Bla Bla Land: quando il dibattito su un film diventa un’inutile cagnara

Il film di Damien Chazelle ha ottenuto 14 candidature agli Oscar, ha già vinto 7 Golden Globe e sta dividendo il pubblico e la critica, trasformando un dibattito che era nato come estetico e culturale in un inutile cat fighting senza quartiere ambientato in un pantano

Non sappiamo ancora se vincerà veramente tutto quello sfracello di Oscar a cui è nominato, ma che Che La La Land sia il film dell’anno ci sono veramente pochi dubbi. E lo è molto al di là dei 7 Golden Globe già vinti e delle 14 nomination agli Oscar raggranellate. Un record, già questo, visto che nella storia è capitato solo altre due volte, nel 1950 a Eva contro Eva e nel 1997 a Titanic. La La Land è il film dell’anno anche molto al di là di quegli applausi a scena aperta e di quella standing ovation finale con cui lo ha accolto, il 31 agosto 2016, il selezionato pubblico di Venezia, critici, giornalisti e addetti ai lavori che si sono innamorati all’istante e che, a quanto dicono i testimoni, quasi non ci voleva credere a quel che aveva visto passare sullo schermo.

La La Land è diventato il film dell’anno anche e forse soprattutto perché è un film che, a distanza di cinque mesi dalla presentazione ufficiale e dal clamore della critica, arriva in sala e divide il pubblico manco fosse il Mar Rosso alle prese con Mosé. Da una parte gli adoratori, dall’altra i detrattori, curve opposte che come in un derby d’alta classifica stanno tifando gli uni contro gli altri, accusandosi vicendevolmente dell’intero spettro dei peccati di incompetenza.Non è la prima che succede, chiaro. Ormai qualsiasi prodotto culturale di massa che raggiunge le vette di attesa e di adorazione — il famoso hype — che ha raggiunto La La Land sa già di doversi aspettare reazioni di forza uguale e di segno contrario, come dopo un’onda la risacca e dopo una rivoluzione una restaurazione.

Siamo nell’epoca della post verità e quasi non possiamo più di sentircelo ripetere. Ma se qualche cosa di vero c’è in questa espressione fuorviante — come se esistesse sul serio una e una sola verità, suvvia — qualche suo effetto lo vediamo anche nel campo, tutto sommato laterale e contingente alla realtà, del cinema. Anzi, probabilmente è proprio qui, parlando di un film, che forse la vediamo meglio: nel campo politico possiamo anche cadere nell’illusione che post verità c’entri qualcosa con l’atto del mentire e con la sostanza delle bugie, è muovendoci nel campo estetico del cinema che ci accorgiamo qual è il vero senso di questa orrenda espressione: la post verità c’entra poco o nulla con l’aumento delle cosiddette fake news, né c’entra con le bugie a scopo elettorale dei politici.

La post verità è la scomparsa dell’autorevolezza, quella robetta su cui abbiamo costruito nell’ultimo mezzo millennio l’intera scienza e conoscenza della cultura occidentale e che, fino a qualche anno fa, garantiva che una notizia pubblicata sul Lancet o su Nature avesse vita facile se messa a confronto con quella, sullo stesso argomento scientifico, della massaia di Voghera o di farfallina84.

La guerra che negli ultimi giorni si è scatenata sui social su La La Land nasce proprio da qui, dal fatto che l’opinione di un giornalista specializzato, quando si ritrova su Facebook accanto all’opinione di uno spettatore, se la gioca alla pari in una triste scaramuccia di retroguardia ambientata in un pantano: uno scontro ridicolo con da un parte i critici che rivendicano il proprio ruolo, le proprie competenze e la propria credibilità guadagnata sul campo, e dall’altra il pubblico, che da parte sua rivendica la propria totale libertà sia sul giudizio estetico che sui modi di sfogarlo, quasi sempre con violenza, su Facebook.

Chi ha ragione? Entrambi. Sì, il problema è che entrambe le fazioni hanno sia ragione che torto a rivendicare chi il proprio ruolo, chi la propria libertà, ed è così che la scaramuccia nel pantano diventa addirittura una farsa, un cat fighting ridicolo in cui il film, che in teoria dovrebbe essere il centro del dibattito, perde centralità a favore dello scontro fine a se stesso. Ma quindi, direte voi, dopo tutto sto pippone, La La Land che film è? Dobbiamo vederlo tutti? Merita tutto questo hype?

La risposta è che La La Land è un film molto audace, con una regia curata, quasi maniacale. È soprattutto un musical, con tutte le regole di ingaggio che ne conseguono e con il suo pubblico implicito ed elettivo, ma è anche un musical decisamente particolare, perché cerca di travalicare le regole tipiche del genere. È un film che sa essere noioso come una partita a dama con la nonna — e per qualcuno lo sarà — ma è anche un film che, contemporaneamente, mette sul tavolo una quantità enorme di citazioni, metariflessioni e ragionamenti che, per chi li sa leggere e li vuole leggere, offrono una gran quantità di spunti su di noi e sul mondo in cui viviamo.

E i premi? Se li merita? Farà scorpacciata di Oscar come ha fatto di Golden Globe? Difficile dire se vincerà tutte le 14 statuette a cui è nominato ma, in fondo, non importa, perché La La Land resta, statuette o meno, approvazione personale o meno, un film ambizioso di un regista molto giovane e dotato, Damian Chazelle, che ad appena 32 anni ha già stupito tutti e, si spera, continuerà a stupire, al di là di quante statuette vincerà quest’anno, anche al di là del russare roboante di qualche annoiato spettatore che, puntualmente, si sente in fondo ad ogni sala in cui viene proiettato.

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