La scissione Pd rimescola le carte. Ma Pisapia non si schiera

L'ex sindaco di Milano ha scelto la strada dell'autonomia: né con Renzi né con i fuoriusciti. L'11 marzo il battesimo a Roma del Campo Progressista. La sua proposta è di ricucire il centrosinistra. Lo scenario rischia però di essere troppo affollato

Non una corrente. Ma una biografia. La sua. Giuliano Pisapia ha messo la sua storia di uomo di sinistra, ma con una vocazione governativa, a disposizione dell’area politica in cui milita da sempre. E per questo, di fronte a smottamenti e scissioni, la linea resta una: autonomia. L’ex sindaco di Milano, 67 anni, non si schiera né con chi resta nel Pd insieme a Matteo Renzi e Michele Emiliano né con chi lo sta lasciando. Con Renzi ha parlato prima dell’assemblea di domenica. Con Roberto Speranza, uno dei bersaniani in fuga dal Nazareno, Pisapia ha parlato in pubblico proprio l’altro giorno, a Venezia, dove ha criticato la deriva degli uomini soli al comando. E per l’11 marzo ha confermato il lancio ufficiale del suo Campo Progressista. A Roma, in un teatro. Eppure, l’affollarsi della scena rischia di indebolire un progetto partito con una grande ambizione.

E’ presto per dare un volto alle truppe di Pisapia. Lo scenario è infatti molto più confuso di quanto lui stesso pensasse, appena poche settimane fa, quando con un’intervista al Corriere della Sera e un dibattitto pubblico alla Santeria di Milano, al fianco di Laura Boldrini e Gad Lerner, l’ex sindaco ha lanciato la sua proposta per allargare il centrosinistra e costringere il Pd a non rinnovare il matrimonio d’interessi con gli ex berlusconiani, tuttora indispensabili per la sopravvivenza del Governo Gentiloni. La scissione Dem, in questo disegno, non ci voleva. Perché ha allungato i tempi di ricomposizione della sinistra, dando ormai per scontato che non si andrà a elezioni anticipate a giugno. E soprattutto ha moltiplicato i potenziali interlocutori. Se il Pd resterà un partito forte e plurale, Pisapia continuerebbe a essere un alleato interessato. Se il Pd rimanesse solo il partito di Renzi, il discorso si farebbe invece più difficile: troppi pezzi di sinistra in competizione fra loro.

L’incertezza durerà almeno fino a quando non si conoscerà la legge elettorale. Un impianto che premi le coalizioni anziché le liste, favorirebbe sicuramente il disegno di Pisapia. Con l’ex sindaco di Milano ci sono ambienti della sinistra che non si riconoscono nel Pd ma che non vedono nel Pd un nemico e vogliono offrire un programma di governo condiviso. Ci sono associazioni civiche. Sindaci ‘arancioni’ come quello di Cagliari, Massimo Zedda, quello di Genova, Marco Doria, e quello di Bologna, Virginio Merola. Persino pezzi di mondo cattolico potrebbero riconoscersi nel Campo progressista, soprattutto quelli che non sopportano più il clima di litigiosità in cui si è arenata la gestione del Partito Democratico. Franco Monaco, ulivista molto vicino a Romano Prodi, è interessato all’operazione Pisapia. Programma di base: equità sociale ed estensione dei diritti civili. Senza concessioni al populismo: l’ultimo profilo di Pisapia è quello di un sindaco moderato che ha garantito la vittoria di Giuseppe Sala a Milano, in perfetta continuità di formula politica, e che ha soprattutto arginato l’avanzata dei Cinque Stelle, che in città non hanno sfondato oltre il 10%.

Il problema, ora, è capire quanti spazi resteranno a disposizione. Autonomia è, appunto, la linea di Pisapia. Non si aderisce né al Pd né al suo contrario. Però, presto o tardi, arriverà il momento delle scelte. L’ex sindaco lavora nel suo studio legale, tornato a essere la seconda casa, dopo la fine del mandato a Palazzo Marino, l’anno scorso. Viaggia molto. E’ supportato in questa fase embrionale del Campo progressista dagli amici di sempre. La moglie Cinzia Sasso, ex giornalista de la Repubblica, è sempre una consigliera ascoltatissima. Ma Pisapia è aiutato anche, sul fronte romano, da alcuni deputati ex Sel che non hanno aderito a Sinistra Italiana e che si sono avvicinati ai bersaniani fuoriusciti dal Pd. Quelli, per intenderci, guidati da Arturo Scotto, cresciuto politicamente con Speranza. Insomma, il vero rischio per Pisapia è di trovarsi tirato in mezzo a una zuffa di generali che si contendono la stessa truppa per distinguersi da Renzi.

L’obiettivo di “autonomia” lo ha dettagliato bene in un post su Facebook nelle ore precedenti l’assemblea Dem: “Rimettere insieme le migliori esperienze di governo del centrosinistra che si sono misurate nelle città, nelle regioni e nel Paese e ritrovare ragioni di unità, marcando chiaramente la discontinuità con gli errori del passato”. Per questo, Pisapia si tiene fuori dalla guerra fra correnti. E’ una guerra che non gli interessa. Avrebbe potuto rimanere fuori dalla mischia, scegliendo un profilo che i suoi amici definiscono da riserva della Repubblica. E’ la sua biografia molto novecentesca ma senza macchie, insieme alla capacità di unire senza troppo apparire, il valore aggiunto che può mettere a disposizione. Se invece la discussione a sinistra imboccasse un vicolo cieco, le scelte non sarebbero scontate.

@ilbrontolo

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