Anche quest’anno, come da consolidata tradizione, ci troviamo a commentare i dati aggregati dall’Associazioni Italiana Editori, dalla percentuale dei lettori forti sul totale dei lettori, fino al numero delle copie vendute e al giro di affari. Un sacco di cifre cifrette, cifrone, alcune assolute, altre relative, qualcuna fortemente in positivo, qualcuna fortemente in negativo, altre invece sostanzialmente stabili.
La fotografia dell’Italia che legge, insomma, è più o meno sempre la stessa: i lettori forti sono stabili sui 3 milini, come sempre; quelli deboli oscillano in dipendenza del successo o meno del best sellerone, come sempre; le fasce forti sono i vecchi e i givanissimi, come sempre, e via dicendo. Ma la popolazione, in fondo, sembra sempre più o meno la stessa, stabile da quasi quarant’anni: tra i 22 e i 24 milioni di persone.
Tra le cifre pubblicate dall’AIE quest’anno, però, un dato interessante sul serio c’è. E curiosamente è uno dei pochi per il quale la statistica non c’entra nulla, perché è un fatto misurabile e riguarda la produzione di libri nel nostro paese, non il consumo. Eh sì, a guardare i dati dalla giusta distanza lo si nota: di fronte a un pubblico dal corpo sostanzialmente stabile nella sua magrezza rachitica, il mercato editoriale è diventato letteralmente obeso.
Il fenomeno è macroscopico: nel 2016 il mercato ha visto entrare in libreria più di 66mila nuovi titoli, di cui 18mila di sola narrativa. Nel 1980, sempre secondo l’AIE, quegli stessi numeri parlavano di un mercato totalmente diverso, fatto di sole 13mila novità, di cui soltanto 1000 erano di narrativa. Se andiamo a vedere le stime del numero di lettori fatte dall’ISTAT in quegli anni, il numero assoluto che troviamo è, indovinate un po’, sempre lo stesso, circa 24milioni. All’epoca erano il 46 per cento del Paese, ora sono il 41, ma il numero assoluto è sempre più o meno stabile.
Quindi, ricapitolando: in quarant’anni circa, a lettori grosso modo stabili, abbiamo assistito a un aumento della produzione di circa il 600 per cento, un aumento che, nel solo campo della narrativa, è di circa il 1800 per cento. Ovvero, se fino agli anni Ottanta per ogni lettore uscivano circa 3 libri all’anno, ora ne escono 10. Una vera e propria marea di carta che viene rovesciata nel mercato, un mercato che però non si è allargato, è rimasto più o meno della stessa grandezza. Le conseguenza sono molteplici: più libri vuol dire meno tempo per sceglierli, lavorarli e promuoverli. Ma anche meno tempo a disposizione di ogni libro per trovare i propri lettori. Il risultato? Abbassamento della qualità, crollo del tempo di permanenza sullo scaffale, ridotto a volte a poche settimane, vendite medie sempre più basse.
Negli ultimi dieci anni l’industria editoriale ha chiamato tutto ciò “Crisi dell’editoria”, dando la responsabilità ai lettori. Già, perché l’industria editoriale è parecchio brava a scaricare le colpe sui propri clienti: “in Italia stanno sparendo i lettori”, si dice sempre, tanto che ormai è diventato un ritornello, un mantra che ci siamo ripetuti di continuo negli ultimi anni. Eppure, a vedere i numeri, non è esattamente così. O meglio, è vero che la maggior parte degli italiani non leggono, ma non è una novità. Era così anche quando l’industria editoriale era sana, negli anni Ottanta, per esempio, quando non c’era la Crisi.
Ma se il crollo dei lettori non c’è, allora qual è l’anello che non tiene? La domanda non è di quelle semplici da risolvere. La sensazione però è che una parte della risposta sia proprio in questa dieta all’ingrasso, iniziata proprio nel pieno degli anni Ottanta, esattamente quando l’editoria italiana è diventata una vera e propria industria, quando sono cominciate le concentrazioni editoriali, quando ha iniziato a svilupparsi la grande distribuzione organizzata (la modalità di distribuzione più in crisi negli ultimi anni). È questa industrializzazione che ha trasformato il campo di gioco dell’editoria italiana in una giungla affollata, in cui ogni anno vengono fatti piovere 66mila libri — sei volte la quantità che si pubblicava quarant’anni fa — libri che però, più che arrivare ai propri lettori elettivi, assomigliano a una moneta di scambio. Una moneta in forte svalutazione che alimenta il circolo vizioso delle rese, che permetterà anche alle case editrici più grandi di tenere in piedi i propri fatturati, ma che, non essendo prodotta per soddisfare nessuna esigenza particolare dei lettori, sta soffocando l’intero settore.