione ben precisa. Hanno violato la regola fondamentale della nostra professione, la neutralità, ed è per questo che non ci è giunta alcuna notizia di siriani pronti a sostenere il regime”.

Ma Iraq, Siria, Libia, Somalia e altri fallimenti continueranno a turbare le nostre notti. Compresa quella dell’informazione

Con la stessa lucidità il libro della Napoleoni analizza le connessioni tra il jihadismo, l’universo insurrezionale (di cui la Napoleoni parla n questi termini: “L’albero genealogico delle organizzazioni armate “moderate” in Siria – quelle che l’ambiziosa coalizione del presidente Obama ha sostenuto fin dall’estate del 2014 con campagna di bombardamenti, addestramento militare, fornitura di armi e lezzi finanziari – è molto intricato… assomiglia a una rete incestuosa di alleanze, rapporti personali, inganni, partnership delinquenziali e joint venture tra gruppi armati”) e il traffico di migranti che ha investito l’Europa. Nel 2015 la “tassa” sui migranti siriani che fuggivano in Turchia ha fruttato all’Isis mezzo milione di dollari al giorno al solo confine con la Turchia laddove, come racconta un rifugiato che ha fatto il viaggio, “non rischi che le guardie di frontiera ti sparino addosso”. E si parla del confine che proprio nel 2015 la Nato corse a proteggere dopo l’abbattimento di un caccia russo da parte dei turchi.

Ha dunque ragione chi (vogliamo fare un nome indecente: Donald Trump) giudica l’Isis la principale minaccia planetaria alla sicurezza. Non tanto in sé ma perché è la punta acuminata di una piramide che ha una base molto larga di storture, abusi e politiche sbagliate. Queste tragedie ci riguardano. E non solo come “vittime”, parte che ci piace assumere quando una bomba scoppia in una delle nostre città o i migranti mettono a fuoco un Cie. Ma come attori protagonisti, ruolo spiacevole che infatti tendiamo a respingere. Ma Iraq, Siria, Libia, Somalia e altri fallimenti continueranno a turbare le nostre notti. Compresa quella dell’informazione.

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