Urbani: “Pensavano che Berlusconi passasse, invece ha radici”

L'ex ministro e fondatore di Forza Italia ricorda gli esordi con Antonio Tajani nel 1994. L'elezione del nuovo presidente del Parlamento Europeo testimonia la longevità della stagione berlusconiana, nonostante le delusioni

L’elezione di Antonio Tajani alla presidenza del Parlamento europeo, avvenuta nella tarda serata di martedì, racconta diverse cose. La fine di un accordo di grande coalizione fra i popolari e i socialdemocratici, i cui effetti sono ancora tutti da valutare. Ma anche la longevità di una stagione politica in Italia: quella di Silvio Berlusconi. “Berlusconi ha radici profonde, anche se da sempre tutti lo hanno considerato un fenomeno superficiale”, dice a Linkiesta.it Giuliano Urbani, fra i fondatori di Forza Italia insieme proprio al nuovo presidente del Parlamento Ue. Tajani, 63 anni, romano, ha costruito quasi tutta la sua carriera istituzionale in Europa, dopo essere stato il primo portavoce del Cav a Palazzo Chigi. Nel 1994. Urbani, oggi ottantenne, era ministro della Funzione Pubblica.

Professore, chi è Antonio Tajani?

Tajani è stato uno dei protagonisti del 1994, uno dei pochissimi che hanno partecipato sin dalla sua gestazione al progetto di Forza Italia. Lo conosco bene, posso dire che abbiamo iniziato insieme, in politica. Ricordo in particolare due circostanze.

Ce le racconti.

Intanto, io era editorialista del Giornale di Montanelli quando Tajani era capo della redazione romana. Poi andammo proprio noi due a rappresentare Forza Italia, che non era ancora nata ma era in costruzione, al battesimo di Alleanza Nazionale, all’Hotel Ergife. Andammo a dire che guardavamo con interesse a quella novità e che eravamo pronti a tutte le possibilità di collaborazione con loro.

Gli ambasciatori di Berlusconi, insomma.

Sì, ma anche qualcosa di più, perché appunto Forza Italia non era ancora nata.

Da allora è passato quasi un quarto di secolo, ma Berlusconi è riuscito a rimanere protagonista in tutte le fasi politiche. La figura di Tajani, per esempio, è cresciuta in Europa proprio quando Berlusconi è rimasto ai margini della scena. Come lo spiega?

È truce usare questa metafora, ma penso che occorra pensare a un terremoto. Quando c’è il terremoto, emergono le radici. E Berlusconi ha radici profonde, anche se da sempre tutti lo hanno considerato un fenomeno superficiale. Lui ha sempre rappresentato una parte del Paese, che viene inesorabilmente a galla nei momenti più strani. È quello che spiegavo a Massimo D’Alema, quando lui era presidente della Bicamerale e io il vice.

Anche oggi è così, secondo lei?

Sì, è sempre così, anche se ovviamente quella parte del Paese che si sente rappresentata da lui si è ristretta, perché si è sentita tradita dalle troppe promesse non mantenute.

Berlusconi in questo momento potrebbe costruire un’alleanza con la Lega di Salvini o pensare a una collaborazione con il Pd di Renzi. Pensa che abbia ancora la forza per giocare su due tavoli?

Berlusconi non ha la stessa forza di prima, questo è certo. Ma ha una forza che nessuno gli può togliere: tutti gli altri che sono emersi attorno a lui, a loro volta hanno fatto promesse e non le hanno mantenute. Parte di quell’elettorato, pur in misura minore, quindi torna da lui o può tornare da lui.

Ma chi può dirsi berlusconiano oggi in Italia, così tanti anni dopo il ’94?

Non è facile dirlo. Anche perché ci sono dei berlusconiani di ritorno, che avevano puntato su persone come Fini o Casini o Tremonti. Comunque, Berlusconi stesso parla dei ‘moderati’, un’espressione che a me non piace perché dà l’idea di avere scarsa considerazione di se stessi. Però…

Però?

Però i berlusconiani sono quella cosa lì. Sono quelli che non si sentono né di destra né di sinistra. Né facinorosi alla Salvini né inciucisti alla Alfano.

Difficile quindi immaginare come conciliabili le ambizioni di Berlusconi e di Salvini?

Oggi è difficile immaginare che siano conciliabili. Non possono incontrarsi, perché Salvini urla la sua protesta e dice di non voler fare alleanze con nessuno. Berlusconi invece non urla, fa il pragmatico e si dice disponibile ad alleanze con tutti. Ma se essere sovranisti, espressione coniata dalla Meloni, non significa nazionalismo ma difesa dell’interesse pubblico, allora le posizioni sono conciliabili. Diciamo che la tattica esclude la possibilità di un’alleanza. La strategia, invece, la suggerisce.

@ilbrontolo

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